Elezioni Politiche 2022 : Ecco i punti principali del programma del Terzo Polo

  




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PREMESSA

 

L’Italia è un Paese le cui energie sono da troppo tempo represse e soffocate da ideologie di tutti i tipi e dalla mancanza di meritocrazia e pari opportunità. I problemi che hanno frenato il nostro sviluppo non derivano né dall’insufficiente presenza dello Stato, né dall’ingresso nella Moneta Unica, come invece sembrano pensare conservatori, sovranisti e populisti di ogni specie.

Negli Anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, sfruttando energia e voglia di fare di una generazione che si è impegnata lavorando per ricostruire un paese distrutto dalla guerra, siamo passati da essere un Paese essenzialmente agricolo a uno dei più importanti del mondo.

Poi, negli anni ‘70, abbiamo fallito la sfida successiva: quella di investire i dividendi di quella crescita impetuosa e di adottare riforme strutturali per mettere le basi di uno sviluppo duraturo, in un contesto internazionale profondamente mutato a causa delle crisi petrolifere e dell’instabilità monetaria. E allora siamo andati avanti con inflazione, svalutazione e debito pubblico. False soluzioni di breve periodo che mettevano sotto il tappeto i problemi strutturali che si accumulavano. Negli anni ‘90, l’ingresso nell’Uni- one Monetaria Europea ci ha impedito l’utilizzo di queste misure per “tirare a campare”, e allora la polvere è venuta fuori dal tappeto.

Così negli ultimi 30 anni la produttività totale dei fattori (la misura di “quanto bene funziona la nostra economia”) è rimasta sostanzialmente ferma, e così anche il reddito pro-capite e i salari reali.

Le ragioni sono chiare: dapprima conservatorismi e poi i populismi (di destra e di sinistra) hanno impedito all’Italia di realizzare quelle riforme profonde che erano necessarie per rilanciare la crescita e sfruttare le opportunità della globalizzazione. La prova che un altro modo di governare è possibile è data dall’esperienza del governo Renzi – con Carlo Calenda Ministro dello Sviluppo Economico – in cui la pressione fiscale è diminuita di circa due punti percentuali, il debito pubblico si è stabilizzato e furono introdotte riforme di sistema per far crescere la produttività (Jobs Act, Industria 4.0 e tante altre).

Il nostro rimane uno dei Paesi a più bassa mobilità sociale del mondo occidentale. A dover essere redistribuita non è soltanto la ricchezza, bensì le opportunità. Compito della politica è mettere tutti sulla stessa linea di partenza, e lasciare che ognuno possa dispiegare liberamente il proprio potenziale. Non serve inventare nuove tasse, sognare la patrimoniale o riempirsi la bocca di “redistribuzione della ricchezza”, serve il connubio inscindibile tra meritocrazia e pari opportunità. Non solo, ovviamente. Chi rimane indietro va aiutato, ma non con la logica dell’assistenzialismo parassitario, bensì con l’instancabile tentativo di rimettere ciascuno in gioco, e da protagonista.

La nostra missione è quindi chiara: allargare le opportunità per tutti, a cominciare da quelli che ne sono sprovvisti. Per farlo, proponiamo un ampio spettro di riforme radicali in ogni dimensione del nostro stare insieme: dal funzionamento delle istituzioni repubblicane al settore formativo, dal funzionamento dei mercati alla Pubblica Amministrazione, dal fisco alla giustizia.

Partendo dal punto di riferimento fondamentale: l’attuazione “senza se e senza ma” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che non è solo il più ambizioso programma di modernizzazione che il nostro Paese abbia mai visto, ma è anche l’occasione se ben gestito di far avanzare l’integrazione europea lungo le dimensioni che sono necessarie per rendere l’Europa la protagonista di questo secolo.

Per realizzare questi nostri intendimenti, proponiamo un Programma che abbia tre obiettivi generali: favorire una crescita economica inclusiva e sostenibile, allargare le opportunità per tutti e semplificare radicalmente la vita ai cittadini. Proponiamo in particolare specifici punti programmatici per i seguenti 20 ambiti della vita pubblica:


INDICE

 

 

 

PRODUTTIVITÀ E CRESCITA

 


CRESCITA DEL MEZZOGIORNO


ENERGIA E AMBIENTE


LAVORO


FISCO


GIUSTIZIA


SANITÀ


SCUOLA, UNIVERSITA E RICERCA


DIRITTI E PARI OPPORTUNITÀ


GIOVANI

WELFARE E TERZO SETTORE

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


TRASPORTI


INNOVAZIONE, DIGITALE E SPACE ECONOMY


AGRICOLTURA


CULTURA, TURISMO E SPORT


IMMIGRAZIONE


DIFESA E SICUREZZA


RIFORME ISTITUZIONALI


EUROPA, ESTERI E ITALIANI ALL’ESTERO



 


    Produttività e crescita    

 

 

Il Piano 4.0 realizzato dall’allora Ministro Carlo Calenda con il Governo Renzi è stata la principale iniziativa di politica industriale degli ultimi 30 anni. Grazie a questa, gli investimenti e la produttività hanno raggiunto livelli superiori a quelli delle imprese tedesche. È dunque necessario concentrare le risorse su strumenti fiscali semplici ed automatici a supporto degli investimenti di cittadini ed imprese. Questa è l’unica strada per aumentare salari e posti di lavoro.

 

1.                   Zero tasse per i giovani che avviano un’attività imprenditoriale

Aprire una nuova impresa comporta molte spese iniziali che scoraggiano l’imprenditorialità. Per mitigare un potenziale problema di liquidità, proponiamo di posticipare e rateizzare tutti gli adem- pimenti fiscali dei primi 3 anni nei periodi successivi per tutti i giovani under 35 che decidono di aprire una nuova attività.

 

2.                   Facilitare la crescita dimensionale delle imprese

Le imprese di piccolissime dimensioni sono meno produttive di quelle di dimensione maggiore. In Italia, rappresentano circa il 95% del totale (ma solo il 30% del PIL) . È quindi necessario porre in essere misure che facilitino ed incentivino la crescita dimensionale delle piccole e microimprese. Per questo proponiamo di:

          innalzare la soglia dimensionale d’impresa per l’applicazione di alcuni dei più pesanti vincoli burocratici in materia di lavoro;

          modulare la defiscalizzazione già prevista nelle Zone Economiche Speciali al fine di favorire la

crescita delle piccole imprese e incentivare quelle di medie e grandi dimensioni;

          potenziare il credito d’imposta per i costi di quotazione delle PMI, già introdotto dal MISE nel

2017.

 

3.                   Stimolare l’innovazione tecnologica e gli investimenti

          Ripristinare e rafforzare industria 4.0 depotenziata dai precedenti Governi aggiornando la lista dei beni agevolati (includendo le nuove tecnologie) e aumentando il tetto massimo per gli investimenti;

          Estendere il meccanismo industria 4.0 agli investimenti per la transizione ecologica (es: im- pianti di produzione e accumulo di energia per l’autoconsumo).

 

4.                   Aiutare le imprese a trovare forza lavoro qualificata

Il 39% delle posizioni aperte per il mese di giugno 2022 sono di difficile reperimento per mancanza di candidati o inadeguatezza degli stessi. È fondamentale quindi implementare una politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato (anche per l’attuazione del PNRR) e le competenze a disposizione della forza lavoro. In particolar modo è necessario:

          coprire i costi che le imprese sostengono per organizzare, in collaborazione con gli ITS e gli altri istituti di formazione, corsi specialistici per la creazione delle competenze realmente richieste. Tali corsi dovrebbero essere aperti sia al personale interno da riconvertire, sia ai lavoratori non ancora assunti e che potranno effettuare colloqui al termine del periodo di formazione.

          potenziare gli ITS investendo 1,5 miliardi di euro, al fine di raddoppiare il numero di iscritti e di laureati attraverso un aumento del numero complessivo di istituti, in linea con quanto previsto dal PNRR.

5.                   Completare le riforme sulla concorrenza

Occorre approvare ogni anno leggi sulla concorrenza che gradualmente e nel rispetto della sostenibilità sociale dei cambiamenti rendano la nostra economia più libera e meno gravata da barriere all’ingresso e da restringimenti della concorrenza. Lo scopo è favorire l’innovazione, la crescita e la tutela dei consumatori, in modo che possano avere una maggiore quantità di beni e



 

servizi a disposizione e a prezzi inferiori. Occorre dare attuazione alla riforma delle concessioni balneari approvata dal Governo Draghi - prestando particolare attenzione ai nuclei familiari che hanno nella concessione la fonte di reddito prevalente e hanno effettuato investimenti nella

struttura; bisogna attuare una liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea, con particolare attenzione all’adeguamento delle piattaforme tecnologiche alle regole dei servizi del settore e dei relativi diversi mercati di riferimento (Taxi/NCC).

Il 93% dei servizi pubblici locali oggi attivi è stato affidato senza gara. La mancanza di procedure competitive incide negativamente sulla qualità e sul costo dei servizi, quindi sulla spesa pubblica, sulla produttività e sulla crescita del Paese. I servizi pubblici locali alla scadenza del contratto di servizio devono essere affidati preferenzialmente tramite gara, prevedendo per il caso di esercizio della facoltà di affidamento in house una valutazione cogente e comparativa della qualità del servizio offerto e che individui i relativi costi per l’utenza.

Esistono infine casi in cui l’intervento pubblico è necessario per rilanciare settori in crisi non strutturale o per assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti. In questi casi il pubblico inter- viene attraverso strutture indipendenti, gestite con governance privatistica e per il minor tempo possibile. È quindi fondamentale concludere l’iter di privatizzazione di ITA e ri-privatizzare l’ILVA (con le dovute garanzie per lavoratori e ambiente).

 

6.                   Piccole imprese e artigianato

Le piccole e micro-imprese artigiane sono i luoghi dei talenti italiani, dove spesso si originano le esperienze del Made in Italy maggiormente di successo. Per sostenere queste realtà occorre accompagnare il passaggio generazionale, favorire il credito diretto e le garanzie, anche attraverso la mutualità privata. Bisogna inoltre promuovere la formazione professionale sul campo attraverso l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato duale.


    Crescita del Mezzogiorno    

 

Le opportunità per rilanciare il Mezzogiorno passano dalle risorse europee, che garantiscono complessivamente circa 130 miliardi di euro fino al 2027 (divisi tra 82 miliardi di euro del PNRR, grazie alla clausola Carfagna del 40%, da utilizzare entro il 2026; 48 miliardi di euro della programmazione 2021-2027 dei Fondi strutturali). A queste si aggiungono le risorse nazionali del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (73,5 miliardi di euro, riservati per l’80% al Sud), da utilizzare, in chiave complementare al PNRR, anche attraverso i Contratti istituzionali di sviluppo e riprendendo e portando a compimento i Masterplan del Governo Renzi sottoscritti nel 2016. L’obiettivo è creare un secondo motore dell’economia per rendere questa area del Paese attrattiva per gli investimenti e ricca di opportunità per i giovani.

 

1.                   Trasformazione della Agenzia per la Coesione in Agenzia per lo Sviluppo

Occorre completare il processo già avviato di riforma dell’Agenzia per la Coesione, rafforzando ulteriormente il suo ruolo di intervento a sostegno dei progetti volti alla riduzione dei divari tra Nord e Sud. Con riferimento al Mezzogiorno, si vuole trasformarla in una vera Agenzia per lo sviluppo. La nuova Agenzia avrà poteri operativi straordinari di affiancamento e, dove necessario, di sostituzione delle amministrazioni locali. Si occuperà di investimenti di qualunque natura nelle regioni meridionali: non solo Pnrr e fondi per la coesione, ma anche investimenti legati alla spesa ordinaria dello Stato, che troppo spesso si disperdono a causa della fragilità amministrativa.

Il ruolo straordinario dell’Agenzia per il Sud dovrebbe durare almeno dieci anni, sulla base di un piano specifico di interventi finalizzati alla promozione di condizioni di crescita economica e di coesione sociale nel Mezzogiorno.

 

2.  Differenziare la defiscalizzazione per incentivare la crescita dimensionale delle imprese Il Governo Draghi ha prorogato la defiscalizzazione nel Mezzogiorno. Questo percorso deve pro- seguire con maggiore intensità introducendo benefici fiscali differenziati per incentivare la cresci- ta dimensionale delle imprese.

 

3.                   Garantire livelli essenziali di prestazioni sociali

Il Mezzogiorno è stato storicamente indebolito da un sistema di interventi sociali parametrati sulla spesa storica e non su indicatori socio-demografici. Con il Governo Draghi si è invertita questa tendenza, garantendo un riequilibrio in particolare rispetto agli asili, agli studenti con disabilità e ai servizi sociali. Si tratta di misure da confermare e potenziare anche in chiave economica, per accrescere il tasso di occupazione femminile e rendere il sistema produttivo del Sud più competitivo e attrezzato. Questo processo di riequilibrio deve essere completato su tutti gli altri capitoli della spesa sociale.

 

4.                   Completare l’Alta Velocità e potenziare i treni regionali

Nel periodo 2008-2018 nelle città intorno all’Alta Velocità il PIL è cresciuto del 7-8% in più rispetto a quelle escluse dal servizio. È necessario, in linea con il PNRR, completare i lavori sulla Na- poli-Bari, proseguire ulteriormente la Palermo-Catania-Messina e realizzare i primi lotti funzionali delle direttrici Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia affinché entrambe possa- no essere realizzate. . È necessario inoltre potenziare le reti ferroviarie regionali e interregionali, soprattutto in Sicilia.

 

5.                   Realizzare l’Esagono della portualità

L’Economia del Mare incide nel Mezzogiorno per il 4,4% sul valore aggiunto, per il 5,7% degli occupati e per il 4,6% del totale delle imprese. Tutti questi dati sono superiori alla media nazionale. Bisogna creare una rete dei porti presenti nelle regioni meridionali, mettendoli a sistema grazie a una cabina di regia, e valorizzare in particolare le opportunità di crescita e di investimenti nazionali e internazionali offerte dalle ZES (Zone Economiche Speciali). Devono essere realizzati i collegamenti di ultimo miglio tra le aree portuali alla rete ferroviaria, in linea con il PNRR. Questo consentirà di migliorare l’efficienza nella distribuzione delle merci, con particolare attenzione alla filiera agroalimentare e farmaceutica.

 

6.                   Rafforzare la centralità delle zone economiche speciali (XES)

Le Zone Economiche Speciali hanno finalmente visto la luce con norme dedicate alla sburocratizzazione (autorizzazione unica, sportello unico, conferenza dei servizi semplificata, ruolo del commissario), alle agevolazioni fiscali (si propone al credito d’imposta con una maggiorazione dell’importo massimo di investimento agevolabile, da 50 a 100 milioni di euro per singolo progetto) e agli investimenti infrastrutturali dedicati per un ammontare di 630 milioni di euro. Esse dovranno assumere un ruolo centrale nelle strategie di reshoring e per attrarre nuovi investimenti.

 

7.                   Fare del Sud l’hub energetico del Mediterraneo

Occorrono interventi qualificati per consentire al Sud di contribuire in modo determinante all’autonomia energetica dell’intero Paese. Esso deve rappresentare il naturale approdo dei gasdotti, nonché la piattaforma logistica di interscambio. Il Sud, inoltre, costituisce un luogo privilegiato di produzione di energia da fonte solare, eolica, geotermica e marina, e diverrebbe così un protagonista assoluto delle dinamiche della geopolitica mediterranea.

 

8.                   Migliorare i livelli di istruzione e combattere la dispersione scolastica

Le prove Invalsi non attestano solo forti differenze tra Nord e Sud nei livelli di apprendimento, ma evidenziano anche altrettanti forti divari tra le diverse scuole meridionali stesse. A questi dati si aggiungono percentuali altissime di dispersione scolastica, che in alcune aree del Nord sono inferiori alla media europea e in ampie parti del Sud sono invece di ben tre volte superiori. Per

invertire questa tendenza, il Governo Draghi ha investito quasi tre miliardi per le scuole del Sud: la qualità dell’istruzione rappresenta uno dei principali indicatori della qualità dell’intervento pubblico, ma anche una condizione imprescindibile per il rilancio economico delle regioni meridionali.

Povertà educativa e desertificazione economica rappresentano purtroppo due facce della stessa

medaglia.

 

9.                   Combattere spopolamento e desertificazione economica delle aree interne

Negli ultimi 18 mesi si è registrato un significativo cambio di passo nella strategia nazionale sulle aree interne, cioè quelle più distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (mobilità, salute, istruzione). Questa strategia si muove storicamente su due direttrici: lo sviluppo locale e il miglioramento delle reti dei servizi. Nelle aree interne è compresa circa la metà dei comuni e vive circa un quinto dei cittadini italiani. I fenomeni di spopolamento demografico e di desertificazione economica devono continuare a essere contrastati, in particolare al Sud, per connettere l’intero Mezzogiorno, senza escludere o sacrificare determinati territori dalle dinamiche di progresso civile e sociale.

 

10.                Aumentare la diffusione della rete internet

È necessario aumentare il numero di abitazioni con accesso alla fibra fino a casa, che ad oggi è il 26,8% dei totali accessi internet nel Mezzogiorno (8 punti percentuali in meno delle regioni del nord ovest).

 

11.                Aumentare la quota di turismo non balneare per garantire maggiore continuità

Il Mezzogiorno attrae meno turisti rispetto al resto del Paese (18,5% del totale) e rispetto alle altre aree che si affacciano sul Mediterraneo. Quello che ospita, è un turismo prevalentemente balneare caratterizzato da forte stagionalità e da bassa contribuzione al valore aggiunto. Per sfruttare il potenziale turistico del Mezzogiorno, è necessario aumentare la spesa pro-capite dei comuni del Sud in cultura: ad oggi si registra una spesa di 8,9 euro, che equivale a meno della metà rispetto alla media nazionale. Bisogna, inoltre, migliorare la capacità di accoglienza (nel Mezzogiorno sono presenti il 17,1% delle strutture ricettive italiane) e la qualità dei servizi connes-si.


 

 

12.    Rimuovere i vincoli indiretti alla crescita economica e al benessere sociale

Per le regioni del Mezzogiorno è particolarmente importante rimuovere i vincoli che frenano gli in- vestimenti e la formazione scolastica e professionale anche nel resto d’Italia. In particolare, come approfondito nelle altre sezioni del programma, è necessario: ridurre i tempi della giustizia; semplificare i processi della Pubblica Amministrazione per diminuire la burocrazia e aiutare i Comuni a migliorare le proprie performance, al fine di sfruttare le opportunità del PNRR e di rendere ser- vizi ai cittadini più efficienti; potenziare il sistema sanitario sia a livello ospedaliero sia territoriale; rafforzare l’istruzione scolastica e la formazione sin dai primi mesi, anche ristrutturando gli edifici per aumentare la diffusione del tempo pieno; investire in sicurezza; costruire gli impianti necessari per la gestione dei rifiuti e potenziare la raccolta differenziata; ristrutturare la rete idrica per ridurre il problema delle perdite.


 


   Energia e ambiente   

 

Energia

1.           Breve Periodo: raggiungere l’indipendenza dal gas russo

L’indipendenza dal gas russo è diventata una questione di sicurezza nazionale e come tale dovrà essere affrontata. Per questo riteniamo necessario:

    completare con procedure straordinarie la costruzione di due rigassificatori galleggianti

che consentano l’importazione di gas naturale liquefatto in sostituzione di quello russo;

    aumentare la produzione di gas nazionale ri-attivando e potenziando gli impianti già esistenti, anche valutando possibili partnership con le imprese di produzione del gas per la con- divisione dei costi in cambio di forniture a prezzi concordati. Dal 2001, infatti, la produzione nazionale di gas è diminuita dell’80% a fronte di una domanda di consumo sostanzialmente invariata: questo ha comportato un aumento delle importazioni;

    rafforzare la strategia sulle energie rinnovabili, anche completando il processo di individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili per velocizzare il processo di localizzazione e autorizzazione; completare l’opera di semplificazione delle autorizzazioni per gli impianti; programmare le nuove aste FER; valorizzare l’idroelettrico come asset strategico per il paese; favorire lo sviluppo dell’idrogeno;

    aiutare le imprese a ridurre i costi della bolletta elettrica incentivando con garanzia statale

la produzione di energia rinnovabile per autoconsumo (inclusi i sistemi di accumulo);

    promuovere in EU un price cap a tutto il gas importato per ridurre anche il costo dell’energia elettrica. In subordine, introdurre modalità più efficienti e più efficaci di quelle recentemen-te individuate per trasferire la extra-rendita reale (non presunta) delle imprese energetiche   inclusi i trader a famiglie meno abbienti e imprese energivore;

    intervenire sul prezzo della CO2 a carico delle imprese (incluse quelle energetiche). Esso, a causa della guerra in Ucraina ed il conseguente aumento della generazione elettrica a carbone, è cresciuto del 300% dal 2021, contribuendo alla spinta inflattiva. È quindi necessario che la Commissione Europea utilizzi le quote della market stability reserve per ridurre il prezzo della CO2 fino al termine della crisi.

 

2. Medio periodo: ridurre del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 con fonti rinnovabili

Dobbiamo proseguire il percorso di decarbonizzazione, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% rispetto al livello del 1990, possibilmente entro il 2030. Qualora il livello delle importazioni di energia elettrica dall’estero e di generazione idroelettrica interna risultassero inferiori alle aspettative, e dunque si dovesse destinare il biogas prevalentemente ad usi non elettrici, la capacità elettrica rinnovabile addizionale potrebbe essere ben superiore ai 70 GW cui fanno riferimento gli scenari europei. In questo caso la capacità rinnovabile intermittente complessivamente installata potrebbe superare i 140 GW, con conseguenti problemi di congestione delle linee di trasmissione e fabbisogno di grandi capacità di accumulo. Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 è quindi necessario sviluppare sin da ora strumenti alternativi come i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 prodotta dalle centrali termoelettriche.

È inoltre fondamentale scorporare il prezzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili da quello dell’energia da fonti fossili per ridurre il prezzo medio ed evitare che l’attuale crisi possa ripetersi, anche attraverso l’efficientamento del mercato energetico. Ad esempio, è necessario definire una piattaforma per lo scambio di contratti di lungo periodo per energia prodotta da fonti rinnovabili.

Infine, proponiamo di rilanciare il ruolo del c.d. “Prosumer” sia a livello delle Comunità Energetiche (famiglie e Pubblica Amministrazione), sia a livello di distretti industriali (PMI e grandi imprese) attraverso un accesso prioritario alle aree idonee per gli “impianti rinnovabili” di cittadini ed imprese. Così, si conterrà in modo strutturale il costo dell’energia, promuovendo al contempo la competitività e accelerando il processo di decarbonizzazione Lungo periodo: includere il nucleare nel mix energetico per arrivare ad “emissioni zero” nel 2050

L’obiettivo “emissioni zero” al 2050 passa da una forte elettrificazione degli usi di energia, con un fabbisogno elettrico tra il doppio e il triplo dell’attuale. Per questo è necessario utilizzare il giusto mix di generazione, che includa rinnovabili e nucleare, impiegando le migliori tecnologie disponibili. Generare tutta l’energia elettrica necessario al 2050 con sole tecnologie rinnovabili variabili richiederebbe impianti eolici e fotovoltaici, sistemi di accumulo di breve e lungo termine, reti elettriche e conseguente occupazione di suolo in misura almeno tripla rispetto a un mix ottimale con rinnovabili e nucleare. Inoltre, i costi del sistema elettrico sarebbero fino al 50% più elevati.

Per raggiungere questo obiettivo, occorre sin da ora definire il quadro regolatorio che disciplini il

dispiegamento nel tempo delle tecnologie necessarie, alle migliori condizioni economiche.

 

Transizione ecologica

Per raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai valori del 1990 bisogna ridurle del 41% rispetto al 2018. Oltre ad operare sul piano energetico, è necessario intervenire nei settori che possono influire maggiormente sulla riduzione delle emissioni: trasporti (responsabili del 26,6% delle emissioni totali), edilizia (che producono il 19,2% delle emissioni totali) e foreste (sottraggono un decimo delle emissioni).

 

1.              Ridurre l’impatto del trasporto merci e diminuire l’uso di mezzi privati inquinanti

L’Italia ha una flotta di veicoli per il trasporto su gomma più vecchia rispetto alla media UE. Inoltre, la percentuale di trasporto su ferro del 12% è la ventesima in Europa, dove la media è del 20%. Per ridurre le emissioni, innanzitutto, è necessario ringiovanire il parco mezzi, ripristinando il super e iper-ammortamento al 130% e 140%, destinato alla progressiva sostituzione delle flotte con mezzi meno inquinanti per il trasporto merci. Per favorire il trasporto su ferro bisogna investire 8 miliardi di euro al fine di integrare le reti ferroviarie italiane nei corridoi europei: dovranno realizzarsi 5.100 km di binari per consentire il transito dei treni merci più lunghi (750 mt). Per diminuire l’uso di mezzi privati inquinanti bisognerà aumentare la costruzione annuale di metropolitane (da 14,2 km a 20 km) e di tramvie (da 16,9 km a 25 km) per un costo di 1 miliardo di euro l’anno; procedere con lo svecchiamento del parco autobus (5 miliardi in tre anni) e del parco treni (2 miliardi di euro); aumentare car e bike sharing con incentivi mirati ad ammortizzare i costi di acquisto dei mezzi. Infine, per favorire l’acquisto di macchine ibride ed elettriche da parte dei privati, bisognerà aumentare gli incentivi per queste macchine, e favorire l’installazione di punti

ricarica pubblici urbani (sia stradali che privati) ed extra-urbani per auto elettriche e ibride plug-in.

 

2.              Abbassare i consumi di energia, migliorando l’efficienza energetica degli edifici e au- mentando il calore generato da fonti rinnovabili non nocive per l’ambiente

La principale causa di emissioni nell’edilizia è il riscaldamento, che assorbe l’80% dell’energia utilizzata dagli edifici. È quindi necessario aumentare il numero di case che utilizzano il teleriscaldamento (per una volumetria del 13%), prolungando la rete di 900km entro il 2030. Il costo sarebbe di circa 2,5 miliardi di euro. È necessario, inoltre, costruire 250 impianti di teleriscaldamento alimentati con legno cippato nei piccoli Comuni montani. Questi impianti costano 125 milioni di euro e permettono di risparmiare circa 112 mila tonnellate di CO2 l’anno. Occorre infine investire 1,2 miliardi di euro in centrali di biogas, al fine di immettere il biometano nella rete di riscaldamento, e realizzare un piano di azione per la ristrutturazione e l’efficientamento energetico dell’edilizia pubblica.

 

3.              Garantire la manutenzione delle foreste e rilanciare la filiera del legno

In Italia, ogni anno le aree boschive sottraggono circa 46,2 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera (circa il 10% del totale). Una gestione sostenibile di queste aree garantirebbe un aumento del 30% dell’assorbimento di carbonio. È quindi necessario contrastare l’abbandono delle aree boschive (urbane ed extra-urbane) aumentando i controlli sui Piani di gestione forestale coordinati a livello regionale. Per stimolare il rafforzamento della filiera del legno, seconda industria manifatturiera in Italia, bisognerà investire 6,6 milioni di euro nelle regioni più ricche di patrimonio forestale: si creerebbero così percorsi dedicati alla formazione in mestieri del legno negli istituti tecnici e negli ITS. Altri 25 milioni di euro andrebbero destinati alla realizzazione di 50 piattafor- me logistico-commerciali.

 

4.              Approvare un piano per la gestione del dissesto idrogeologico e aumentare gli investimenti

Siamo tra i primi paesi al Mondo per danni causati dal dissesto idrogeologico, e impieghiamo in media circa 3,5 miliardi l’anno dal 1945 per contrastare i dissesti. Oltre alla redazione di un appo- sito piano e di un framework normativo per il cambiamento climatico, riteniamo quindi necessario aumentare gli investimenti in prevenzione e in infrastrutture di contenimento. Inoltre, bisogna rendere obbligatoria l’assicurazione contro i danni da calamità naturali (oggi solo il 2% delle abitazioni ne sono coperte). Infine, risulta altresì necessario ripristinare l’unità di missione contro il dissesto idrogeologico.

 

Crisi idrica

Nel 2022 si è registrata una diminuzione di circa il 45% della pioggia e di circa il 70% della neve rispetto alle medie degli ultimi anni. Il Po è sceso di 8 metri, la resa del grano è diminuita del 15% e la produzione di latte da mucche è diminuita del 10%. Nei prossimi anni è ragionevole aspettarsi una progressiva riduzione delle precipitazioni (o comunque una loro concentrazione in alcune stagioni). Le nostre proposte hanno l’obiettivo di evitare che l’attuale crisi si possa ripetere.

 

1.              Recuperare e realizzare nuovi invasi e bacini per trattenere le acque piovane

In Italia solo l’11,3% dell’acqua piovana viene immagazzinato, sprecando così un potenziale enorme. Il PNRR dedica 2 miliardi di euro per investimenti in infrastrutture idriche: proponiamo che questi finanziamenti vengano utilizzati per la realizzazione degli invasi. È inoltre necessario incentivare la pulizia degli invasi esistenti semplificando le disposizioni normative riguardanti la gestione dei detriti.

 

2.              Ristrutturare la rete idrica italiana per ridurre le perdite (attualmente del 40%)

Oltre il 40% dell’acqua viene dispersa o sprecata nella rete idrica. Paragonato agli altri Paesi europei questo dato è allarmante: in Francia la dispersione nella rete idrica ammonta al 20% e in Germania l’8%. In media solo 3,8 metri di condotte per ogni chilometro di tubi a fine vita viene sostituito ogni anno e quasi tutti gli interventi sono al Centro Nord. È necessario aumentare il tasso di sostituzione. A quasi 30 anni dall’approvazione della legge Galli, in molte parti d’Italia la gestione del servizio idrico è ancora lontana da una logica industriale - che è invece necessaria per una gestione efficiente, per investimenti adeguati e per salvaguardare la natura primaria del bene acqua.

Gli investimenti nel settore idrico in Italia sono inferiori rispetto alla media europea: 49 euro pro-capite nel biennio 2020-2021 contro i 100 euro pro-capite in Europa. Per effettuare gli investimenti di cui alle proposte 1, 2 e 3 è necessario ridurre il numero degli operatori. Gli operatori del servizio idrico sono circa 2.500, ma solamente il 17% di questi è costituito da gestori industriali privati. Essi investono 6 volte più dei loro competitor pubblici ma solamente circa la metà dei loro omologhi europei. È quindi fondamentale, tramite un maggiore coordinamento regionale,

ridurre il numero di operatori e aumentare le dimensioni degli stessi: così verrà incrementata l’efficienza e la capacità di attrarre capitali privati.

 

3.              Promuovere un piano per il riuso delle acque di depurazione

In Italia non esiste un piano nazionale per il riuso delle acque di depurazione, nonostante il grande potenziale di questa risorsa: quasi il 30% dell’acqua restituita dai sistemi di depurazione è di buona qualità ma, invece di essere utilizzata, in agricoltura finisce nei fiumi o in mare. Occorre stabilire che le nuove costruzioni edilizie prevedano il riuso delle acque grigie.



 

4.              Incentivare gli investimenti in sistemi di irrigazione che riducono gli sprechi d’acqua

Questa misura è rivolta principalmente agli imprenditori del settore agroalimentare, i quali investono nell’irrigazione di precisione. Essa consente di ridurre gli sprechi ma anche di avere migliori rendimenti, al contempo monitorando le fasi delle colture ed evitando alle piante gli stress da carenza o da sovrabbondanza di acqua. Oltre al sistema di irrigazione goccia a goccia, gli incentivi sarebbero accessibili anche a chi investe nel controllo delle fasi di irrigazione e di micro-irriga- zione digitale e da remoto.

 

Economia circolare

L’Italia è uno dei Paesi europei più virtuosi in materia di economia circolare: complessivamente ricicliamo circa il 68% dei nostri rifiuti (urbani e speciali), contro una media UE del 35%. Inoltre, produciamo quasi la metà dei rifiuti rispetto alla media europea. Per quanto riguarda i rifiuti urbani, la quota di raccolta differenziata varia molto tra regioni del Nord (circa 68,13%) e regioni del Sud (circa 56,8%). In particolare, delle 8 regioni che non rispettano il target europeo sulla

raccolta differenziata, 6 si trovano nel Mezzogiorno. Inoltre, in contrasto con la logica dell’economia circolare che vede il rifiuto come una risorsa, l’Italia ha un trend in aumento di rifiuti esportati all’estero.

 

1.              Realizzare un piano di investimenti per nuovi impianti di trattamento dei rifiuti

Il sistema impiantistico italiano per la gestione dei rifiuti è rimasto indietro e deve essere rafforzato. Se da una parte è importante dare priorità alla Strategia UE per l’economia circolare, che privilegia il recupero materico dei rifiuti, non si può pensare di volere un sistema a “rifiuti zero” senza avere un termovalorizzatore. Autorevoli istituti di ricerca hanno stimato un fabbisogno di circa 70 nuovi impianti (es: termovalorizzatori, impianti di trattamento bio-meccanico, impianti di smaltimento, ecc..) da realizzare entro il 2035, per un valore di 10 miliardi di euro circa. Bisogna investire ulteriori risorse nel settore: le riforme del Pnrr, infatti, prevedono “solo” 2,1 miliardi di euro per la realizzazione di nuovi impianti per il trattamento e il riciclo dei rifiuti, l’ammodernamen to di impianti esistenti e la realizzazione di progetti “faro” di economia circolare. L’obiettivo è quel- lo di realizzare una rete omogenea di impianti di trattamento e riciclo dei rifiuti dal punto di vista territoriale, consentendo l’ottimizzazione di economie di scala e ottenendo così una gestione più efficiente su macroaree regionali. Infine, è necessario applicare le disposizioni del programma nazionale per la gestione dei rifiuti approvato dal Governo Draghi (si prenda a titolo esemplificativo il superamento del pretrattamento privilegiando il recupero energetico diretto dei rifiuti indifferenziati o l’applicazione del tracciamento dei flussi per il loro monitoraggio). I fondi del PNRR vanno usati per realizzare infrastrutture che migliorino l’economia circolare, ad esempio per aumentare il recupero delle terre rare (RAEE).

 

2.              Aggiungere sulle confezioni maggiori informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti in vendita

Proponiamo una nuova etichetta che, seguendo il modello francese Eco-Score, indichi l’impatto ambientale dei prodotti in vendita facendo riferimento al ciclo di vita, il sistema di produzione (biologico, equo-solidale, etc), l’imballaggio, l’impatto legato ai trasporti, la riciclabilità degli imballaggi e il rispetto della biodiversità. In questo modo sarà possibile incentivare il consumo di prodotti sostenibili e penalizzare quello dei prodotti più inquinanti. Il modo migliore per incentivare l’acquisto di prodotti con punteggi più alti sarà garantito grazie alla riduzione dell’IVA sui prodotti coinvolti. Questa proposta è complementare all’etichetta che sarà obbligatoria dal 2023, che prevedrà solamente l’indicazione di come smaltire la confezione.

 

3.              Incoraggiare l’applicazione della tariffazione puntuale per la TARI

Oggi la TARI tradizionale viene definita in base ai metri quadrati dell’immobile e non è collegata in alcun modo alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta. Proponiamo per questo di rendere operativa su tutto il territorio nazionale l’applicazione della tariffazione puntuale della TARI, sul


 

 

modello di quanto fatto già in molti comuni italiani. Questo tipo di tariffa si basa sul principio del pay as you throw, secondo cui paga di più chi produce più rifiuti. Saranno pertanto premiati gli utenti che effettuano maggiormente la raccolta differenziata e che scelgono prodotti con minori imballaggi, incentivando i produttori a ridurre i materiali usati per il confezionamento. Sarà realizzata una mappatura dei Comuni che hanno applicato il metodo tariffario puntuale e verrà creato un database di esempi di successo che supporti i Comuni che lo devono ancora introdurre.

Nonostante l’ambito di competenza non riguardi direttamente il Governo, il Ministero della Tran- sizione Ecologica può imporre dei LEA a cui tutte le amministrazioni locali si devono adeguare secondo una specifica timeline.

 

4.              Creare un sistema di premialità per i Comuni che riducono la quota di rifiuti non inviati

a riciclaggio

Sul modello dell’Emilia-Romagna, proponiamo di premiare i Comuni con le migliori performances in materia di riduzione e trattamento dei rifiuti. Così, viene scoraggiato l’utilizzo di discariche.


 


   Lavoro   

 

 

Il mercato del lavoro è improntato a un formalismo sfrenato, il costo del lavoro è altissimo, la produttività è bassa, la mobilità professionale molto limitata e gli spazi di ingresso per i giovani sono estremamente ristretti. Le imprese che operano in modo regolare sono sovraccaricate di costi, oneri e procedure molto pesanti, mentre le aziende che scelgono di collocarsi ai confini della legalità riescono a violare ogni regola. Il lavoro flessibile quello che offre garanzie, tutele e opportunità di ingresso nel mercato del lavoro - viene contrastato dal sistema, mentre i contratti precari e illeciti si diffondono senza ostacoli efficaci.

Troppo spesso misure e proposte politiche si focalizzano solo sul lavoro dipendente. Tuttavia, sono 800mila i lavoratori indipendenti che dal 2009 hanno chiuso la loro attività. Solamente nel 2020 si sono persi 154mila posti di lavoro indipendente, di cui circa 38mila liberi professionisti. Sono ancora numerosissime le difficoltà per chi decide di praticare la libera professione. Dal trattamento a livello pensionistico rispetto al lavoro dipendente alla discriminazione che porta all’esclusione da incentivi e agevolazioni concessi ad altri soggetti economici. La strada per una piena uguaglianza è ancora lontana.

 

1.               Introdurre un salario minimo

L’esigenza di garantire a tutti i lavoratori una retribuzione dignitosa deve passare attraverso una serie di azioni condivise con le parti sociali: una legge sulla rappresentanza che combatta il fenomeno dei contratti-pirata e assicuri che siano validi solo i contratti collettivi firmati da orga-nizzazioni realmente rappresentative; la validità erga omnes dei contratti, assicurando la massi- ma copertura di ogni tipologia di lavoro residuale, e la fissazione di un minimo di ultima istanza.

Inoltre, i meccanismi previsti in altre parti del programma (vedi minimo esente e imposta negativa)

assicurano ulteriormente l’innalzamento del reddito disponibile per i lavoratori poveri.

 

2.              Detassare i premi di produttività

Stimolare la produttività del lavoro riducendo le tasse che si pagano sulla retribuzione erogata

per premiare gli incrementi della produttività, detassando completamente i premi.

 

3.              Supportare le imprese che investono in riqualificazione della forza lavoro (non solo dipendente)

Il 39% delle posizioni aperte per il mese di giugno 2022 sono di difficile reperimento per man- canza di candidati o inadeguatezza degli stessi (con picchi del 60% in alcuni settori come quello della lavorazione della carta e del legno). È fondamentale quindi implementare una politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato (anche per l’attuazione del PNRR) e le competenze a disposizione della forza lavoro.

Proponiamo un rimborso per tutte le imprese che, in coordinamento con il MISE, organizzino tramite gli ITS e altri enti di formazione, corsi specialistici organizzati per la creazione delle com- petenze richieste dal mercato (non solo in innovazioni). Tali corsi dovrebbero essere aperti sia a personale interno da riqualificare, sia a lavoratori non ancora assunti e che potranno effettuare colloqui al termine del periodo di formazione.

 

4.              Combattere la precarietà promuovendo la flessibilità regolare

Il decreto Dignità, combattendo il precariato, ha perseguito un obiettivo giusto in maniera total- mente sbagliata, penalizzando il lavoro flessibile regolare e fallendo nel contrastare le peggiori forme di precariato (false partite IVA, collaborazioni irregolari, false cooperative, falsi tirocini, appalti illeciti). Sono queste le forme da combattere, aumentando vigilanza e sanzioni.

Nella stessa ottica, bisogna accorpare e cancellare la miriade di “mini contratti” utilizzati per le forme di lavoro brevi, ripristinando i voucher che regolavano in maniera corretta e trasparente rapporti che, oggi, sono tornati nel limbo dei contratti irregolari.

 

5.              Combattere la burocrazia: piano straordinario per la semplificazione

Bisogna riprogettare il futuro del nostro ordinamento lavoristico, puntando su regole più efficienti e moderne, in grado di attirare e mantenere gli investimenti. Per questo va lanciato un piano straordinario per la semplificazione, finalizzato a cancellare tutte le procedure e le regole inutili e inefficienti; in questo modo si ridurrebbero anche le forme di contenzioso basate su viola- zioni formali, oggi molto diffuse, che minano la competitività del nostro mercato del lavoro senza offrire alcuna garanzia aggiuntiva ai lavoratori.

 

6.              Eliminare il Reddito di Cittadinanza dopo il primo rifiuto e ridurlo dopo 2 anni

Il Reddito di Cittadinanza (“RdC”) è uno strumento pensato male, che ha voluto raggiungere troppi obiettivi con un solo strumento e che ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti. Chi ne ha usufruito non ha trovato lavoro, non è riuscito a formarsi professionalmente e non ha partecipato a progetti di pubblica utilità come previsto dalla normativa. A fronte di 20 miliardi spesi nel primo anno e mezzo, lo strumento ha generato nuova occupazione a tempo indeterminato per meno del 4,5% dei percettori.

Tra i percettori emerge una grande eterogeneità, in particolare per quanto riguarda la prossi- mità col mercato del lavoro e l’occupabilità: 70,7% dei percettori sono senza alcuna esperienza professionale nei tre anni precedenti e oltre il 72,6% dei beneficiari ha completato al massimo le scuole medie. Infine, lo strumento si è dimostrato non sufficientemente incisivo nella lotta contro la povertà: 56% delle famiglie in condizione di povertà assoluta non riceve il RdC, mentre 36% dei percettori risulterebbe sopra la soglia di povertà assoluta. Per questo occorre introdurre delle modifiche che incentivino maggiormente la ricerca di un impiego e l’inserimento nel mercato del lavoro e rendano più giusti e inclusivi i criteri di accesso. Proponiamo che il sussidio venga tolto dopo il primo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione, dopodiché l’importo dell’assegno deve essere ridotto di almeno un terzo e il beneficiario deve essere preso in carico dai servizi sociali del Comune.

 

7.              Adottare modifiche sostanziali che eliminino le iniquità esistenti nella struttura del

sussidio (a danno delle famiglie numerose e a coloro che vivono nelle grandi aree urbane)

 

8.              Consentire concretamente alle agenzie private di trovare lavoro ai percettori del reddito

I Centri per l’impiego non sono stati efficaci nel favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavo- ro - come dimostra la scarsa percentuale di percettori del Reddito di cittadinanza che è riuscita a trovare un’occupazione. Per questo è necessario consentire alle agenzie private per il lavoro

di accedere ai dati dei percettori del reddito, al fine di poter affiancare i centri per l’impiego nella ricerca del lavoro. È inoltre fondamentale che le agenzie private svolgano colloqui mensili obbligatori con i percettori del reddito al fine di monitorare la ricerca di lavoro ed individuare eventuali esigenze formative. Il sussidio deve essere rimosso per i percettori che non partecipano ai collo- qui.

 

9.              Utilizzare ITS e scuole di alta formazione per potenziare formazione dei percettori del sussidio

In Italia abbiamo un problema molto rilevante di mancanza di forza lavoro qualificata rispetto ai lavori richiesti (skills mismatch). È fondamentale quindi potenziare la formazione dei percettori del Reddito di cittadinanza: bisogna prevedere corsi obbligatori da pianificare a livello nazionale sulla base del fabbisogno e dello skill mismatch misurato mese per mese dall’Anpal (a maggio 2022 il 40% delle posizioni era di difficile reperimento) e dalle agenzie private per il lavoro nel corso dei colloqui mensili con i percettori del sussidio. L’erogazione della formazione dovrà esse- re esternalizzata alle scuole di alta formazione pubbliche e private e agli ITS.

 

10.            Semplificare le regole per l’attivazione dei progetti di pubblica utilità e coprirne i costi Un altro meccanismo del RdC che non funziona riguarda l’obbligo (teorico) dei percettori di par- tecipare per otto ore a settimana a progetti di pubblica utilità organizzati da enti del terzo settore.

Oggi questo non avviene a causa di complessi iter burocratici. È quindi necessario semplificare le procedure per l’attivazione di progetti da parte del terzo settore, prevedendo anche coperture di bilancio per le spese di strumentazione e di assicurazione dei percettori. Se gli attuali percettori del RdC lavorassero otto ore a settimana come previsto, il terzo settore beneficerebbe di circa 350mila addetti full time (già retribuiti). Un aumento di circa il 38% degli addetti attualmente impiegati nel terzo settore.

 

11.          Consentire ai lavoratori autonomi di partecipare ai bandi nazionali e regionali come le imprese

I professionisti e i lavoratori autonomi sono frequentemente esclusi da strumenti di incentivo delle attività produttive e da agevolazioni fiscali, in quanto per usufruire di tali strumenti è ne- cessaria l’iscrizione alle Camere di Commercio. Tale requisito, di fatto, emargina i professionisti iscritti ad un albo professionale. Per questo riteniamo necessario equiparare, ai fini della parte- cipazione a bandi nazionali e regionali, l’iscrizione agli albi e agli ordini professionali da parte dei liberi professionisti all’iscrizione alla Camera di Commercio da parte delle imprese.

 

12.          Incentivare la crescita dimensionale degli studi professionali

Uno degli elementi di debolezza delle attività dei lavoratori autonomi in Italia risiede nelle di- mensioni contenute degli studi professionali, sia dal punto di vista del numero dei professionisti occupati, sia per quanto riguarda il capitale finanziario impegnato. In un mercato sempre più complesso e diversificato, la crescita competitiva passa inevitabilmente attraverso l’aggregazione multidisciplinare. Al momento, tuttavia, vi sono fortissime barriere fiscali per chi vuole formare una Società tra Professionisti (STP), la quale comporta un incremento sostanziale del carico fiscale. Occorre intervenire su questo aspetto, eliminando il disincentivo fiscale e intervenendo anche sulle problematiche di carattere normativo, contributivo e disciplinare.

 

13.            Completare la riforma sull’equo compenso delle prestazioni professionali

Il disegno di legge sull’equo compenso dell’ultima legislatura è un buon punto di partenza ma necessita comunque di importanti modifiche per giungere alla sua piena ed effettiva applicazione. Inoltre, vanno sanate situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti “forti” (imprese bancarie e assicurative nonché le imprese diverse dalle PMI).

 

14.            Potenziare la cassa integrazione per i professionisti e le politiche attive per gli autonomi

La legge di bilancio 2021 ha istituito, in via sperimentale per il triennio 2021-2023, l’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa: essa rappresenta una sorta di cassa integrazione facoltativa dedicata agli autonomi che si trovano in particolari situazioni di difficoltà. Il provvedimento si è rivelato pieno di vincoli, che ne hanno compromesso fortemente le potenzialità soprattutto a causa dei requisiti di accesso troppo restrittivi. In attesa del completamento del triennio di sperimentazione, è bene correggere fin da subito le maggiori criticità della misura, par- tendo dalla riduzione dell’aliquota contributiva da versare all’INPS e dalla rimodulazione dei criteri di accesso. Contestualmente andranno definiti, attraverso nuovi percorsi di politiche attive, gli strumenti necessari per l’aggiornamento professionale dei lavoratori autonomi, come ad esempio gli accordi con le associazioni di categoria. L’obiettivo ultimo deve essere quello di garantire misure di riqualificazione per mantenere, ed eventualmente anche innalzare, la competitività nel mercato del lavoro.

 

15.            Istituire un sistema opzionale di mensilizzazione del versamento delle imposte dirette per i lavoratori autonomi

Il sistema del saldo e dell’acconto va riformato. Occorre offrire ad un lavoratore autonomo la possibilità di mensilizzare il versamento delle imposte dirette, spalmando da luglio a dicembre l’attuale acconto di giugno e da gennaio a giugno dell’anno successivo l’attuale acconto di fine novembre.


 


   Fisco  

 

 Nessun settore come il fisco dimostra l’essenza del problema italiano: uno status-quo vecchio ed inefficiente (l’ultima riforma sistemica fu pensata negli anni ‘60 del secolo scorso), oggetto di chiacchiere infinite da parte di opposti populismi troppo impegnati in una guerra di slogan ac- chiappa-voti per pensare e realizzare un serio progetto di riforma. Il fisco italiano deve essere rivoluzionato, ma non a parole: con una seria e graduale opera di riforma sistemica, in grado di consegnare a famiglie e imprese un sistema più leggero (riducendo il cuneo fiscale) e più sempli- ce. Questi i capisaldi fondamentali.

 

1.              IRPEF

Il “manuale di istruzioni” – e solo quello principale - della principale imposta italiana consta di 341 pagine. Poteva, forse, essere accettabile nel vecchio mondo. Ma nell’epoca della globalizza- zione è un fattore di scarsa competitività e di enorme freno alla crescita. Proponiamo di riformare l’Irpef attraverso questi interventi:

    introduzione di un minimo esente, inteso come maxi-deduzione corrispondente all’ammontare che viene giudicato essenziale per sopravvivere. Esso, in una società liberale e attenta agli ultimi, non può essere oggetto di tassazione da parte dello Stato;

    unificazione tra la detrazione per lavoro autonomo e quella per lavoro dipendente;

    semplificazione dell’imposta, spostando tutte le spese fiscali in un sistema a rimborso diretto: pagamenti con strumenti tracciabili, e periodicamente lo Stato rimborserà la percen- uale oggetto della vecchia detrazione;

    semplificazione della struttura delle aliquote;

    detassazione specifica per i giovani: totale fino a 25 anni, ridotta del 50% fino a 29 anni;

    creazione della tassazione negativa, sul modello anglosassone: per i livelli di retribuzione inferiori al minimo esente, lo Stato integrerà la retribuzione del lavoratore in misura crescen-te con la retribuzione stessa. In questo modo, si inverte la distorsione causata dal Rdc e lo si trasforma in una logica per la quale più il percettore si impegna, più la retribuzione viene integrata;

    detassazione straordinaria - per il solo 2022 di una extra mensilità (fino a 2,200 euro), che le imprese potranno scegliere di erogare ai propri dipendenti ai fini alleviare gli effetti dell’inflazione.

 

2.              IRAP

Un paese che ha uno strutturale problema di crescita non può più permettersi di avere un’im- posta che colpisce la mera accumulazione dei fattori produttivi. Nella legge di bilancio 2022 abbiamo contribuito in maniera decisiva ad abolirla per le persone fisiche (835.000 contribuenti). Si necessita il completamento dell’abolizione per le altre categorie giuridiche (società di persone, enti non commerciali, società tra professionisti, società di capitali).

 

3.              IRES

    uniformazione del bilancio fiscale a quello civilistico;

    detassazione completa per gli utili trattenuti in azienda e per quelli destinati a schemi di partecipazione da parte dei lavoratori;

    aliquote dimezzate per cinque anni in caso di fusioni tra imprese;

    riordino normativo e unificazione del sistema dei crediti di imposta in caso di comporta- menti virtuosi e/o in linea con la transizione ecologica;

    estensione della procedura di predeterminazione del carico di imposta (cooperative com- pliance).



 

4.              IVA

Passaggio ad un sistema a due aliquote (una ridotta e una ordinaria) e contestuale riordino dei

beni e servizi assoggettati a ciascuna aliquota e ad aliquota zero.

 

5.              Riduzione della tassazione del risparmio

    Riforma della tassazione del risparmio in senso favorevole al contribuente, armonizzando i criteri di determinazione delle basi imponibili e unificando le categorie “redditi da capitale” e “redditi diversi di natura finanziaria”, in modo da consentire le compensazioni fiscali;

    Fiscalità specifica per cercare di convogliare il risparmio privato italiano verso l’economia reale: rafforzamento dei Pir (ordinari e alternativi) e creazione di strumenti nuovi che favoriscano l’allocazione del risparmio degli investitori istituzionali verso l’economia reale.

 

6.                   Lavoro autonomo

Il regime forfettario ha favorito tanti lavoratori ma, nella sua attuale versione, costituisce una formidabile barriera contro la crescita. Oltre la soglia di 65.000 euro di ricavi annui, infatti, vi è un “burrone” fiscale che scoraggia la crescita o incentiva al sommerso. Proponiamo di realizzare, per chi supera questa soglia, uno scivolo biennale di tassazione agevolata che accompagni gradualmente l’ingresso alla tassazione ordinaria Irpef.

 

7.              Riscossione e lotta all’evasione

Dal 2014 al 2019, come conseguenza dell’introduzione del fisco elettronico, il tax gap fiscale e contributivo si è ridotto di 10 miliardi di euro (dal 22,6% al 18,5%). Uno degli obiettivi PNRR è portarlo al 15,8% entro il 2024. Questo obiettivo può essere raggiunto soltanto continuando gli investimenti nella digitalizzazione e al contempo semplificando e riducendo gli adempimenti.

Servono nuove regole per la gestione del magazzino dei crediti fiscali, che oggi conta 1100 miliardi, la maggior parte dei quali non esigibili. Occorre far partire una “rivoluzione manageriale” nella riscossione, abbandonando l’approccio formalistico a vantaggio di uno rivolto all’efficienza.

 

8.              Codificazione della normativa tributaria

Occorre raccogliere tutta la normativa tributaria in testi unici, periodicamente aggiornati e tra- dotti in inglese.

 

9.              Fisco degli enti territoriali

Ogni livello di governo deve avere uno strumento fiscale esclusivo, il cui gettito tratterrà inte- gralmente; ciò – insieme a una ripartizione chiara delle competenze e a fondi perequativi allocati secondo fabbisogni standard, capacità fiscale e livelli essenziali delle prestazioni costituirà un vero federalismo fiscale basato sull’ inscindibile binomio di autonomia e responsabilità.

 

10.          Incentivi al welfare aziendale

Incremento a 2000 euro (rispetto agli attuali 600) dell’ammontare dei benefici (c.d. fringe be- nefits) concessi dalle aziende ai propri dipendenti. Tale misura, tra l’altro, costituisce un incentivo allo sviluppo del terzo settore, giocando un ruolo importante nell’ offerta di tali servizi. Ampliare la dimensione dei benefits significa dunque favorire il non profit.

 

11.          Incentivi a previdenza complementare per i giovani

Programma di incentivazione all’attivazione di piani di previdenza complementare per gli under 35 anche attraverso strategie di matching da parte del pubblico. Come nella quasi totalità dei paesi UE, va adottato il sistema EET per la fiscalità relativa alla previdenza complementare, eliminando la tassazione del 20% annuo durante la fase di maturazione e favorendo così l’accumula- zione di un montante contributivo più elevato.


 

 

12.          Attuazione e miglioramento della riforma della giustizia tributaria

Si necessita della riforma che istituisce un giudice tributario professionale e le nuove commis- sioni tributarie vanno poste sotto l’egida del Ministero della Giustizia, al fine di garantire l’indipendenza del giudice e rispettando così i canoni costituzionali del giusto processo. Si consente in tal modo l’accesso dei giudici tributari di merito alle funzioni di giudice di cassazione.


 


   Giustizia  

 

 

La fiducia nel sistema giudiziario è crollata. Innanzitutto, per i tempi biblici. Fondamentale quindi proseguire sulla scia delle riforme “Cartabia”, per processi più celeri, l’abbattimento degli arretra- ti. Solo così si restituisce credibilità al sistema giudiziario. Le nostre proposte riguardano tutte le giurisdizioni, gli ordinamenti giudiziario e penitenziario, l’organizzazione amministrativa degli uffici. Di seguito i punti principali, tesi a risolvere i mali trasversali che causano un pessimo funziona- mento dell’intero comparto:

 

1.              Carriere dei magistrati

    Approvazione del DDL di iniziativa popolare promosso dalle Camere Penali sulla separa-

zione delle carriere tra giudici e PM, per assicurare la effettiva parità tra accusa e difesa;

    previsione di un sistema di valutazione di professionalità dei magistrati effettivo e puntuale, anche da parte dei rappresentanti delle università e dell’avvocatura all’interno dei consigli giudiziari;

    revisione della riforma del CSM adottata nell’ultima legislatura, al fine di superare davvero

il sistema delle correnti.

    

2.              Interventi trasversali per tutte le giurisdizioni

    Potenziamento dell’organico dei magistrati, netta riduzione del numero dei fuori ruolo, e ridefinizione del ruolo e delle figure professionali della magistratura onoraria in ottica di valo rizzazione ed efficienza;

    rafforzamento dell’organico amministrativo, per garantire lo smaltimento dell’arretrato - burocratico e giudiziario - e migliorare il rapporto tra giustizia, cittadini ed operatori del settore;

    rafforzamento del processo telematico;

    creazione di un’unica piattaforma telematica per tutti i riti (attualmente ne esistono almeno 10 diverse);

    introduzione di requisiti di formazione manageriale per i magistrati con incarichi direttivi, perché siano preparati anche dal punto di vista della gestione efficiente di strutture complesse;

    informatizzazione degli Uffici e collegamento, tra loro, delle Cancellerie di tutti gli Uffici giudiziari, con contestuale creazione di archivi informatici per la raccolta di dati processuali, con accesso gratuito per gli operatori, al fine di migliorare l’efficienza della macchina giudizia ria e l’accessibilità da parte di cittadini e operatori del settore.

 

3.                   Settore Penale

    Riforma della normativa sulla custodia cautelare, per eliminare ogni possibile abuso: ad

oggi, circa un terzo dei detenuti non ha subito una condanna definitiva;

    incentivazione dei riti alternativi al dibattimento;

    ripristino della prescrizione sostanziale;

    rafforzamento delle norme finalizzate a garantire l’effettiva applicazione del principio della

presunzione di innocenza per contrastare la spettacolarizzazione mediatica;

    introduzione di norme finalizzate a ridurre i casi di appello da parte del pubblico ministero della sentenza di assoluzione in primo grado, garantendo che lo strumento di gravame con- senta di esercitare realmente il diritto di difesa dell’imputato attraverso una valutazione di merito della vicenda processuale;

    riforma del sistema penitenziario, per garantire il rispetto del principio della finalità riedu-cativa della pena, coerentemente con quanto previsto dalla Costituzione.



 

4.              Settore Civile

    Riforma complessiva del processo di primo grado, attribuendo al giudice maggiori poteri di impulso e direzione ed unificando i riti di cognizione, al fine di ridurre significativamente i tempi della giustizia civile;

    valorizzazione della mediazione endoprocessuale quale efficace strumento di deflazione

del contenzioso;

    contenimento dell’abuso del processo, perché si ricorra allo strumento processuale nei soli casi effettivamente necessari;

    introduzione di misure correttive dell’Arbitrato, per renderlo più fruibile e per incentivare il suo uso;

    estensione della garanzia per il gratuito patrocinio ai meno abbienti attraverso l’innalza- mento della soglia, per tutelare il principio dell’inviolabilità del diritto di difesa.

 

5.              Sistema penitenziario

    Rafforzamento del sistema dell’esecuzione penale alternativa alla detenzione in carcere;

    riduzione del sovraffollamento carcerario attraverso interventi di riforma dell’ordinamento

penitenziario e di edilizia carceraria;

    approvazione di una nuova legge sulle detenute madri: mai più bambini in carcere.


   Sanità  

 

La pandemia COVID-19 ha reso evidente come la vulnerabilità di un sistema sanitario pos- sa avere profonde ripercussioni, sia sulla salute degli individui, che sulla crescita economica e

sociale. Sono forti le diseguaglianze relative all’accesso e alla qualità delle cure, l’inadeguatezza dell’assistenza territoriale, la scarsa integrazione tra assistenza sanitaria e assistenza sociale, l’impressionante carenza di personale. Per questo riteniamo necessario:

 

1.              Riformare i meccanismi di governance e coordinamento tra Stato e regioni

Ridefinire la disciplina di competenza di Stato e Regioni con riferimento ed oltre al titolo V della Costituzione Italiana. In particolare, è necessario riconoscere allo Stato funzioni di analisi di dati e bisogni, valutazione delle tecnologie sanitarie, indirizzo e coordinamento delle Regioni. Alle Regioni si riconosce la funzione di erogazione e gestione dei servizi, con il conferimento di accre-ditamento in base a criteri oggettivi ed esigenze territoriali. Nel caso in cui le Regioni non siano in grado di garantire l’erogazione dei LEA, va riconosciuta allo Stato la possibilità di intervenire.

 

2.              Rapporto tra medicina ospedaliera, assistenza primaria, medicina territoriale e servizi sociali

Il nostro impegno è per una Sanità in grado di assicurare un continuum assistenziale tra casa del paziente, territorio, ospedale e viceversa. È quindi necessaria una riorganizzazione dell’assistenza territoriale in ottica di prevenzione e promozione della salute e di garanzia della continuità delle cure. Sono inoltre necessari investimenti sull’assistenza residenziale e domiciliare per la popolazione fragile, finalizzati ad abbattere le esistenti barriere di accesso alle cure attribuibili ad importanti diseguaglianze geografiche e sociali. In particolare, sono necessari investimenti in edilizia sanitaria/abitativa per superare la logica della istituzionalizzazione, con modelli abitativi per la popolazione anziana che integrino assistenza sociale e sanitaria. Urge una revisione del- la Medicina Generale, distinguendo le cronicità di base da quelle di carattere specialistico che saranno prese in carico, sul territorio, da esperti delle varie professioni sanitarie, dagli specialisti ambulatoriali e dai medici di laboratorio, con il supporto della rete delle farmacie. In questo quadro, occorre adottare indicazioni nazionali prescrittive sulla funzione delle Case della Comunità previste da PNRR, che siano proiettate all’esterno con nuove professionalità, come ad esempio lo Psicologo di Base, e con personale presente con un medesimo sistema di guardia notturna e emolumento adeguato a tali ulteriori funzioni. Vanno inoltre incentivate le aggregazioni professionali. Infine, è necessaria un’integrazione della rete di servizi sociali e sanitari, coinvolgendo specialisti multidisciplinari, di concerto con i MMG.

 

3.              Rapporto tra pubblico e privato accreditato, sia in termini di finanziamento che di fun zionamento

È necessario istituire modalità più trasparenti nel differenziare servizi pubblici e privati in modo che questi possano collaborare in sinergia e integrarsi tra loro, con l’obiettivo primario di mettere al centro i bisogni del paziente e le sue scelte di cura in un sistema integrato pubblico/privato che garantisca a tutti la stessa qualità di cura e un servizio pubblico efficace ed efficiente. Inoltre, strategie specifiche vanno identificate per consentire al settore pubblico del SSN di potersi agevolmente rinnovare e dotare di ciò di cui ha bisogno in termini di personale e investimenti in innovazione.

 

4.              Strutturazione di un adeguato sistema di prevenzione e preparedness

Riteniamo necessario incrementare gli investimenti e l’impegno dei servizi sanitari nelle attività di prevenzione e promozione della salute per garantire che l’obiettivo primario del nostro SSN sia la tutela della salute della popolazione e non la cura della malattia. Al riguardo è fondamentale investire in progetti e campagne di prevenzione dalle dipendenze (alcol, sostanze stupefacenti, internet addiction disorder, ludopatie) disturbi alimentari, infortuni sul lavoro e rischi ambientali.

Occorre poi rafforzare la lotta all’antibioticoresistenza con protocolli nazionali obbligatori in tutti i presidi sanitari, raccolta dati centralizzata, formazione specifica degli operatori sanitari. Inoltre, va



 

esteso il rafforzamento e l’integrazione degli organi tecnici non solo a livello nazionale ma an- che a livello europeo, con la creazione di un’Agenzia Nazionale per la prevenzione e la preparedness, per coordinare le attività e garantirne l’omogeneità sul territorio nazionale. In questo quadro è opportuno anche il ripristino degli osservatori regionali della prevenzione e l’implementazione di un sistema di analisi dei dati biometrici e di strutture di laboratorio e ambienti clinici con i più elevati livelli di biosicurezza, nonché investimenti in sanificazione ambientale avanzata per scuole, mezzi di trasporto, uffici pubblici e per dotare i presidi di emergenza di percorsi pandemicfree ed equipaggiare le ambulanze con sistemi di digitalizzazione e attrezzature per il trasporto in isolamento. Proponiamo anche l’istituzione di una “protezione civile sanitaria” formata da professionisti e volontari addestrati al contrasto alle pandemie e la previsione di una formazione continua e obbligatoria per il personale sanitario e sociosanitario su prevenzione e contrasto ai rischi pandemici. Infine, è necessario promuovere, anche a livello europeo, accordi di ricerca e cooperazione con Università e Centri di studio epidemiologico del continente africano per monitorare l’insorgenza di nuove malattie infettive.

 

5.              Formazione e la gestione delle risorse umane

Proponiamo di valutare una più rapida ascesa di carriera in campo sanitario e una remunerazio-ne adeguata al carico di lavoro e soprattutto alle responsabilità, così da limitare contestualmente il fenomeno dell’emigrazione di professionisti sanitari verso l’estero. In questo senso, particolare attenzione deve essere riservata al personale sanitario ospedaliero che in questi anni ha affron- tato pressioni lavorative massacranti. Se, infatti, il PNRR prevede importanti investimenti nell’am-modernamento tecnologico degli ospedali, in parallelo, occorre un progressivo e strutturale aumento degli stipendi degli operatori sanitari degli ospedali, con particolare attenzione a quelli impegnati nei reparti di medicina d’urgenza e in quelli più soggetti a rischi di burnout.

Inoltre, per attrarre personale straniero è necessaria una drastica semplificazione delle proce- dure per il riconoscimento dei titoli di studio esteri per tutte le professioni sanitarie.

È poi fondamentale una riforma dei percorsi di formazione e accesso prevedendo le specializzazioni cliniche, l’ampliamento delle competenze e delle docenze affidate ai professionisti, l’esten-sione della rete formativa e la revisione dell’iter per l’acquisizione delle specialità mediche nonché l’adozione di un contratto specifico di formazione e lavoro che superi il meccanismo delle borse di studio.

Infine, deve essere aumentata la formazione in telemedicina e nelle tecnologie digitali e garan- tirne l’implementazione.

 

6.              Piano straordinario per le liste di attesa

Per recuperare il “deficit di cure” causato dalla pandemia da COVID-19 è necessario varare un piano straordinario per aumentare la capacità produttiva di prestazioni di specialistica ambula- toriale, visite di controllo e interventi. L’obiettivo deve essere ridurre entro un anno il periodo di attesa per tali prestazioni fino ad un massimo di 60 giorni per quelle programmate e di 30 per tutte le altre. A tal fine, per un anno, in tutti i casi in cui siano superati tali termini, si estenderà la regola del Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa 2019-2021 in base al quale il paziente può recarsi in una struttura privata convenzionata senza costi aggiuntivi.

In parallelo occorre implementare misure di contrasto alla mancata aderenza ai piani terapeutici e verifica della appropriatezza delle prescrizioni attraverso un sistema di alert in collegamento con le farmacie e i medici di medicina generale, raccolta ed elaborazione statistica centralizzata dei dati relativi al monitoraggio dei tempi di attesa da incrociare con quelli dei Fascicoli Sanitari Elettronici per intervenire a livello locale in caso di anomalie riscontrate.

 

7.   Piano strategico nazionale per le filiere dell’innovazione

Nonostante l’Italia sia attualmente il primo produttore europeo di farmaci, il sistema presenta elementi di vulnerabilità legata alla dipendenza dagli approvvigionamenti da Paesi extra UE di materie prime e intermedie e dalla sempre più forte competitività degli Stati Uniti e della Cina nel


 

 

campo delle biotecnologie. Per questo è necessario un piano strategico nazionale per il soste- gno alla filiera delle Scienze della Vita e dei dispositivi medici. In aggiunta al miliardo già stanziato, ma che da oltre un anno è bloccato - e che deve subito essere impiegato - occorre investire altri due miliardi di euro. In parallelo è fondamentale una drastica semplificazione degli adempimenti per l’apertura di nuovi impianti produttivi e la rimozione degli ostacoli di carattere burocratico che rendono l’Italia poco attrattiva per le ricerche cliniche.

Infine, è opportuna l’istituzione di un fondo vincolato all’acquisto da parte dei centri accreditati di terapie avanzate e l’individuazione di modelli di accesso e di rimborso delle stesse che siano innovativi, così da valorizzare la componente di investimento di tali trattamenti.

 

8.              Malattie rare, tumori rari e malattie croniche invalidanti

È urgente l’adozione di tutti i decreti attuativi del Testo Unico delle Malattie Rare, nonché del Secondo Piano Malattie Rare con l’incremento del relativo fondo. Inoltre, è necessario inserire nei LEA nuove malattie invalidanti (quali vulvodinia, fibromialgia, ecc.) e istituire un fondo per la sperimentazione triennale in ogni Regione di un nuovo sistema di LEA per pazienti con malattie rare o croniche invalidanti basato sui piani terapeutici personalizzati e non sul rigido meccanismo dell’elenco delle prestazioni riconosciute.

Infine, è fondamentale la costituzione di un fondo strutturale vincolato esclusivamente allo Screening Neonatale Esteso (sul modello di quello per la fibrosi cistica) da ripartire tra le Regioni per l’ampliamento alla diagnosi delle ulteriori malattie incluse nel panel, e l’incremento del fondo dedicato al test di Next-Generation Sequencing.

 

9.              Finanziamento stabile e adeguato a medio termine

Il SSN deve essere adeguatamente finanziato, in misura comunque non inferiore alla media del finanziamento dei Sistemi Sanitari dell’Unione Europea, in termini di entità complessiva. Inoltre, è opportuno destinare una quota non inferiore al 3% del Fondo Sanitario Nazionale alla Ricerca, riaffermando il principio che l’attività di ricerca sia parte integrante e fondamentale del SSN, mo tore virtuoso di sviluppo del Paese.


 


   Scuola, università e ricerca   

 

Scuola

In Italia abbiamo tra i tassi di dispersione scolastica e NEET (giovani che non studiano e non la- vorano) più alti d’Europa, oltre che performance in lettura e in matematica decisamente peggiori rispetto agli standard internazionali, in particolare al Sud. I problemi della scuola sono i problemi del Paese: i numeri drammatici della dispersione implicita e della disoccupazione giovanile segna- no la nostra distanza dagli altri contesti europei e ci dettano l’agenda dei lavori e delle urgenze.

Dobbiamo recuperare efficacia e offrire ai giovani concrete prospettive di crescita culturale e professionale. Ci sono tutti gli strumenti per dare a ogni talento la possibilità di trovare la propria strada.

 

1.              A scuola fino a 18 anni e tempo pieno per tutti

Proponiamo un riordino complessivo dei cicli scolastici ed in particolare:

          portare l’obbligo scolastico da 16 a 18 anni. Rivedere i cicli scolastici a parità di tempo scuo-la frequentato: da 13 a 12 anni, con termine delle superiori a 18 anni e anticipo dell’ingresso dei giovani all’università e nel mondo del lavoro, allineandoci agli standard europei.

          estendere il tempo pieno a tutte le scuole primarie per dare più spazio all’apprendimento venendo incontro alle esigenze delle famiglie e introdurre il diritto alla mensa per tutti con sussidio ai nuclei meno abbienti.

 

2.              Sistema nazionale di valutazione

Va ripreso il percorso interrotto dai governi Conte, perché non può esserci autonomia senza valutazione. E solo un sistema nazionale di valutazione efficace può consentire di individuare le aree su cui è necessario migliorare.

 

3.              Valorizzazione delle professionalità e creazione della carriera di un docente

Si deve procedere a firmare il contratto scaduto da troppi anni in modo da garantire un au- mento significativo dei salari di tutto il corpo docente. E in parallelo bisogna introdurre forme di carriera per il personale della scuola in modo da riconoscere anche formalmente le diverse

professionalità che affiancano il Dirigente Scolastico nel funzionamento organizzativo e didattico, nonché le figure che costituiscono un vero e proprio middle management. Senza questo passag-gio l’autonomia scolastica non potrà dirsi compiuta. Sia per i docenti che per il personale ATA si deve abbattere la percentuale di personale precario, riportandola così a livelli fisiologici.

 

4.              Superare le disparità e le situazioni di svantaggio territoriale

Le rilevazioni sulle competenze degli studenti mostrano profonde disparità territoriali, con con- testi molto critici a causa di condizioni sociali, economiche e culturali particolarmente svantag- giate. Per rimuovere queste situazioni occorre:

          costruire una mappa delle aree di crisi sulla base dei tassi di abbandono scolastico, dei risultati dei test Invalsi e dei dati sull’occupazione a livello comunale (municipale per le città metropolitane);

          riconoscere un incentivo economico a docenti appositamente formati che rimangano, per almeno un ciclo di istruzione, in una scuola ad alta concentrazione di studenti a rischio ab bandono e con tassi di dispersione implicita ed esplicita superiori alla media nazionale;

          ridurre il numero massimo di alunni per classe, per aumentare il tempo che ciascun docente riesce a dedicare a ogni studente, e istituire un tutoring individualizzato per gli studenti con maggiori difficoltà.

 

5.              Potenziare l’educazione civica

È necessario rafforzare le competenze di cittadinanza e la conoscenza del funzionamento delle Istituzioni della Repubblica e dell’UE introducendo la presenza sistematica dell’educazione civica



 

in tutti i programmi scolastici, attraverso una revisione della riforma recentemente approvata che la valorizzi nel curriculum degli studenti di tutte le età.

 

6.              Un nuovo modello per la formazione professionale

Gli studenti degli istituti professionali sono sotto la media europea specie in lettura e in mate- matica. Gli studenti degli Istituti Tecnici Superiori (percorsi post-diploma, alternativi a quelli universitari) hanno invece delle performance molto elevate: l’80% di essi trova lavoro entro un anno dal termine. Perciò, in linea con il PNRR, proponiamo di:

          ridisegnare la formazione professionale secondaria su modello degli ITS garantendo che gli studenti acquisiscano le competenze effettivamente richieste dal mercato del lavoro anche attraverso percorsi duali in apprendistato per anticipare il contatto dei giovani con il mon- do del lavoro, promuovendo la didattica laboratoriale ed esaltando la valenza formativa del lavoro e dei contesti aziendali;

          distinguere due categorie di docenti: a coloro che provengono dai canali ordinari di recluta- mento, si affiancano professionisti/docenti che posseggono competenze tecnico-operative e rappresentano il collegamento concreto con il mondo del lavoro;

          rafforzare nel primo biennio le materie di carattere generale e trasversale, con l’obiettivo di garantire la necessaria flessibilità nella formazione degli studenti.

 

7.              Aumentare il sostegno agli studenti con bisogni educativi speciali

Più fondi alle scuole per stipulare convenzioni stabili con figure esperte per supportare i ragaz- zi in difficoltà. Aumentare le risorse per la formazione degli insegnanti, rendendola obbligatoria. Incentivare la formazione degli insegnanti sulle strategie per gestire gli alunni che manifestano bisogni educativi e stili cognitivi diversi.

 

8.              Riqualificare in dieci anni tutti gli edifici scolastici

Ripensare l’edilizia scolastica, con spazi destinati non solo a “fare lezione”, ma come luoghi di acquisizione attiva di competenze, spazi per lo studio autonomo, per la socialità e per la convivia- lità; luoghi per il lavoro individuale e per il confronto tra i docenti; occasione di incontro, di con- fronto e di partecipazione. Ripristino dell’unità di missione per l’edilizia scolastica.

 

9.              Libertà di scelta educativa

Solo attraverso la libertà di scelta educativa si potranno liberare tutte le energie presenti nelle nostre scuole, statali e paritarie. Libertà che passa sia dalla compiuta attuazione della parità scolastica, sia da una rivoluzione copernicana nel modo di governare le politiche scolastiche: passare dal concetto di autonomia scolastica a quello di scuole realmente autonome. All’interno del sistema pubblico, spetta alla famiglia scegliere la scuola migliore o i percorsi di formazione per i propri ragazzi; e spetta allo Stato l’imposizione di standard di qualità che definiscano un’offerta qualitativamente uniforme e quantitativamente omogenea su tutto il territorio nazionale, a comin-ciare dai servizi educativi per l’infanzia. La libertà di scelta educativa va raggiunta migliorando gli strumenti a disposizione e studiandone altri (buono scuola, rimborsi fiscali, costo standard, ecc.) con l’intento di consentire a tutti di poter scegliere l’educazione per i propri figli senza ostacoli economici insormontabili. A questo percorso deve sempre corrispondere un sistema di controlli e verifiche ministeriali sul rispetto dei criteri e delle regole nazionali.

Università e ricerca

In Italia solo il 29% dei giovani tra i 25 e i 34 anni è laureato, in UE solamente la Romania fa peggio di noi (27%). I dati sullo stato dei finanziamenti alla ricerca non sono diversi: con l’1,5% di investimenti sul PIL, l’Italia è ben al di sotto dei valori che si registrano in Francia e Germania, ri- spettivamente al 2,3% e 3,13%. Abbiamo un sistema di formazione universitaria e ricerca che può contare su un capitale umano (ricercatori, studenti, personale tecnico-amministrativo) di qualità:


 

 

un grande potenziale sul quale investire per dare forza e centralità a un’università accessibile, inclusiva e internazionale e a un sistema della ricerca di base e applicata di qualità e d’impatto.

 

1.              Supportare gli studenti fuori sede

Per supportare l’autonomia abitativa, proponiamo di garantire un sostegno alla residenzialità per tutti gli studenti fuori-sede iscritti a università o ITS per un massimo di 4 anni. In questo modo incentiveremo la mobilità sociale e daremo un accesso alla formazione terziaria più equo. Questa sarà la prima misura di un pacchetto per il riconoscimento del concetto di “cittadinanza Universitaria” che includerà l’introduzione di strumenti e risorse per assicurare servizi sanitari, abitativi, amministrativi e di mobilità.

 

2.              Aumentare l’attrattività a livello internazionale

Gli studenti stranieri nelle università italiane rappresentano solo il 4,5% del totale. È possibile aumentare l’attrattività dei nostri atenei con misure mirate: incremento dei corsi di laurea in lingua straniera, internazionalizzazione dei curricula, incentivazione dei docenti stranieri tramite chiamata diretta, aggiornamento dei servizi agli standard europei per semplificare l’accesso a tutti gli studenti, corsi di italiano per studenti stranieri per incentivarli a rimanere in Italia dopo la laurea.

Prevediamo così l’allargamento della platea universitaria, l’incremento dei nostri ranking e la si- nergia tra studenti locali e stranieri.

 

3.              Avviare un programma di reclutamento dei docenti

Riteniamo necessario avviare un programma di reclutamento per nuovi docenti e ricercato- ri al fine di allineare il rapporto docenti studenti agli standard europei. In Italia, infatti, il numero di studenti per ogni docente è di 20,3, mentre in Francia è di 16,8, nel Regno Unito di 15,4 e in

Germania e Spagna è di 12. Il programma sarà anche l’occasione per correggere alcune criticità dell’attuale composizione del personale docente, caratterizzato da un’età media elevata (oltre 52 anni) e una quota di docenti internazionali del tutto residuale. Il nuovo sistema di reclutamento andrà semplificato e adeguato, promuovendo politiche di genere, accelerando l’ingresso in ruolo dei giovani docenti e dei ricercatori e favorendo l’ingresso e il rientro dei migliori ricercatori sul piano internazionale.

 

4.              Creare una rete organica per la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico

Il divario di investimenti in ricerca tra l’Italia e i nostri vicini europei causa una perdita di competitività e di produttività per il nostro Paese. Proponiamo (in linea con il Piano Amaldi) di aumentare gli investimenti in ricerca di base e applicata fino al raggiungimento di un ulteriore punto percentuale di spesa del PIL dedicata alla ricerca per allinearci alle percentuali europee. Alcuni progetti, già previsti dal PNRR contribuiranno all’incremento della spesa in ricerca. Tra questi citiamo i finanziamenti a progetti e ricerca di singoli ricercatori sul modello European Research Council, finanziamenti a strutture di ricerca mediante bandi di programma di ricerca e promozione dei dottorati di ricerca e dei dottorati industriali, ancora poco conosciuti.

 

5.              Trasformare gli atenei in fondazioni di diritto privato a capitale interamente pubblico

Le università sono realtà di mercato: competono a livello mondiale per i migliori studenti, i migliori docenti, i fondi di ricerca e per i risultati della propria attività di ricerca. Ma in Italia il conte- sto giuridico all’interno del quale si muovono gli atenei è quello del diritto amministrativo, che per sua natura regola le realtà non-di-mercato. Questo provoca un asfissiante eccesso di burocrazia che limita le enormi potenzialità dei nostri atenei. Pertanto, al fine di consentire all’università italiana di competere con tutte le sue energie e potenzialità nel mercato globale, proponiamo

di trasformare gli atenei in fondazioni di diritto privato (a capitale totalmente e orgogliosamente pubblico).


 


   Diritti e pari opportunità    

 

Diritti

La garanzia e l’espansione dei diritti civili e dello Stato di diritto in una società aperta è lo spar-tiacque tra il mondo libero e democratico e il mondo chiuso e illiberale, e definisce più di ogni altra cosa l’identità comune europea.

 

1.              Tutelare i diritti civili e combattere le discriminazioni

È necessario approvare quanto prima una legge contro l’omotransfobia, istituire l’Autorità Na- zionale Indipendente per la Tutela dei Diritti Umani, e adottare iniziative di prevenzione e contra- sto di ogni linguaggio d’odio.

 

2.              Assicurare il rispetto dei diritti e doveri da parte del genitore non collocatario nel caso di coppie separate

Nel 2019 risultano divorziati (non risposati) 681.000 uomini e 990.000 donne. La legislazione vigente configura un sistema che introduce per le famiglie divorziate una monogenitorialità di fatto, con l’invenzione della figura del genitore “collocatario”, il quale gestisce i figli in pressoché completa solitudine, e dall’altra parte il genitore “non collocatario”. Vogliamo garantire il paritetico coinvolgimento dei genitori, a prescindere dalla loro convivenza e dal loro rapporto, nelle cure domestiche e nella crescita ed educazione dei figli, nel rispetto del principio di parità e pari op- portunità. Per raggiungere questo obiettivo, la prima misura da implementare è assicurare il diritto di affidamento e domicilio presso entrambi i genitori del minore (salvo indicazioni particolari dei giudici e con particolare riguardo ai casi di violenza domestica e maltrattamenti).

 

3.              Tutelare le persone con disabilità con una normativa omogenea in tutte le regioni

Per realizzare l’inclusione sociale è necessario implementare misure relative al ‘budget di salute’ delle persone con disabilità. Questo termine indica l’insieme delle risorse e i servizi necessari a restituire alla persona con disabilità un ruolo sociale attivo, da realizzare attraverso un progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato. È necessario:

          favorire interventi per l’abitare civile, perseguendo l’obiettivo di contrasto a forme di segregazione esistenti e garantendo il diritto alla realizzazione del proprio progetto personalizza- to di vita;

          eliminare tutte le barriere che è possibile rimuovere (fisiche, logistiche e culturali);

          favorire programmi di vita indipendente; riconoscere la figura del “caregiver”, istituendo il

Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza;

          un piano shock per la piena accessibilità di edifici e servizi pubblici;

          un “incentivo accessibilità” destinato ai negozianti e gestori di pubblici esercizi che, pur

in assenza di opere di dimensione tale da imporre per legge l’abbattimento delle barriere architettoniche, adottino interventi per consentire l’accesso agli spazi da parte delle perso- ne con disabilità (ad esempio, eliminazione del gradino di ingresso, l’installazione di banconi ribassati, la realizzazione di servizi accessibili);

          l’adozione di un’“assegno per la vita indipendente e la non istituzionalizzazione”, svincolato dal FNA, che vada ad aggiungersi all’indennità di accompagnamento e che sia destinato specificamente a favorire l’autonomia, anche abitativa, delle persone con disabilità non autosufficienti di età più giovane, prevenendo l’istituzionalizzazione e favorendo la deistituzionalizzazione. I requisiti di accesso alla misura saranno accertati da INPS, ma il loro impie- go arà determinato con il supporto dei servizi sociali locali, sulla base della volontà della persona interessata e prevedendo sistemi di monitoraggio e rendicontazione;

          rendere sistemici gli istituti sperimentati durante il COVID-19 a tutela dei lavoratori fragili: in particolare, nel caso di persone con disabilità o in condizioni di fragilità, il diritto al lavoro agile (c.d. smart working) da eccezione, deve divenire strumento strutturale;



 

          adottare i decreti attuativi del Jobs Act, con particolare riferimento alla figura del disability manager e, più in generale, incentivare, nell’ambito delle politiche attive per il lavoro, l’assun-zione di persone specificamente formate al collocamento di persone con disabilità;

          intervenire sui meccanismi fiscali che oggi creano un conflitto per le famiglie che, a fronte di retribuzioni minime per il figlio con disabilità derivanti da stage o percorsi di apprendista- to, rischiano di perdere il fondamentale beneficio del mantenimento del figlio a carico.

4.              Consentire il voto per studenti e lavoratori fuori sede

Attualmente le persone con domicilio in una città diversa da quella di residenza (solo gli stu- denti fuori sede sono circa 500 mila) non possono votare nella città in cui vivono. Questo limita fortemente la loro capacità di esercitare il proprio diritto di voto in quanto non è sempre possibile tornare nella città di residenza per votare e comunque potrebbe avere un costo che non tutte le famiglie possono sostenere. Per questo proponiamo che venga consentito l’esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini domiciliati, per motivi di studio universitario o di lavoro, fuori della regione di residenza.

 

Pari opportunità

Dall’analisi comparativa con il resto dell’Europa, l’Italia risulta oggi al 14° posto per parità di ge- nere, con un punteggio del Gender Equality Index inferiore alla media europea e ben lontano dai primi tre Paesi della classifica (Svezia, Danimarca e Francia), nonostante abbia compiuto il progresso più importante tra tutti i paesi dell’Unione Europea negli ultimi anni, con un incremento di oltre 10 punti in 7 anni. In particolare, in termini di partecipazione femminile al mercato del lavoro, qualità e segregazione dell’attività lavorativa in differenti settori, l’Italia si posiziona al 28° (e ultimo) posto in Europa. Nonostante gli ultimi dati Istat abbiano certificato il più alto tasso di occupazione femminile di sempre, questa risulta essere significativamente inferiore a quella maschile, in particolar modo per le donne madri. Una donna su cinque, infatti, lascia il lavoro entro due anni dalla maternità.

Per intervenire sulle disparità effettive nel trattamento tra i generi abbiamo bisogno di riformare in modo strutturale il sistema di welfare e di investimenti, di permettere alle donne di perseguire gli stessi obiettivi degli uomini in una dinamica di equa competizione ed uguali responsabilità e ri- conoscimento. È in questo contesto che, in pieno accordo con le linee guida europee, il Governo Draghi ha dotato per la prima volta il Paese di una Strategia Nazionale per la parità di genere, che è anche strategia di riferimento per l’attuazione del PNRR. La Strategia prevede di raggiungere, entro il 2026, un incremento del 5% nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere. Seguendo l’impianto della Strategia, le nostre proposte, insieme a quelle relative a famiglie e giovani (inclusi gli asili nido), mirano a promuovere la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e ad aumentare concretamente la parità di genere.

 

1.              Estendere la Certificazione della parità di genere per ridurre il gender pay gap, mi gliorare le condizioni di lavoro delle donne anche in termini qualitativi, di remunerazio ne e di ruolo e promuovere la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese

Gli esempi internazionali ci insegnano che la trasparenza è lo strumento più efficiente per contrastare il divario salariale di genere. Con la legge n. 162/2021 e le risorse del PNRR, è stata introdotta la Certificazione della parità di genere, che mira ad accompagnare ed incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche, quali - ad esempio - opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di man- sioni e tutela della maternità. Le aziende dotate della certificazione avranno accesso a un miglior punteggio nelle graduatorie degli appalti e a un esonero parziale del versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori.


 

 

2.              Sostenere l’imprenditoria femminile, soprattutto in ambito innovativo

Il PNRR ha destinato oltre 400 milioni di euro alle imprese femminili, rimodulando gli attuali sistemi di sostegno all’imprenditoria femminile per aumentare la loro efficacia, agevolando la rea-lizzazione di progetti imprenditoriali, supportando le startup femminili attraverso attività di mento- ring e assistenza tecnico-manageriale.

Noi intendiamo proseguire rendendo strutturale e potenziando il Fondo per l’Imprenditoria Femminile; potenziando il credito agevolato; con incentivi fiscali per PMI che creano reti di servizi condivisi; dando supporto alle imprenditrici mamme (introduzione di tutele, durante e per i primi mesi dopo la gravidanza o adozione, per le lavoratrici con unica fonte di reddito da lavoro indi- pendente).

 

3.              Attuazione del Family Act per investire sul lavoro femminile e il sostegno alla natalità Vogliamo introdurre una serie di misure che riducano i costi per favorire il rientro a lavoro dopo la maternità e ridurre i costi sostenuti dalle imprese:

          incentivo post-maternità per le lavoratrici che rientrano al lavoro o iniziano un nuovo impiego dopo aver usufruito del congedo di maternità, entro il compimento del primo anno di età del bambino. Il sostegno al reddito erogato sarà pari al 30% della retribuzione mensile al primo figlio, con tetto a 5.000 euro, al 35% al secondo figlio, con tetto a 6.500 euro e al 40% dal terzo figlio, con tetto a 8.000 euro e durerà fino a 30 mesi;

          sostegno alle imprese per le spese di sostituzione di maternità;

          incentivi per le spese finalizzate alla formazione delle donne nel periodo della maternità e

per il rientro al lavoro dopo la maternità;

          incentivi per le spese finalizzate alla riqualificazione professionale (reskilling) delle donne;

          ampliamento della tipologia e della quota di servizi erogabili tramite welfare aziendale;

          riformare i congedi parentali e aumentare il congedo di paternità: occorre una riforma dei congedi per minimizzare l’impatto della maternità sul progresso della carriera delle donne e per aiutare una più equa distribuzione delle responsabilità nel nucleo familiare. Proponiamo, quindi:

o                     l’aumento della durata del congedo obbligatorio di paternità da 10 giorni a 1 mese;

o                     l’aumento dell’indennità dei congedi obbligatori al 100%;

o                     modalità flessibili della gestione dei congedi parentali e forme di premialità nel caso in cui tali congedi siano distribuiti equamente fra entrambi i genitori: concedere al pa-dre altri 4 mesi di congedo di paternità facoltativo retribuito al 60% per permettere un migliore bilanciamento dei carichi di lavoro domestico e modificare l’attuale congedo parentale di 10 mesi retribuito al 30%. In particolare, questo congedo deve essere composto da 3 parti: 2 mesi per la madre, 2 mesi per il padre e ulteriori 2 mesi ottenibili solo se entrambi i genitori abbiano esaurito interamente i loro periodi di congedo facoltativo. Considerando che il congedo facoltativo durerebbe 6 mesi invece di 10, a parità di costo per il sistema, si potrebbe aumentare la retribuzione dei genitori al 50% durante il congedo.

Promuovere il diritto al lavoro da remoto per i neogenitori: sempre più paesi stanno adottando misure di maggiore flessibilità per permettere di conciliare vita lavorativa e vita familiare. Pro- poniamo di estendere anche all’Italia questa iniziativa dando la possibilità ai genitori di bambini con età inferiore ai 2 anni di aumentare i giorni di lavoro da remoto.

 

4.              Contrasto alla violenza sulle donne

Una delle ragioni che impedisce alle donne di denunciare è la paura di ritrovarsi senza una casa e senza un reddito. Oltre a un percorso di allontanamento dalla violenza, è fondamentale offrire strumenti per l’empowerment delle donne e il contrasto alla violenza economica:

          aumento del numero dei centri antiviolenza (CAV). L’obiettivo è raggiungere i target europei, che prevedono 1 CAV ogni 10mila abitanti per ogni regione (dovremmo passare da 300 a

6.000 CAV);



 

          aumento dell’indipendenza delle donne ospitate nelle case rifugio tramite il rafforzamento

del Reddito di Libertà;

          sessioni di orientamento lavorativo e assistenza alla candidatura all’interno dei CAV;

          percorsi di supporto psicologico, all’interno dei CAV, per i figli minori delle donne vittime di violenza che sono spesso sottoposti a cambiamenti drastici e improvvisi (es: cambio di abitazione e scuola);

          approvazione del pacchetto anti-violenza messo a punto dalle Ministre del Governo Draghi

e fondato su: fermo immediato dell’indiziato per minacce, lesioni e stalking; la possibilità di una vigilanza dinamica della vittima con un uso rafforzato del braccialetto elettronico; la

procedibilità d’ufficio e quindi senza denuncia, ma anche un sostegno economico già in fase

d’indagine per chi decide di sporgere querela.

 

Famiglie e natalità

Le previsioni sul futuro demografico in Italia restituiscono un quadro di crisi. Il tasso di fecondità italiano è tra i più bassi d’Europa. L’invecchiamento della popolazione residente provocherà, tra

le altre cose, un aumento della spesa pensionistica e una drastica riduzione della spesa sanitaria pro-capite. È necessario quindi per limitare gli effetti negativi, sostenere la natalità e modificare la gestione dei flussi migratori (cfr. proposte sull’immigrazione).

Grazie al Governo Draghi è stato approvato il Family Act, una riforma strutturale, integrata, sistemica delle politiche familiari, che è anche riforma di accompagnamento del PNRR. In questa cornice, il PNRR finanzia un ingente piano di potenziamento dell’offerta di posti negli asili nido

e scuole d’infanzia: 4,6 miliardi di euro destinati alla creazione di nuove infrastrutture, ma anche a sostegno del funzionamento delle stesse, grazie anche alla definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione per i servizi per la prima infanzia (Legge di Bilancio 2022).

Il Family Act ha introdotto l’Assegno Unico Universale che prevede un investimento di 20 miliardi di euro ogni anno per le famiglie con i figli, di cui quasi 7 miliardi aggiuntivi rispetto al preceden- te caotico sistema di molteplici incentivi e aiuti, che impediva di capire il vero effetto sulla natalità e non era universale.

È necessario ora dare attuazione a tutto il Family Act, che prevede misure di sostegno all’e- ducazione dei figli; la riforma dei congedi parentali, di paternità e di maternità; l’introduzione di incentivi per il lavoro femminile, la condivisione della cura e l’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro e di sostegni alla spesa delle famiglie per la formazione dei figli e il conseguimento dell’au-tonomia finanziaria dei giovani.

In particolare, proponiamo:

          potenziamento dell’Assegno Unico e Universale con aumento della maggiorazione in caso di secondo percettore di reddito e revisione dell’ISEE (necessario aumentare il peso: di figli o persone con disabilità a carico delle famiglie);

          attuazione delle delega relativa al sostegno all’educazione dei figli: assegno di rimborso delle spese educative (rette relative alla frequenza dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole, anche paritarie; di attività sportive e culturali, dei centri estivi e di altre attività di educazione non formale); assegno di rimborso per le spese sostenute per i figli con disabilità, con patologie fisiche o psichiche invalidanti, compresi i disturbi del comportamento alimen-tare, disturbi specifici dell’apprendimento o bisogni educativi speciali;

          attuazione del piano asili nido, parte del PNRR;

          potenziamento del Bonus Asilo Nido: proponiamo di rendere il nido gratuito per i nuclei con ISEE inferiore a 25.000 euro, garantendo un sussidio decrescente alle famiglie con ISEE tra i 25.000 e 40.000 euro.

          assegno di rimborso per i costi sostenuti per servizi di cura di figli piccoli (baby-sitter), geni- tori anziani (badanti) o persone con disabilità (educatori).

          rendere strutturale il contributo agli enti locali per la realizzazione dei centri estivi, con il coinvolgimento del Terzo settore;


   Giovani  

 

          rendere strutturale il fondo per i progetti del terzo settore di educazione non formale.

 

In Italia tutti parlano di giovani ma rimangono la categoria complessivamente più svantaggiata. Per questo abbiamo scelto di aderire alla proposta - recentemente lanciata dal prof. Vincenzo Galasso su un noto quotidiano - secondo cui ogni euro speso per la fascia over 65 deve essere accompagnato da almeno un euro speso per la fascia under 35. Proponiamo inoltre di:

 



1.

L’imprenditoria giovanile, misurata in termini di imprese fondate da under 35, in Italia è calata del 10% tra il 2017 ed il 2021. Un dato drammatico dovuto spesso alla difficoltà di accesso al ca- pitale e alla complessità della burocrazia. È necessario presentare uno specifico progetto per l’imprenditorialità giovanile: forme di accompagnamento all’imprenditorialità, mediante servizi di incubazione, consulenza, mentoring e coaching per i giovani, e acceleratori per integrare l’of- ferta finanziaria con nuovi strumenti a sostegno dell’innovazione organizzativa e dello sviluppo del capitale umano. Per finanziare questo progetto proponiamo di usare parte dei 200 milioni

di euro di fondi del PNRR dedicati al rilancio dei Centri per l’Impiego (CPI) non ancora allocati, così da introdurre nei CPI un servizio di “assistenza all’autoimpiego e all’imprenditoria giovanile” per giovani under 35 che desiderano avviare un’impresa. Infatti, in molte zone, specie quelle ru- rali, i CPI costituiscono forse l’unica struttura che possa fungere da supporto all’imprenditoria- lità giovanile. I CPI dovranno così assistere le start-up fornendo consulenza legale e normativa, sostegno per le richieste di fondi pubblici e la partecipazione a gare, ricerca di personale.

 

2.             Rafforzare i servizi di orientamento per addolcire la transizione tra formazione e lavoro Al fine di facilitare la transizione scuola/università-lavoro è necessario rafforzare i servizi di orientamento e l’attivazione di reti orizzontali e verticali tra istituzioni scolastiche/universitarie e imprese. Questi servizi saranno finalizzati ad accompagnare l’uscita dalla scuola verso il primo impiego, anche con l’obiettivo di individuare il fabbisogno dei diversi ambiti professionali e infor-mare i giovani sulle prospettive di occupazione reale dei vari percorsi di studio.

 

3.             Riformare “Garanzia Giovani”

Proponiamo di rivalutare e modificare il programma ‘Garanzia Giovani’ per renderlo più effica-ce. Prevediamo l’anticipo di parte delle erogazioni per evitare problemi di liquidità ai giovani di famiglie più svantaggiate.

 

4.             Regolare i tirocini curriculari

Contrastare il fenomeno dell’uso improprio dei tirocini extra-curriculari regolando i tirocini curriculari per assicurare che siano esperienze realmente formative e non soltanto atti dovuti all’interno del percorso di istruzione. Valuteremo l’opportunità di introdurre agevolazioni per le imprese che attribuiscono un rimborso spese o un’indennità ai tirocinanti o che trasformano il tirocinio in contratto di lavoro.

 

5.             Semplificare l’accesso alle professioni

Estendere l’istituto delle lauree abilitanti e professionalizzanti, e introdurre misure affinché siano attribuiti rimborsi spese e indennità minime per praticantati e tirocini, al fine di scongiurare for- me di sfruttamento.

 

6.             Consolidare le competenze con piani di studi universitari

Proponiamo di promuovere un piano strutturato per incentivare lo studio delle materie scientifi- che, specie tra le giovani donne. Inoltre, al fine di promuovere l’alfabetizzazione economica delle future generazioni, proponiamo di rendere obbligatorio l’insegnamento dell’educazione finanzia- ria.


 

 

7.             Investire in competenze digitali dei giovani

Le competenze digitali sono un elemento fondamentale per assicurare l’integrazione proatti- va tra formazione e occupazione giovanile. Per permettere a tutti i giovani di avere una solida formazione digitale, sono necessari investimenti adeguati per promuovere un progetto strategi- co nazionale alla formazione e allo sviluppo delle competenze digitali dei giovani, sia in ambito scolastico, a partire dalla scuola primaria, sia in ambito lavorativo.



   Welfare e terzo settore  

 

Anziani

Nel mondo l’Italia è seconda soltanto al Giappone in quanto a longevità. Gli over 65 sono circa 14 milioni e costituiscono il 23% della popolazione. L’invecchiamento attivo deve essere sostenuto attraverso politiche pubbliche che riconoscano ad ognuno il diritto e la responsabilità di avere un ruolo attivo e partecipe alla vita della comunità in ogni fase della vita, compresa quella anziana (partecipazione delle persone anziane nelle politiche e nei processi decisionali, nella vita sociale e culturale; cura integrata che metta al centro la persona, che assicuri loro indipen-denza, autonomia, e dignità nella cura, e che sia incentrata sulla prevenzione e su interventi precoci). Dobbiamo passare da una visione delle persone anziane come esclusivamente biso- gnose di assistenza a una che consideri le persone anziane una ricchezza attiva, capaci quindi di rappresentare una risorsa per la società.

 

1.              Istituire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il “Dipartimento per la Terza Età”

In Italia non esiste un settore specifico dedicato alla terza età avulso dal contesto generico ed omnicomprensivo delle Politiche Sociali. Affinché il valore della stagione della vita anziana

diventi una stagione di vita attiva a cui restituire sostegno e dignità sosteniamo una “Politica Se- nile” paritetica con la “Politica Giovanile”.

 

2.              Istituire la figura di “Garante dei Diritti della Terza Età”

Istituire un Garante nazionale dell’anziano che dovrà essere scelto tra persone con comprovate competenze in ordine ai problemi dell’età avanzata, nel settore geriatrico, nel settore psico- logico o nel settore delle scienze umane. Il Garante dovrà essere il punto di riferimento per le segnalazioni, presentate dagli anziani o dalle associazioni che li rappresentano, relative alla vio- lazione della legislazione vigente e per assumere ogni iniziativa a tutela del diritto alla salute e al miglioramento della qualità della vita delle persone anziane, grazie anche al controllo diretto delle RSA.

Le regioni dovranno istituire gli uffici del Garante regionale degli anziani e le spese di funziona- mento del Garante e dell’Ufficio del medesimo Garante saranno poste a carico del bilancio dello Stato.

 

3.              Definire Linee Guida Nazionali per i Centri Sociali per Anziani

L’organizzazione dei centri anziani varia molto da regione a regione in quanto non esistono delle Linee Guida Nazionali. Inoltre, non esiste un monitoraggio delle attività effettivamente svolte. È necessario definire linee guida nazionali per fornire indicazioni sul funzionamento e la gestione dei centri anziani oltre che per garantire degli standard di prestazione minima.

 

4.              Garantire la prevenzione psicologica e sanitaria nei centri anziani

I servizi pubblici avranno il ruolo di offrire prevenzione psicologica e sanitaria alle persone di terza età mediante visite/screening periodiche fatte presso i centri per anziani da personale specializzato, decongestionando in tal maniera Pronti Soccorso e Reparti di Geriatria.

 

5.              Promuovere lo scambio intergenerazionale nei centri anziani

I centri sociali per anziani avranno un budget dedicato alla creazione di collaborazioni con scuole e centri di attività per i giovani. Per esempio, nei centri sociali per anziani che dispongo- no di luoghi all’aperto si potranno predisporre attività sportive per i bambini.

 

6.              Azzerare la burocrazia per gli anziani e ridurre il digital divide

Come spiegato nel nostro programma per la Pubblica Amministrazione, è necessario ridurre al minimo l’impatto della burocrazia sulla vita quotidiana degli anziani. Servono servizi a prossimità per permettere agli anziani di avere un’interfaccia unica per tutti i servizi. Inoltre, per garantire il più ampio accesso ai servizi pubblici in forma digitale, è indispensabile accelerare i progetti di contrasto al digital divide (es: corsi di supporto alla digitalizzazione presso i centri per anziani o nei centri di aggregazione multifunzionali sul territorio).



 

Terzo settore

In Italia per il non profit si stima un valore della produzione pari a 80 miliardi di euro, circa il 4,5% del PIL. Nel 2019 si contavano poco più di 360.000 enti, in aumento del 25% rispetto a 10 anni fa. Gli addetti totali sono 860.000, ai quali si aggiungono 5 milioni e mezzo di volontari. Si stima, quindi, un coinvolgimento di quasi il 10% dell’intera popolazione nazionale. Gli enti del terzo settore (“ETS”) sono prevalentemente associazioni (85% del totale), ma le cooperative sociali sono le realtà più grandi in termini di occupazione: sebbene rappresentino solamente il 4,3% degli enti, offrono lavoro al 53% dei dipendenti totali. Il cosiddetto non profit rappresenta quindi a tutti gli effetti un settore produttivo strategico su cui investire e un unicum nel panorama europeo per la sua capillarità, innovazione, flessibilità e pluralità di intervento in diversi ambiti di attività di interesse generale.

L’assenza di scopo di lucro non significa assenza di produttività. Al contrario, la generazione

di valore sociale e occupazionale si declina in un’ottica sussidiaria in molti ambiti di interesse generale dove la cura e la presa in carico si manifestano in attività di assistenza sociosanitaria, educazione e formazione, inserimento lavorativo, cultura, sport, ricerca, ambiente e valorizza- zione del territorio e dei beni comuni. Il terzo settore italiano è un modello economico stabile su cui innestare i pilastri della ripartenza nel solco della sostenibilità, della transizione ecologica

e dell’innovazione. Lo è già nella realtà, ed è giunto il momento di riconoscere maggiormente questo modello smettendo di considerare il non profit come un collettore cui destinare risorse in modo residuale e assistenzialistico.

Assegnata con la Riforma del Terzo Settore la cornice legislativa entro cui operare, ora è quindi necessario dotare il non profit della giusta “cassetta degli attrezzi” per crescere in economie

di scala, competenze, e valorizzare appieno la capacità economica di produrre beni e servizi nell’ottica dell’interesse generale e la trasversalità degli ambiti di attuazione.

In altri termini è giunto il tempo di considerare l’economia sociale come un capitolo di investi- mento, e non certo di spesa, e di cambiare mentalità nella pubblica amministrazione ad ogni livello affinché il principio di co-programmazione e di co-progettazione non rimanga soltanto sulla carta.

 

1.              Norme contro le frodi fiscali attraverso false cooperative

La tutela per gli enti non profit passa anche per la necessità di non confondere i tantissimi enti che rispettano le regole con quelli che invece sfruttano le norme di vantaggio per fini di evasio- ne fiscale. Ne sono un esempio le frodi carosello attuate sfruttando il lavoro delle cooperative. Per questo è necessario intervenire innanzitutto per prevenire a monte l’innestarsi di questo meccanismo, rendendo tutti i soggetti coinvolti nella catena dei subappalti responsabili in solido per i mancati versamenti. Per quanto riguarda i controlli, è necessario prevedere un’ispezione entro un mese dall’iscrizione all’Albo delle Cooperative, per verificare la presenza di eventuali indicatori critici, come il mancato rispetto dei contratti collettivi, l’assenza di lavoratori dipen- denti o un rapporto di mono-committenza con un’impresa.

 

2.              Completamento riforma terzo settore e coordinamento con sport

Con le due riforme dello sport e del terzo settore cambia lo scenario degli enti che svolgono attività rilevanti per il Paese e la coesione sociale. È di fondamentale importanza coordinare le norme e favorire un dialogo tra i due diversi registri (Terzo Settore e sport) consentendo agli enti di accedere a nuove opportunità, finanziamenti e agevolazioni di vario tipo senza dover fare lo slalom tra burocrazia e norme settoriali.

Per quanto riguarda la riforma del Terzo Settore, una volta avviato il registro unico e pubblicati alcuni decreti fondamentali (da ultimo social bonus e raccolta fondi) è ora necessario ottenere il via libera da parte dell’Unione Europea. Questo significherà finalmente dotare gli enti del Terzo Settore di strumenti fondamentali come, ad esempio, le misure fiscali per le imprese sociali ivi inclusi gli incentivi per gli investitori, avviare gli strumenti di finanza sociale, sbloccare le regole IVA che al momento rischiano di rallentare comparti importanti come la sanità e il socio-sanita


 

 

rio, sbloccare l’anagrafe delle ONLUS che fino al vaglio della UE risulta congelata non consen- tendo nuove iscrizioni.

 

3.              Volontari

Per favorire la cittadinanza attiva, abbassare l’età media dei volontari, e incentivare la formazio ne e la preparazione del volontariato italiano, occorre predisporre dei percorsi più strutturati e incentivanti. In questi termini si propone di estendere i medesimi incentivi previsti attualmente per la protezione civile, consentendo così ai volontari di accedere a permessi retribuiti in caso di formazione o partecipazione alle attività dell’ente entro determinati limiti.

 

4.              Reinserimento lavorativo dei detenuti

Potenziare e stabilizzare le attività educative, di istruzione di base, tecnica e professionale, e l’inserimento lavorativo per diminuire la recidiva e offrire una reale opportunità alle persone detenute, con particolare attenzione ad attività in co-progettazione con enti locali, terzo settore e imprese per la manutenzione del territorio, economia circolare, produzione e fornitura di beni e servizi alla pubblica amministrazione.


 


   Pubblica Amministrazione   

 

Politiche pubbliche efficaci e un mercato efficiente di beni e servizi pubblici sono la spina dor- sale di un sistema economico e sociale ben funzionante. Vogliamo una PA semplice e gentile, in grado di premiare il merito, di contrastare le disuguaglianze generazionali, sociali e territoriali, di ascoltare e soddisfare le esigenze di famiglie, imprese e territori. Vogliamo una PA più efficien- te, più equa, che non lasci indietro nessuno e più “europea”.

 

1.              Assicurare il rinnovo tempestivo dei contratti

È fondamentale, per il futuro, evitare ritardi e assicurare procedure più celeri per i rinnovi contrattuali per la PA: medici, infermieri, forze dellordine, insegnanti, impiegati, tutti coloro che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha definito “i volti della Repubblica”. I rinnovi dei contratti collettivi nazionali rappresentano lo strumento più serio per difendere il potere d’acquisto dei la- voratori. Occorre, dunque, stanziare subito nuove risorse per i prossimi contratti e semplificare l’iter per la loro approvazione: devono bastare tre mesi. I contratti devono diventare lo strume to per incentivare il miglioramento della performance e la formazione dei dipendenti pubblici: più formazione porterà a rinnovi dei contratti con progressioni di carriera e miglioramento della retribuzione. Avere una Pubblica amministrazione più formata, più qualificata, con più salario e più carriera, è un bene per tutti.

 

2.              Premiare il merito

Ricambio generazionale e adeguamento delle competenze alle nuove sfide economiche e sociali sono gli obiettivi delle riforme della Pubblica amministrazione già in attuazione del PNRR. Per completare le riforme e cogliere le opportunità per tornare attrattive per i migliori talenti proponiamo di:

          eliminare i tetti al salario accessorio per premiare la produttività;

          valorizzare oltre alle conoscenze tecniche, anche le competenze di carattere trasversale (manageriale, gestionale, ecc.) che il dipendente abbia maturato nel corso della propria attività lavorativa;

          rafforzare la collaborazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione con Università e centri di alta formazione nazionali e internazionali per tornare a essere l’incubatore della migliore cultura di governo.

 

3.              Azzerare la burocrazia per anziani e persone con disabilità

L’obiettivo è ridurre al minimo l’impatto della burocrazia sulla vita quotidiana delle persone più vulnerabili attraverso, a titolo esemplificativo: l’esenzione dal rinnovo del Contrassegno disa- bili per le invalidità stabilizzate; l’ottenimento automatico dei benefici fiscali sulle automobili; la

possibilità di visita solo documentale per il rinnovo delle patenti speciali; la semplificazione della fornitura di ausili monouso; l’estensione della validità delle terapie ripetitive. È inoltre necessario rimodulare le attività degli sportelli SUAP e SUE al fine di offrire ai cittadini un’interfaccia unica per tutti i servizi (il cosiddetto SUAPE). Lo sportello unificato dovrà essere istituito in modalità completamente digitalizzata, essendo questo un obiettivo strategico dell’agenda di semplifica- zione 2022-2026. Per garantire il più ampio accesso ai servizi pubblici in forma digitale, è anche indispensabile accelerare con i progetti di contrasto al digital divide soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.

 

4.              Digitalizzare i processi partecipativi

Riteniamo necessario efficientare i principali processi partecipativi (es: raccolta firme per re- ferendum) per consentire e facilitare una maggiore applicazione delle regole democratiche. A titolo esemplificativo è fondamentale digitalizzare i processi di raccolta firme per referendum e presentazione di liste elettorali nonché i processi di consultazione pubblica.



 

 

5.              Efficientamento dei processi della pubblica amministrazione

Per l’attuazione dei programmi dell’Agenda digitale 2026, occorre un potenziamento delle strutture e delle figure chiave previste dal codice dell’amministrazione digitale, a partire dal responsabile della transizione al digitale e del difensore civico.

 

6.              Prefetture come centro unico dello Stato

Vogliamo trasformare le nostre prefetture in centro unico dello Stato sul territorio: un luogo in cui cittadini e imprese trovano tutti gli interlocutori, il front-office dello Stato leggero e digitale accorpando funzioni e personale anche per ottimizzare costi e eliminare inefficienze.

 

7.              Una dirigenza pubblica più competitiva

Lavorare nel settore pubblico deve essere una sfida e non un punto di arrivo. Vogliamo inclu- dere in una più ampia riforma della PA la possibilità per i dirigenti pubblici di compiere anche esperienze nel settore privato e viceversa, ovviamente con adeguate garanzie di protezione dell’interesse pubblico da conflitti di interesse.

 

PNRR

1.              Portare a 750 milioni di euro l’anno i fondi a disposizione dei comuni per le spese di

progettazione necessarie per realizzare le opere previste dal PNRR

Nel 2021, a fronte di 13,7 miliardi di spesa ipotizzati per il PNRR, ne sono stati effettivamen te spesi solo 5,1 miliardi di euro (il 37,2%). Il problema della messa a terra dei fondi del Piano

riguarderà nei prossimi anni soprattutto i comuni, che arriveranno a gestire fino a 50 miliardi di euro in quattro anni. Stanno emergendo, infatti, gli storici problemi legati alla capacità di spesa, dovuti in particolar modo alla quantità e alla qualità del personale presente nelle amministrazio ni comunali italiane.

Molti comuni non hanno le risorse umane necessarie per svolgere le fasi di progettazione per tutti i bandi a cui sarebbero interessati a partecipare. Esternalizzare l’attività di progettazione ha un costo compreso tra il 6% il 10% dell’importo del bando. La legge di bilancio 2022 ha creato un fondo da 161 milioni di euro che finanzia tre progetti per ogni comune tra tutti i bandi a cui questi partecipano, ma non è sufficiente. Proponiamo di portare l’attuale fondo ad un totale di 750 milioni di euro ogni anno per tutta la durata del PNRR.

 

2.              Consentire ai comuni e alle regioni maggiore flessibilità nelle assunzioni e nella nomi- na dei RUP

I comuni hanno spesso carenza di personale tecnico che possa assumere il ruolo di Respon- sabile Unico del Procedimento. Per risolvere questo problema occorre intervenire su due fronti. In primo luogo, bisogna consentire ai comuni di assumere funzionari e dirigenti a tempo determinato (con potere di firma) in misura ulteriore rispetto alla soglia legale del 5%, fino al 2026.

La misura deve essere finanziata da ogni comune in autonomia. In secondo luogo, è necessario prevedere la possibilità di nominare i RUP anche esternamente alla struttura dell’amministrazio ne fino al 2026, per tutti i progetti finanziati dal PNRR, sempre tenendo alto il livello di vigilanza al fine di limitare il rischio di corruzione e infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.

 

3.              Non conteggiare gli incentivi derivanti da progetti finanziati dal PNRR per il raggiungi- mento del limite annuo previsto per i dipendenti pubblici

Attualmente gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del 50% della retribuzione lorda. Tale soglia disincentiva il completamento delle procedure progettuali. Per questo motivo proponiamo di non conteggiare gli incentivi derivanti da progetti finanziati dal PNRR per il raggiungimento della soglia del 50%.


 


4.              Introdurre l’obbligo, per tutti i comuni non capoluogo di provincia, di affidare la gestione delle gare di appalto a uno dei soggetti aggregatori regionali presenti nell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti, almeno per i progetti finanziati dal PNRR


 


   Trasporti  

 

 

Le infrastrutture per i trasporti rappresentano uno delle leve più efficaci in termini di moltipli- catore economico. Le nostre proposte delineano le principali priorità di intervento per quanto riguarda il settore.

 

1.              Completamento tratte Alta Velocità e potenziamento del sistema di collegamento intermodale

Riteniamo necessario completare le seguenti opere: Brescia-Padova, il Terzo Valico, la Tori-

no-Lione, la Salerno-Reggio Calabria e la Napoli-Bari. Occorre inoltre incentivare la connessio-ne tra siti strategici (aeroporti) e i treni a lunga percorrenza o AV, come avvenuto tra Roma e Fiumicino.

 

2.              Migliorare il sistema di sicurezza della Rete Ferroviaria Italiana

L’Italia è il settimo Paese europeo per incidenti ferroviari nel 2020. Occorre migliorare la sicurezza della Rete Ferroviaria Italiana, in particolare ampliando l’utilizzo del cd. “Sistema Controllo Marcia Treno”, formando personale qualificato per le attività di sicurezza sui treni e fissando un tetto massimo di età per gli addetti.

 

3.              Sviluppare l’intermodalità per ridurre lo stress autostradale e nelle aree urbane

Per ridurre lo stress dell’infrastruttura autostradale per il trasporto di lungo raggio, il traffico nel- le grandi città e le emissioni inquinanti, è necessario sviluppare la rete di trasporto intermodale delle merci a livello nazionale. Occorre integrare il sistema dei porti con gli interporti nell’entro- terra, sviluppare il sistema degli autoporti con una rete di piattaforme logistiche per favorire lo scambio intermodale gomma-ferro. Bisogna creare autoporti urbani per lo scambio tra veicoli commerciali pesanti e leggeri per i servizi di e-commerce e commercio al dettaglio.

 

4.              Definire un Documento unico delle manutenzioni nazionali delle grandi opere

È necessario effettuare un’analisi dettagliata delle infrastrutture esistenti, per avviare una pro- grammazione robusta e razionale di misure di manutenzione e upgrade basata su una priori- tizzazione degli interventi. La strategia programmatica non deve comprendere “ponti verso il nulla”, ovvero quelle opere che non sono inserite in un ecosistema virtuoso di infrastrutture.

Occorre identificare le opere utili per il Paese e quelle non necessarie, che devono essere riconvertite o demolite, favorendo un ripristino dell’ecosistema terrestre. Al contempo, sarà necessario implementare un’azione di riqualificazione delle infrastrutture a servizio delle aree interne, le quali versano in condizioni spesso precarie. Per quanto riguarda la gestione, è neces- sario introdurre nuovi criteri per la manutenzione ordinaria e straordinaria. Occorre introdurre il “Documento Finanziario dell’Infrastruttura” e il “Documento unico delle manutenzioni nazionali delle grandi opere” per guidare le operazioni da compiere durante tutta la vita dell’infrastruttura, al fine di mantenere adeguati standard.

 

5.              Creare un organo per la strategia di sviluppo portuale e una cabina di regia per il coor-dinamento

Negli ultimi anni i porti italiani stanno perdendo consistenti quote di mercato. Per rilanciare il sistema portuale è necessario rilanciare l’operatività della Conferenza Nazionale Porti quale organo di coordinamento che consenta di definire una strategia sistemica di sviluppo economi- co. Occorre, inoltre, implementare una riforma portuale che consenta ai porti italiani di dare una risposta di sistema ai competitors mediterranei ed europei rivedendo ruolo, funzioni e numero delle Autorità di sistema portuale, creando una cabina di regia con il compito di coordinarle.

Per stimolare importazioni ed esportazioni, si deve definire con i nuovi soggetti di governo dei porti un piano nazionale di miglioramento dei traffici per tipologia di merci, passeggeri e servizi.

 

6.              Strategia di valorizzazione dell’economia del mare

Dal 2014 vi è una direttiva europea che obbliga la pianificazione dello spazio marittimo di ciascuna nazione. L’Italia non ha ancora ottemperato in quanto la procedura di pianificazione non è ancora ultimata. Questo perché ci sono sovrapposizioni di competenze tra i Ministeri della Difesa, della Cultura, dell’Ambiente, dei Trasporti e delle Politiche Agricole, Alimentari e Foresta- li. In Francia nello scorso governo vi era un Ministro apposito, ora è stata individuata una figura dedicata. È necessario dunque agire per:

          predisporre un piano nazionale di resilienza al cambiamento climatico in mare (come, ad esempio, da tempo ha fatto l’Olanda);

          proteggere le nostre infrastrutture, porti, porticcioli, Ferrovie e strade che corrono lungo la costa;

          monitorare la pesca, la quale vede diverse specie diminuire, nonché l’ingresso di specie “aliene” che vivono in mari più caldi;

          riconvertire aree militari non utilizzate per la ricerca e la protezione del mare;

          programmare impianti eolici offshore e impianti di estrazione del gas;

          sostenere il rinnovo delle flotte marittime, anche in relazione al cambio dei carburanti e alla

garanzia del collegamento con le isole.

 

7.              Implementare lo Sportello Unico Doganale e realizzare i collegamenti di ultimo miglio Occorre correggere il sistema dei controlli, assicurando l’implementazione dello Sportello Unico Doganale dei Controlli e colmando il fabbisogno di personale dell’agenzia delle dogane, che a fine 2021 registrava una carenza di circa 3.500 unità. È necessario, inoltre, realizzare i collegamenti di ultimo miglio, per i quali sono stati stanziati 250 milioni di euro del Fondo Complementare. Occorre assicurare il completamento delle opere nei porti di Trieste, Venezia, Civita- vecchia, Napoli, Salerno e Ancona entro il 2025, come previsto dal PNRR. Infine, è necessario investire sui sistemi di digitalizzazione dei porti; semplificare le norme su dragaggi, espropri e bonifiche; tutelare e valorizzare il lavoro portuale in maniera omogenea.


   Innovazione, digitale e space economy   

 

 

Nel digitale e nell’innovazione, l’Italia, “sta guadagnando terreno [...] a ritmi molto sostenuti” (Commissione europea, 2022). Tuttavia, questo miglioramento non è uniforme: ci sono vulnera- bilità sulla connettività, sul capitale umano e su alcuni aspetti della digitalizzazione delle impre- se. Per questo riteniamo fondamentali i seguenti interventi:

 

1.              Sviluppare infrastrutture digitali di qualità per connettività diffusa e territori intelligenti Continuare a investire nella copertura delle reti ad altissima capacità (compresa la fibra fino all’utente) e alla copertura 5G. Alla luce dell’enorme divario tra le soglie di emissività italiane e quelle dei partner europei, un adeguamento dei valori migliorerebbe il servizio, i costi e l’impron ta ambientale. Le infrastrutture sono asset vitali nel sistema del Paese: bisogna creare know how in Italia per garantire un mantenimento in efficienza e (cyber-)sicurezza.

La connettività diffusa è condizione necessaria, ma non sufficiente, per rendere intelligenti le nostre città e le relative interconnessioni. È necessario coniugare le reti con un sistema aperto di gestione digitale di permessi e programmazione edilizia. Gli smart buildings vanno incentivati con leve fiscali di lungo termine, come sconti in tasse di successione e nel calcolo del plusvalore in caso di rivendita di edifici con sottrazione dei costi di ristrutturazione “smart”. Per fare questo serve completare in tempi brevi la digitalizzazione del catasto, anche con tecnologie satellitari.

 

2.              Sviluppare competenze e leadership in settori strategici

Gli ITS, potenziati dal PNRR, possono diventare vivaio di talenti con expertise in vari ambiti di importanza strategica per il Paese, inclusi 5G, banda ultralarga e cybersecurity, competenze che sono richieste non solo dal mercato ma anche dalla PA, dove gli studenti possono essere inseriti con uno schema di corso-concorso. Per questo, le Forze Armate devono incrementare gli investimenti nella formazione continua dei corpi specializzati nella cybersecurity, in pieno raccordo con le iniziative europee, con percorsi di certificazione delle competenze che abbiano valenza anche in ambito civile.

Si intende istituire un fondo pubblico/privato per le tecnologie deep tech, incluse le Digital Ledger Technologies (più conosciute come blockchain) con modello di bandi e gestione fondi tipo DARPA statunitense. Sulla sfida dell’intelligenza artificiale, prendendo spunti da altri Pae- si europei e per dare piena implementazione alla strategia italiana di IA, è necessaria un’unità dedicata nel Ministero per l’Innovazione tecnologica oltre al coordinamento interministeriale previsto dalla strategia.

 

3.              Sostenere la nascita di aziende innovative e la transizione digitale delle imprese esistenti Per supportare le aziende innovative nascenti - digitali e non - proponiamo il modello della facilitazione d’impresa, abbinato alla razionalizzazione dei bandi di finanziamento, evitando la discrezionalità delle Regioni sulla definizione di “startup” e superando la modalità “click day”

dei bandi pubblici. Prevediamo una sandbox normativa che permetta l’incontro agile tra startup e mercato e l’eliminazione di tutte le gabelle relative alla costituzione o al mantenimento della società, come ad esempio la tassa di concessione governativa, la vidimazione dei libri sociali ed i costi relativi all’iscrizione in Camera di Commercio.

Si intende supportare la transizione digitale e 4.0 delle imprese, rafforzando il framework nor- mativo originale di Industria 4.0, potenziando e razionalizzando i soggetti a cui questo supporto alle imprese compete (Centri di Competenza e Digital Innovation Hub), sostenendo in partico- lare la crescita delle PMI, ma anche la neo-creata Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale che deve essere anche essere partner delle aziende, non solo controllarle.

 

4.              Start up

L’Italia è uno dei Paesi con il maggior potenziale di crescita nella creazione di nuove imprese (cd. startup) e nell’attrazione di investimenti privati in fondi di venture capital ed investimenti di- retti in startup. Proponiamo di eliminare del tutto la tassazione del capital gain sugli investimenti



 

in startup e venture capital e di aumentare l’incentivo fiscale per coloro che investono, per attrarre una quota maggiore di investimento di fondi pensione ed enti assicurativi nell’economia reale. Riteniamo inoltre necessario innalzare l’aliquota del credito d’imposta per le imprese che effettuano investimenti in innovazione al 50%, ripristinando la versione del Governo Renzi, pre- vedendo una maggiorazione se sono coinvolti centri di ricerca universitari, altre startup o PMI innovative.

 

5.              Space economy

La strategia spaziale europea e italiana a breve, medio e lungo termine si basa su tre pilastri:

          Collocazione geopolitica - Alla strategia spaziale è legato il posizionamento politico inter- nazionale dell’Europa e dell’Italia: lo spazio è campo strategico, necessariamente apartitico, e con sostegno bipartisan (come in USA e Francia). È un’espressione ‘soft’ di influenza geopolitica che anticipa la parte ‘hard’ del campo della difesa. Essa contribuisce a creare un’identità europea che si può raggiungere solo attraverso un’autonomia strategica;

          Sviluppo/ritorno economico e industriale - Lo spazio è un moltiplicatore economico, con ritorni sugli investimenti tra il 200 e il 700%. Il settore spaziale sarà una “Trillion Economy”. L’industria italiana, tra le prime al mondo e tra le pochissime con filiera completa (disegno, progettazione, sviluppo, lanciatori, program management, operazioni), deve contribuire al massimo delle proprie competenze; se gli investimenti europei e italiani non rispondono adeguatamente allo sforzo USA, la nostra industria rischia di diventare irrilevante.

          Benefici per il cittadino e la società - In un momento storico nel quale i valori fondamentali della competenza, della scienza e della cultura sono rimessi in questione, un’ispirazione positiva - e allo stesso tempo una sfida - deve essere offerta alle nuove generazioni. L’esplo razione spaziale è uno dei più potenti ispiratori.

Intendiamo quindi potenziare la Space economy, fiore all’occhiello italiano, con una migliore organizzazione del sistema di formazione, la promozione di distretti di sviluppo e lo snellimento dei processi legati ai brevetti, oltre alla revisione della governance dell’Agenzia Spaziale Italia- na e l’adozione di un testo normativo unitario. Sarà per questo che il Governo, in occasione del Consiglio Ministeriale ESA di novembre 2022 dove sarà deciso il finanziamento dei programmi spaziali europei dei prossimi 3 anni e di conseguenza il ruolo dell’Italia, dovrò garantire l’impe- gno del nostro Paese e la relativa collocazione nello scacchiere politico industrial


   Agricoltura  

 

 

L’agricoltura, la pesca, l’acquacoltura e l’intero sistema agroalimentare della trasformazione sono settori strategici per lo sviluppo e la ripresa dell’economia del nostro Paese. L’eccellenza che il nostro settore ha dimostrato in termini di valore aggiunto, propensione all’export, valorizzazione e servizi ecosistemici per il territorio e sinergia con il mondo della cultura, del terzo settore e del turismo, non ha pari al mondo.

 

1.              Agricoltura 4.0 e potenziamento della formazione tecnica e manageriale

Diventa prioritario avviare due grandi piani di formazione continua, il primo incentrato sull’im- prenditoria e il secondo sulle competenze tecniche e specialistiche per la manodopera agricola e del personale imbarcato, con particolare riferimento alle pratiche agronomiche più avanzate, alla sicurezza sul lavoro e all’utilizzo della tecnologia nell’agricoltura di precisione. Da una par- te, serve potenziare la formazione economico-gestionale per sviluppare le economie di scala

e la competitività delle imprese agricole e della pesca. Dall’altro lato è prioritario rafforzare le competenze e la formazione continua della manodopera. Proponiamo che le imprese possa- no accedere a cicli di formazione dedicati, organizzati anche in collaborazione con gli Istituti

Tecnici Superiori del territorio, e altresì promuovendo lo strumento del credito di imposta e della

decontribuzione per l’accesso a percorsi specialistici.

 

2.               Aumentare la manodopera e il ripristino del sistema dei voucher

Per rispondere alla strutturale carenza di manodopera e alle richieste delle imprese, propo- niamo: una proroga di tutti i permessi di soggiorno dei lavoratori extracomunitari attualmente impiegati nel settore agricolo; la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari che attualmente hanno un lavoro; la reintroduzione del permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di lavoro garantito da uno sponsor (cfr. proposta immigrazione). Infine, per garantire la flessibilità e la trasparenza contrattuale nelle prestazioni occasionali, proponiamo di ripristinare il sistema dei voucher.

 

3.              Garanzie statali per facilitare l’accesso al credito e il sostegno all’innovazione

Il PNRR contiene misure per incentivare l’implementazione di sistemi digitali nella produzione agricola e durante la pandemia si sono promossi strumenti per favorire l’accesso al credito del- le imprese agricole. È necessario proseguire in questa direzione:

          Potenziamento delle garanzie statali a copertura delle richieste di credito effettuate dagli imprenditori agricoli e della pesca per sostenere gli investimenti necessari per le nuove tec-nologie e l’ammodernamento del parco macchine

          un iper-ammortamento dedicato agli investimenti per l’efficientamento della rete idrica (cfr. proposta sulla crisi idrica).

          Completamento dell’ultimo miglio in materia di infrastrutture digitali per garantire la connettività nelle aree rurali, fondamentale per lo sviluppo dell’agricoltura 4.0 e di precisione, dei servizi, delle attività agricole connesse e del turismo

Inoltre, per aumentare la produttività, considerando l’aumento del costo dei fertilizzanti e degli altri costi di produzione che gli agricoltori devono affrontare in questo periodo, prevediamo un contributo per l’acquisto di fertilizzanti e dei mezzi tecnici di produzione sotto forma di credito d’imposta che potrà essere ceduto agli intermediari finanziari per aumentare la liquidità a dispo-sizione delle aziende agricole.

 

4.              Agricoltura protagonista della transizione energetica: vendita delle eccedenze ener-getiche, sviluppo dell’agri-voltaico, del biogas e del biometano

Proponiamo di consentire alle imprese agricole di vendere temporaneamente le eccedenze energetiche prodotte dagli impianti per l’autoconsumo, considerando i proventi come reddi-to agricolo (soggetto ad agevolazioni fiscali) invece che redditi di impresa, derogando la L. 266/2005.



 

Al fine di ridurre il consumo di suolo e coniugare la necessità di produzione di derrate alimentari, l’installazione e l’utilizzo di sistemi fotovoltaici dovrà essere favorita sui tetti dei fabbricati rurali (anche al fine di sostituire l’amianto esistente), in territori marginali o attraverso sistemi

c.d. “agri-voltaici” in grado di consentire lo sfruttamento dei terreni sottostanti per fini agricoli.

 

5.              Aiuti alimentari

Potenziare e stabilizzare le risorse del fondo aiuti alimentari nato per sostenere i comparti agri- coli in crisi e le attività del terzo settore impegnate sul fronte della povertà alimentare.

 

6.              Gestione della fauna selvatica e in particolare dei cinghiali

Serve l’approvazione immediata del decreto legge concordato con le Regioni a modifica del- la legge 157, che ha ormai trent’anni, per una gestione efficiente della fauna selvatica e serve rafforzare le risorse a copertura dei danni da fauna selvatica che minano la competitività delle imprese e persino la sicurezza pubblica. Serve altresì contrastare, con speciali ed urgenti stru-

menti normativi e risorse a disposizione del commissario straordinario, la diffusione della peste suina africana che è altresì agevolata dalla diffusione incontrollata dei cinghiali.

 

7.              Potenziamento della “blue economy” e della piccola pesca artigianale

Il comparto della pesca non è mai stato oggetto di riforme di sistema. Occorre definire incentivi per il ricambio dei navigli e dei mezzi con un’età media oltre i trent’anni per favorire la transizione tecnologica e la sicurezza sul luogo di lavoro; dotare il settore di uno stabile strumento di sostegno al reddito, ammortizzatori sociali e sistema pensionistico, e nuovi finanziari per sostenere le imprese e le famiglie dei pescatori professionali colpiti da affondamenti e sinistri in mare.

 

8.              Manutenzione del territorio

Inserire incentivi fiscali e decontribuzione per le imprese agricole disponibili a effettuare inter- venti di manutenzione del territorio e a vantaggio della collettività.

 

9.              Verde urbano

L’obiettivo condiviso di piantumazione di milioni di alberi nelle aree urbane deve essere integra- to con una seria pianificazione territoriale in grado di definire le varietà e le pratiche più adatte al territorio. La gestione del verde deve essere affidata a professionisti e necessita di continuità, pertanto proponiamo di prevedere fondi per gli enti locali per la gestione ordinaria e straordi-naria del verde, avvalendosi di progettisti ed esperti manutentori.

 

10.          Giovani e ricambio generazionale

Proponiamo un piano a burocrazia zero per l’accesso alla terra nelle aree montane e rurali a rischio spopolamento, promuovendo, ad esempio, la cooperazione intergenerazionale con forme di affiancamento tra giovani non proprietari di terreni agricoli e pensionati, con lo scopo di favo-rire il graduale passaggio di gestione della attività di impresa e il recupero di fondi abbandonati.


Cultura, turismo e sport  

 

 

Cultura

L’Italia è il penultimo Paese in UE per partecipazione ad attività culturali: meno di un italiano su due frequenta musei, teatri, concerti o mostre. Quasi il 60% della popolazione, dai 6 anni in poi, legge meno di un libro l’anno. L’Italia ha nella sua cultura le vere radici della civiltà occidentale e per questo deve essere veicolo di trasmissione e socializzazione tra generazioni e ceti sociali. In questa chiave abbiamo formulato le nostre proposte. Per riavvicinare gli italiani alla lettura vogliamo valorizzare e rendere le librerie dei luoghi di incontro e di comunità. Inoltre, essendo

il paesaggio italiano una manifestazione culturale a cielo aperto, il nesso tra cultura e turismo è molto stretto, per questo a completamento di queste proposte abbiamo dedicato una pagina del programma al turismo.

 

1.              Raddoppiare ogni donazione per la cultura effettuata dai privati con fondi pubblici 

Proponiamo un sistema di doppio finanziamento: ogni donazione fatta da un privato ad un ente culturale sarà replicata dal pubblico. Questo sistema un incentivo concreto ai luoghi della cultura per attrarre nuovi finanziamenti privati in quanto i loro singoli contributi avrebbero un impatto doppio.

 

2.              Facilitare l’accesso ai luoghi della cultura tramite un carnet con 10 ingressi gratuiti

La popolazione con ISEE inferiore ai 15.000 euro avrà accesso ad un carnet di 10 ingressi gra- tuiti per teatri, mostre, gallerie d’arte, musei, siti archeologici e altri luoghi d’arte.

 

3.              Sponsorizzare gemellaggi tra scuole e istituti culturali

Per avvicinare maggiormente gli studenti italiani al mondo dell’arte, proponiamo di gemella- re ogni istituto scolastico a un istituto culturale. La collaborazione permetterà di organizzare

laboratori ed eventi come, ad esempio, incontri tra studenti e artisti, cine club e approfondimenti tematici.

 

4.              Far conoscere la Capitale d’Italia tramite un viaggio gratis per tutti gli under 25

Il patrimonio storico culturale di Roma è patrimonio di tutto il Paese, per questo tutti i giovani devono avervi accesso. Per questa ragione, vogliamo dare a tutti i giovani tra i 18 e i 25 anni l’opportunità di recarsi nella Capitale d’Italia con un viaggio sponsorizzato dal Governo. Pro- poniamo di offrire un viaggio in treno, 2 notti in ostello vincolate alla visita di siti archeologici, musei e gallerie d’arte.

 

5.              Finanziare le librerie che organizzano corsi di lettura

Per avvicinare gli italiani alla lettura, proponiamo di finanziare le librerie che offrono corsi di av-vio alla lettura per bambini. In questo modo si potenzia anche il ruolo delle librerie come luogo di scambio e di formazione. Saranno sostenuti anche i librari che avvieranno collaborazioni con le scuole primarie per queste attività durante le ore del tempo lungo scolastico.

 

6.              Finanziare la carta stampata

I mezzi di diffusione della cultura su carta stampata sono sempre meno utilizzati. Per non far scomparire giornali e riviste di informazione, proponiamo di destinare loro la quota del canone RAI che attualmente viene trattenuta dal Ministero dell’Economia.

 

7.              Potenziare il mecenatismo culturale

Vogliamo che il sostegno privato alla cultura sia semplice e conveniente. L’Art bonus, il mezzo di finanziamento al settore da parte di imprese, deve essere reso più semplice negli adempimenti burocratici;

 

8.              Crediti di imposta per il settore cinematografico e audiovisivo

Il Tax credit è un utile strumento di sostegno al settore dell’audiovisivo, tuttavia necessita di



 

alcune essenziali correzioni. Bisogna riformare i criteri di erogazione in modo da scongiurare una logica di finanziamento a pioggia e una partecipazione pretestuosa e poco strategica. Il Tax credit deve favorire la nascita di progetti ambiziosi e, insieme, la valorizzazione di attori con una comprovata esperienza per rafforzare l’assetto industriale del settore.

 

9.              Potenziare gli istituti italiani di cultura all’estero

Vogliamo che gli istituti italiani di cultura all’estero aiutino le energie creative del nostro Paese ad esprimersi in territorio globale. Valorizzare gli istituti italiani di cultura significa rafforzare le relazioni produttive e offrire agli attori della cultura italiana le basi di una carriera internazionale. In un mondo sempre più globalizzato, gli istituti italiani di cultura all’estero devono puntare alla promozione di tutto il settore cultura, facendo rete con le realtà omologhe, favorendo gli scambi e le partnership industriali, ampliando il mercato italiano e permettendone una maggiore incisi- vità.

 

10.          Start up e giovani

Intendiamo favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro culturale attraverso una politica di detrazioni fiscali per gli under 40 che puntano a creare nuove realtà imprenditoriali nel com parto. Generare un sistema che tuteli il lavoro delle nuove leve, favorendone le idee, la sperimentazione e l’innovazione tecnologica.

 

11.          Verso il pubblico del domani

Per potenziare il consumo culturale, oltre a una politica di sostegno che si concentri sull’offerta, è necessario favorire alla base lo sviluppo di una domanda. Le politiche di promozione della cultura sono a oggi frammentarie. Per favorire l’accesso alla cultura da parte dei più giovani, proponiamo di istituire un fondo unico che raccolga tutti i capitoli di finanziamento già esistenti (per la promozione della lettura, del cinema, dell’arte, della musica e degli spettacoli dal vivo) con l’obiettivo di garantire iniziative programmatiche, in modo da ridurre le differenze fra le real- scolastiche dei territori e arricchire strutturalmente l’offerta formativa.

 

12.          Lo spettacolo dal vivo

Nei due anni di fermo dovuti alla pandemia, le attività culturali degli spettacoli dal vivo– teatro, musica, danza, circo e spettacolo viaggiante –, sono state costrette a ingenti perdite. Per tute- larle, proponiamo di potenziare il Fondo unico dello spettacolo e, in particolare, di incentivare i progetti multidisciplinari e le attività trasversali dedicate alle scuole in modo da creare un mec- canismo di scambio virtuoso con il settore di promozione della cultura.

 

13.          La cultura come presidio di civiltà

Vogliamo dare impulso alle realtà imprenditoriali che si occupano della rigenerazione delle aree interne e rurali, cioè quelle porzioni di territorio presenti in tutta Italia che soffrono di un impoverimento demografico, dell’assenza di capitale umano e di mancate occasioni di scambio e di confronto. Allo stesso tempo, intendiamo favorire e sostenere l’attività dei soggetti culturali che operano nelle carceri italiane. La cultura resta il nostro più importante presidio di civiltà e ha bisogno di un forte investimento.

 

Turismo

Il turismo è stato uno dei settori maggiormente colpiti durante la pandemia. Dal 2019 al 2021 il suo contributo al PIL italiano è diminuito di oltre il 16%. Le nostre proposte hanno l’obiettivo di rafforzare questo settore con interventi di breve e medio periodo.

 

1.              Armonizzare l’offerta turistica a livello nazionale attribuendo la competenza allo Stato

Prima che il Titolo V della Costituzione fosse riformato nel 2001, la potestà legislativa regiona


 

 

le in materia di turismo veniva esercitata nei limiti dei princìpi stabiliti dalle leggi dello Stato. Il quadro legislativo attuale invece lascia ad ogni Regione il potere di veto su qualsiasi tentativo di armonizzazione e frammenta l’offerta turistica nazionale. Per dotare il Paese degli strumenti istituzionali necessari allo sviluppo di una politica di sistema occorre ri-centralizzare la compe- tenza del turismo.

 

2.              Ridurre la pressione fiscale in capo alle imprese del settore

Per alleggerire la pressione fiscale a carico delle imprese turistiche occorre:

          commisurare la TARI al numero di giorni in cui la struttura è aperta e al tasso di occupazio- ne;

          sostenere la qualità dell’attività di ricezione e ospitalità con incentivi per la riqualificazione delle strutture, parallelamente ad una troppo spesso rinviata definizione della classificazio- ne nazionale delle stesse.

3.              Investire sul Turismo Ferroviario

Il PNRR prevede il potenziamento delle linee ferroviarie in Italia: si potranno raggiungere terri- tori interni e meno conosciuti con il treno. È necessario che il Ministero del Turismo promuova, per valorizzare i territori coinvolti, percorsi culturali in collaborazione con le aziende della rete ferroviaria: i biglietti dei treni per effettuare i percorsi saranno venduti in pacchetti a prezzo agevolato.

 

4.              Gestione delle emergenze

Le calamità naturali, oltre ad infliggere danni a persone e strutture, riducono i flussi turistici nel- le zone interessate dall’emergenza. Al fine di mitigare gli effetti negativi di tali calamità e miglio- rare le capacità di gestione delle emergenze, proponiamo di:

          istituire misure per tutelare il reddito di imprese e lavoratori stagionali colpiti dai danni;

          predisporre strumenti di comunicazione immediata volti alla trasmissione di informazioni corrette e al rilancio dell’immagine turistica delle destinazioni colpite;

          definire una convenzione tra il sistema di protezione civile e le organizzazioni di categoria

per migliorare l’organizzazione dell’accoglienza di chi rimane privo di alloggio.

 

5.              Potenziare la formazione turistica

L’attuale formazione turistica di scuole superiori ed istituti tecnici alberghieri non è adeguata al

posizionamento turistico dell’Italia e all’offerta di qualità a cui ambisce. Proponiamo quindi di:

          rivedere i programmi degli istituti professionali in funzione delle esigenze del settore, met-tendo, per esempio, maggiore enfasi sulle lingue straniere;

          realizzare una scuola specializzata con corsi universitari dedicati alla formazione di direttori e manager del turismo.

 

Sport

Lo sport in Italia ha una triplice importanza: i) l’enorme numero di associazioni e società sporti- ve dilettantistiche (oltre 115 mila per un totale di oltre 13 milioni di tesserati) lo rende un impor- tante strumento di integrazione, veicolo di socializzazione e reintegrazione sociale; ii) investire sullo sport significa risparmiare sulla sanità perché esiste una forte correlazione tra l’attività fisica e la spesa sanitaria; iii) in termini economici, lo sport vale 78,8 miliardi di euro, pari al 3% del PIL.

 

1.              Rimodulare il regime fiscale considerando la pratica sportiva un’attività legata al be nessere psico-fisico delle persone

È necessaria una nuova impostazione del rapporto sport-fisco che incentivi maggiormente la



 

pratica sportiva, attraverso la detraibilità delle spese sostenute per l’iscrizione a palestre/corsi/ impianti sportivi. Considerato che lo sport contribuisce a migliorare la salute dei cittadini, questo deve essere incentivato attraverso una maggior defiscalizzazione, come tutte le altre attività legate al benessere psico-fisico. Riteniamo quindi necessario introdurre «voucher» sportivi per le ASD detraibili dalle tasse per gli sponsor e aumentare la defiscalizzazione delle sponsorizza- zioni. È altresì fondamentale rivedere la soglia di reddito, attualmente pari a 5.000 euro, supe- rata la quale, a partire da gennaio, i collaboratori e le associazioni sportive dovranno pagare i contributi pensionistici. Tale soglia deve essere rimodulata considerando che: attualmente il versamento dei contributi non è previsto e la sua introduzione comporterebbe una complessità rilevante per le associazioni sportive; la maggior parte dei collaboratori sportivi svolge questa professione come un secondo lavoro ed ha introiti molto ridotti.

 

2.              Incentivare il Partenariato Pubblico Privato per la realizzazione di nuovi impianti sportivi La realizzazione di nuovi impianti sportivi, così come la ristrutturazione degli impianti esistenti, la gestione e la manutenzione degli stessi, può essere effettuata attraverso lo strumento del Partenariato Pubblico Privato (PPP), dove il concedente pubblico affida ad un soggetto privato la realizzazione o strutturazione di un impianto sportivo, nonché la gestione dello stesso, quale forma di remunerazione degli investimenti sostenuti dal privato. In sintesi, il PPP può costituire un adeguato strumento per la realizzazione e gestione di impianti sportivi ove ricorrano le seguenti condizioni:

          impostazione di bandi di qualità con corretta definizione degli obiettivi e degli standard qua- litativi per la realizzazione e gestione dell’opera;

          adeguata struttura pubblica per il monitoraggio della fase realizzativa ed operativa dell’ope- ra.

 

3.              Perseguire l’inclusione attraverso lo sport

In quanto veicolo di promozione sociale, lo sport è un fattore importante nel favorire l’inclusione e l’attività anche di persone con disabilità, incentivando l’aumento e la diffusione di strutture ad hoc e l’incremento della formazione di tecnici specializzati. Occorre: aumentare e/o incentiva- re la costruzione di palestre per l’attività sportiva, se necessario integrando le risorse previste dal PNRR per l’impiantistica sportiva; assumere laureati in scienze motorie per l’insegnamento; completare la riforma del lavoro sportivo.


 Immigrazione

 

 

La crisi demografica in corso in Italia è la più grave d’Europa. Per la prima volta, sono negativi sia il saldo naturale che il saldo migratorio: il differenziale tra nascite e decessi è negativo da anni e in rapida crescita (l’anno scorso è stato poco meno di 310.000); il differenziale tra emi- grati ed immigrati sta ritornando ai livelli pre-Covid, quando era anch’esso in negativo (già nel 2019, a dispetto della percezione legata agli sbarchi, gli emigrati erano stati più degli immigrati). Tra il 2022 e il 2030 si stima un calo della forza lavoro (15-64 anni), solo nel Centro-Nord, di ol- tre un milione e 200mila persone: questo perché con la forte diminuzione delle nascite non sarà possibile sostituire chi va in pensione. Il rapporto lavoratori/pensionati, oggi di 3 a 2, si prevede diventi, prima del 2045, di 1 a 1. Le avvisaglie che oggi vivono molti settori produttivi, dove la ri- cerca di manodopera è diventata difficoltosa (a giugno 2022 il 40% delle nuove posizioni erano di difficile reperimento), sono solo le premesse di una situazione assai più grave, che rischia di danneggiare seriamente il sistema-paese. Per questo, oltre che attivare forti politiche a soste- gno della natalità, a favore dei giovani e del loro ingresso nel mercato del lavoro e a tutela della famiglia, occorre governare seriamente i flussi migratori, con politiche pragmatiche e gestibili.

Ciò potrà essere fatto affrontando quattro principali problemi: gli ingressi, le politiche di integra-

zione, le politiche di asilo e la governance del sistema.

 

1.              Combattere l’immigrazione clandestina favorendo ingressi regolari e programmati 

L’immigrazione irregolare è un danno sia per i migranti che per i Paesi di destinazione: favorisce lo sviluppo di mafie transnazionali e di politiche internazionali ricattatorie. Il solo modo per diminuire radicalmente gli ingressi irregolari, è ripristinare forme di immigrazione regolare e programmata. Per questo proponiamo:

          accordi di cooperazione con i Paesi di origine e di transito (a livello europeo il “Migration compact” – e nazionale) che prevedano politiche commerciali, difesa, institution building, linee di finanziamento dedicate, allargamento dell’unione doganale, e programmazione dei flussi migratori regolari, sulla base delle esigenze del mercato del lavoro. In questo modo sarà possibile ottenere una collaborazione vincolante sui rimpatri (anche volontari e incentivati) in cambio di forme di controllo rafforzato sulle partenze irregolari.

          ristabilire una distinzione tra profughi umanitari (che hanno specifiche tutele internazionali) e migranti economici (che potrebbero inserirsi direttamente nel mercato regolare del lavoro solo con permesso di soggiorno ad hoc). In tal senso è funzionale la reintroduzione della figura dello sponsor per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro a distanza, difficile soprattutto quando si parla di lavori a bassa qualificazione. In questo modo si potrebbe ridurre drasticamente il fenomeno della clandestinità di coloro che alla fine si vedono rifiutare la concessione del visto umanitario. È paradossale infatti che oggi, in presenza di fabbisogno di manodopera, i visti rilasciati per lavoro siano una risibile minoranza.

 

2.              Favorire politiche di integrazione dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie

Più integrazione e meno irregolarità significa più sicurezza per tutti. Occorrono quindi:

          corsi intensivi obbligatori di lingua e cultura italiana per i neo-arrivati.

          regolarizzazione dei migranti irregolari già residenti in Italia che hanno un lavoro. Non abbiamo convenienza a mantenere tassi di irregolarità che finiscono per inquinare la società, favorendo lo sviluppo del lavoro nero, evasione contributiva, concorrenza sleale e vere e proprie sacche di economia criminale.

          Ius Scholae (acquisizione della cittadinanza) per chi abbia frequentato per almeno 5 anni un percorso di formazione in Italia. Inoltre, proponiamo di concedere la cittadinanza a tutti gli studenti stranieri che hanno svolto e completato gli studi universitari in Italia.

3.              Politiche di asilo

Vogliamo offrire alle persone in cerca di protezione che arrivano in Europa e in Italia l’accesso a una procedura di asilo rapida ed equa. A tal fine, vogliamo superare il trattato di Dublino e crea- re un Sistema europeo comune di asilo che, dopo una breve fase di registrazione negli Stati alle



 

frontiere esterne, distribuisca i richiedenti asilo negli Stati membri dell’UE - tenendo conto delle circostanze personali. Rifiutiamo i controlli anticipati della procedura di asilo alle frontiere

esterne. Vogliamo vie di accesso più sicure e legali attraverso un’espansione dei corridoi umani- tari. Vogliamo sempre garantire il salvataggio in mare, coordinato e finanziato a livello europeo. Vogliamo sempre garantire il salvataggio in mare, coordinato e finanziato a livello europeo.

 

4.              Istituire un Ministero per le migrazioni

Le migrazioni sono un fenomeno complesso, oggi gestito con politiche tra loro contraddittorie da vari Ministeri (Interni, Lavoro, Istruzione, Salute, ecc.). Proponiamo l’istituzione di un Ministe- ro per l’Immigrazione per superare la frammentazione di funzioni dei vari uffici che oggi rende complicato l’orientamento per i migranti e i cittadini, ma anche l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, generando inutili complessità.


   Difesa e sicurezza   

 

 

Difesa

Gli eventi degli ultimi anni ci hanno ricordato che per garantire la sicurezza dei nostri Paesi è necessario riformare gli apparati difensivi dal punto di vista qualitativo e quantitativo.

 

A livello nazionale:

 

1.              Aumentare l’efficienza del settore difesa e migliorare la distribuzione della spesa

Al 2022 la distribuzione del budget della Difesa è circa la seguente: 65,7% per il personale, 22,3% per gli investimenti, 12% per l’addestramento e la manutenzione. Tuttavia, la riforma Di Paola del 2012, stabilisce che le varie componenti di spesa dovrebbero avere il seguente peso: 50% per il personale, 25% per gli investimenti e 25% per l’addestramento e la manutenzione.

Proponiamo di rivedere la distribuzione attuale del budget per raggiungere il target, avere mezzi pronti all’utilizzo anche improvviso e incrementare lo svolgimento di esercitazioni militari. Sul piano del personale, negli attuali scenari occorre verificare l’adeguatezza dei target fissati nel 2012 dalla riforma Di Paola. Gli evidenti squilibri in termini di età media e di consistenza delle di- verse categorie devono essere progressivamente corretti con un significativo incremento della truppa. Sarà anche necessario creare meccanismi per favorire l’osmosi con la società civile in modo da valorizzare e sfruttare al meglio le capacità di chi si congeda dopo un periodo prefis- sato di servizio militare.

 

2.              Incrementare il budget per la spesa in Difesa e raggiungere il target del 2% entro il 2025 Attualmente la spesa militare ammonta a circa l’1,5% del PIL italiano, al di sotto degli accordi presi nell’ambito della NATO che prevedono un target del 2%. Per raggiungere tale obiettivo entro il 2025, dobbiamo aumentare la spesa militare di 2,6 mld l’anno.

 

3.              Migliorare il coordinamento interforze

La collaborazione tra le forze armate in Italia è molto limitata e questo genera forti inefficienze e costi gestionali elevati. A titolo esemplificativo basti pensare che l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica hanno tre sistemi logistici, tre sistemi di servizi sanitari e anche tre servizi territoriali. Proponiamo un maggiore coordinamento interforze che consentirebbe di raggiungere significa-tive economie di scala e di scopo.

 

4.              Cybersecurity

Sviluppo e miglioramento della capacità di operare nuovi domini operativi cyber e spazio, valo- rizzando le competenze che la Difesa esprime.

 

A livello UE:

 

5.              Promuovere l’integrazione della catena logistica europea attraverso una maggiore integrazione dell’industria militare

La Difesa in Europa è caratterizzata da un forte fenomeno di duplicazione e di incompatibilità dei prodotti industriali degli equipaggiamenti e dei mezzi, che deve essere risolto per consentire una catena logistica più efficiente e un maggior grado di coordinamento tra le forze europee.

Questo può essere fatto stimolando ogni Paese a specializzarsi nella fabbricazione di specifi- che tipologie di equipaggiamento guaranteed, quindi maggiori economie di scala, tutela di posti di lavoro nell’industria militare, maggiore interdipendenza reciproca dei Paesi (nessun Paese sarebbe considerato superfluo).

 

6.              Creare nel medio periodo delle unità europee per finalità specifiche e con un budget

comune

È necessario iniziare a creare delle unità per specifiche missioni comuni per avviare un processo di integrazione militare. La nostra proposta è di ampliare la capacità di dispiegamento attual\



 

mente prevista (ma non ancora implementata) dall’UE di 5.000 militari, fino ad arrivare gradual- mente a 60.000, come già previsto dallo Helsinki Headline Goal.

 

Sicurezza

La lotta alla mafia, a trent’anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, deve fare altri passi avanti. Il fenomeno deve essere contrastato con una maggiore integrazione delle forze di polizia e del- la magistratura a livello internazionale, potenziando il progetto della Procura nazionale europea. Deve inoltre essere modificata la legge per lo scioglimento dei Comuni infiltrati dalla mafia, garantendo risorse adeguate e strumenti efficaci.

Gli strumenti di contrasto al terrorismo internazionale devono essere potenziati. I pericoli con- creti non vengono scongiurati da una sorveglianza di massa, ma da misure mirate, come l’os- servazione ravvicinata di coloro che sono a rischio, come nel caso di soggetti radicalizzati che possono alimentare il circuito terroristico.

Vogliamo una polizia forte, trasparente e a misura di cittadino: è necessario rafforzare gli stru- menti a disposizione delle forze dell’ordine, sia materiali che digitali, per lo svolgimento dei loro compiti. Infine, è necessario un inasprimento delle leggi sulle armi e maggiori controlli sul loro commercio illegale, anche e soprattutto sui mercati online.


   Riforme istituzionali  

 

 

La nostra Costituzione è la carta di identità della nostra comunità e della nostra democrazia. Siamo orgogliosi e grati ai costituenti per la prima parte, ovvero quella relativa ai principi fonda- mentali e per noi inviolabile. La seconda parte della costituzione, invece, ha da tempo mostrato i limiti di un sistema pensato per garantire un governo debole dopo l’esperienza drammatica del fascismo. Decenni dopo l’entrata in vigore della carta costituzionale, possiamo ripensare l’as- setto istituzionale in un quadro sicuramente diverso.

Vari sono stati i tentativi di una riforma organica della costituzione che purtroppo non hanno mai superato la prova del Parlamento o della conferma popolare tramite il Referendum, come avvenuto da ultimo anche nel 2016. Tuttavia, restano attuali le esigenze di cambiamento a cui quella riforma proponeva una soluzione e che, a distanza di anni, anche molti detrattori hanno dovuto riconoscere essere reali. Del resto, questa legislatura non ha in alcun modo offerto una soluzione al problema del bicameralismo paritario perché la riduzione del numero dei parlamen-tari non sarà in grado di incidere in concreto sulla doppia fiducia dei due rami del parlamento, sul procedimento legislativo.

 

1.              Superamento del bicameralismo paritario

Proponiamo pertanto di affrontare nuovamente il superamento del bicameralismo paritario e la procedura del voto a data certa per velocizzare l’iter di approvazione delle leggi senza dover abusare dello strumento dei decreti legge di urgenza e della apposizione della questione di fiducia.

 

2.              Per un vero federalismo: Autonomia e Responsabilità

Da esattamente trent’anni l’Italia discute di federalismo, ritenendo anche di averlo parzialmente attuato. In realtà, il bilancio di questa stagione è del tutto fallimentare. Il vero federalismo, quello che in ultima analisi privilegia controllo democratico, trasparenza e corretto utilizzo delle risorse pubbliche, si realizza con l’inscindibile accoppiata di Autonomia e Responsabilità: senza uno di questi due elementi, non vi è vero federalismo. Su questo punto siamo molto radicali: proponia-mo la rivisitazione completa del modo in cui stanno insieme i livelli di governo di questa Repubblica.

Innanzitutto, va stabilito quali sono: Comuni, Regioni e Stato. Le Province devono completare la transizione e divenire il “centro servizi” dei Comuni: centrale unica di committenza, ambito ottimale per la gestione dei servizi pubblici locali, assistenza amministrativa e tecnica. Vanno inoltre raddoppiati gli incentivi economici alla fusione dei Comuni, salvaguardando i territori monta- ni. I tre livelli di governo devono avere competenze esclusive e chiaramente ripartite (superando le tremende inefficienze del Titolo V della Costituzione ma anche l’ambiguo rapporto tra Regioni e Comuni): deve essere chiaro “chi fa cosa”. Devono inoltre avere strumenti fiscali esclusivi, del cui gettito sono titolari e responsabili: il cittadino deve avere perfettamente chiaro quale tassa paga al Sindaco, quale al Presidente di Regione e quale al Presidente del Consiglio: oggi sia- mo lontanissimi da questa situazione, con commistioni di gettito e sovrapposizioni largamente inefficienti. Infine, ogni livello di governo territoriale deve essere messo nella stessa condizione di partenza, indipendentemente dalla sua situazione specifica. Serve quindi dare attuazione al dettato costituzionale sui Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e portare a regime l’integrale allocazione dei finanziamenti statali in chiave perequativa, sulla base della differenza tra fabbi- sogni standard e capacità fiscale.

Autonomia e Responsabilità non devono ispirare un intervento estemporaneo e sloganistico, ma una vera e proprio riforma complessiva e strutturale, che deve tener conto anche del dettato costituzionale relativo al regionalismo differenziato; gli amministratori locali devono poter eser- citare le funzioni loro attribuite in maniera libera e autonoma, nel rispetto dell’unità nazionale; i cittadini, nel rispetto di accountability e trasparenza, devono poter pagare, vedere e votare; lo Stato deve essere garante dei diritti costituzionali in tutto il territorio nazionale ma anche dell’ef- ficienza della spesa pubblica, prevedendo un potere sostitutivo in caso di inerzia locale.



 

3.              Sindaco d’Italia

Infine, è sotto gli occhi di tutti che l’instabilità dei governi italiani è uno degli elementi di debolez-za del nostro paese sia sul lato interno, sia nello scenario internazionale ed europeo. L’attuale sistema ha contribuito a generare un senso di sfiducia dei cittadini verso le istituzioni democratiche. Per cercare di ripristinare questo rapporto di fiducia e al contempo garantire maggiore stabilità ai Governi proponiamo di prendere come modello l’istituzione più prossima ai cittadini per una riforma della costituzione. Per questo proponiamo l’elezione diretta da parte dei cittadini del Presidente del Consiglio sul modello dei sindaci delle città più grandi. La riforma del cosiddetto sindaco di Italia si accompagna, peraltro, ad una necessaria riforma del sistema elettorale.


   Europa, esteri e italiani all’estero   

 

 

Europa ed esteri

Durante la pandemia, l’Unione europea ha usato tutte le competenze a sua disposizione per proteggerci. Il Next Generation EU ha fornito uno scudo essenziale per mitigare gli effetti ne- gativi della pandemia sull’economia, e il PNRR ci sta dando le risorse necessarie per avviare e consolidare la ripresa.

Con una svolta in senso federale delle sue Istituzioni, l’Ue può fare ancora di più. Occorre riaprire il cantiere delle riforme dei Trattati, recuperare lo spirito che animò Altiero Spinelli nel 1984 per dare maggiore capacità fiscale, per finanziare programmi di diretta competenza della Commissione, così che la Commissione non abbia come unico ruolo quello del “guardiano” che controlla i bilanci degli Stati membri; per finalizzare l’Unione economica e monetaria e in parti- colare l’Unione bancaria, con la creazione di un safe asset europeo che metta al riparo la tenuta dell’area euro dagli eccessivi spread.

L’Unione europea si trova di fronte a scelte radicali, che impongono una revisione profonda e coraggiosa della sua identità, nel senso di un’attenuazione del suo ruolo, divenendo poco più di un accordo di cooperazione regionale, oppure nel senso di un suo rilancio, perché essa possa costituire un soggetto in grado di gestire le sfide (specie economiche, ma anche di sicurezza e difesa) internazionali. Noi siamo per la seconda.

 

1.              Abolire l’unanimità nel processo decisionale

Il contesto istituzionale dell’UE definisce principi e obiettivi il cui perseguimento e la cui attua- zione sono stati frenati politicamente dalla scarsa volontà dei governi nazionali dei Paesi UE e da una regola - quella del voto all’unanimità - che non risponde alla domanda di una difesa e di sicurezza dell’UE unitaria e che la guerra in Ucraina ha reso manifesta. La regola dell’unanimità in Consiglio consente a piccoli Stati - anche in materia fiscale o di gestione dei flussi migratori - di tenere in ostaggio il resto dell’Unione e deve essere superata.

 

2.              Adottare una politica estera comune

Il conflitto in Ucraina ha reso ancora più evidente la necessità di adottare una politica estera comune europea. Tuttavia, attualmente, un accordo tra 27 paesi sulla politica estera non sem- bra una strada percorribile. Proponiamo quindi di avviare una trattativa solamente con i paesi interessati e con i quali risulti possibile trovare un accordo. Nel breve periodo, la politica estera potrebbe essere attuata tramite contingenti composti dagli eserciti nazionali per poi arrivare nel lungo termine ad un’integrazione più consolidata dell’esercito e della difesa comune.

 

3.              Completare il processo di riconoscimento dei titoli di studio nell’Unione

Per favorire la mobilità all’interno dell’UE, servono regole comuni su istruzione e università per evitare disuguaglianze, a cominciare dall’effettivo riconoscimento dei titoli di studio. Questo pro- cesso, già in corso, deve essere completato attraverso una mappatura delle qualifiche esistenti per identificare dove queste non siano valide.

 

Italiani all’estero

I cittadini italiani residenti all’estero sono 5.6 milioni. Le proposte di Azione hanno l’obiettivo di garantire i diritti di rappresentatività e cura previsti dalla Costituzione, incoraggiando così la partecipazione attiva. Questo obiettivo verrà raggiunto occupandosi di migliorare il voto per corrispondenza, estendere la copertura del SSN, facilitare l’accesso ai servizi burocratici, avvia- re alla cultura italiana e potenziare la rete di scuole italiane all’estero.

 

1.              Semplificare le procedure per consentire agli italiani all’estero di votare

Per facilitare la partecipazione degli italiani alle elezioni proponiamo di velocizzare i processi per l’iscrizione all’AIRE e per ricevere i documenti necessari per il voto. Nei periodi elettorali gli uffici consolari dovranno allungare gli orari e i giorni di lavoro per permettere a tutti di avere accesso ai servizi elettorali. Inoltre, i cittadini non residenti in Italia devono poter richiedere di



 

votare all’estero fino ad un mese prima delle elezioni (attualmente devono fare richiesta con due mesi di anticipo). Infine, è necessario potenziare la ricerca e le possibili sperimentazioni sulla digitalizzazione del procedimento elettorale in linea con quanto sperimentato con l’elezione dei Comitati degli Italiani all’Estero (Comites), avvenuta nel 2021 in 11 paesi stranieri.

 

2.              Facilitare l’accesso ai servizi

Ancora oggi molti italiani residenti all’estero devono tornare in Italia per ragioni burocratiche. Tutti i servizi della Pubblica Amministrazione devono essere accessibili agli italiani all’estero direttamente dai portali digitali di Ambasciate e Consolati. Per esempio, se un italiano residente all’estero richiede il certificato di nascita non dovrà passare dal suo comune di nascita ma avrà la possibilità di riferirsi al consolato.

 

3.              Potenziare la rete di scuole italiane all’estero, avviare alla lettura e alla scrittura in italiano i figli dei residenti all’estero

In molti paesi esteri non sono presenti scuole italiane. Insegnare ai bambini all’estero a leggere e scrivere in italiano diventa un compito delle famiglie che non sempre dispongono degli str menti pedagogici per insegnare queste competenze. Riteniamo necessario che, nei Paesi con più italiani all’estero, i servizi consolari debbano avere il compito di coordinare corsi di avvio alla lettura e alla scrittura per i figli degli italiani residenti. Proponiamo inoltre di avviare un progetto di potenziamento delle scuole italiane all’estero e delle sezioni italiane nelle scuole internazionali, per contribuire a garantire il diritto all’istruzione, al mantenimento dell’identità culturale dei figli dei connazionali e dei cittadini di origine italiana e alla promozione e diffusione della lingua e cultura italiana negli ambienti stranieri. Questo piano sarà definito dal Ministero dell’Istruzione in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri.

 

4.              Consolati più accessibili e più efficienti

Continuare a rafforzare i servizi consolari nel mondo con maggiori dotazioni di personale e

risorse e procedere con forza sulla via della digitalizzazione dei servizi al cittadino.

 

5.              Continuare a ridurre l’IMU dovuta dagli italiani all’estero

In questa legislatura siamo riusciti a reintrodurre l’esenzione al 50% (al 62.5% nel 2022) per i pensionati in convenzione internazionale. Dobbiamo continuare a ridurla anche per altre cate- gorie di cittadini come misura di promozione del ‘turismo delle radici’ e a sostegno dei piccoli borghi.

 

6.              Semplificare il riconoscimento dei titoli di studio

Semplificare e accelerare le tempistiche di riconoscimento dei titoli di studio ottenuti dai cittadi- ni italiani all’estero per sostenere la mobilità dei talenti e delle esperienze.

 

7.              Servizi pubblici celeri ed efficienti

Serve una riforma dell’AIRE che deve diventare unico e digitale per permettere l’iscrizione istan-tanea senza aspettare mesi. Inoltre, è necessario semplificare l’ottenimento dello SPID per gli italiani iscritti all’AIRE.

 

8.              Riforma dei Comites e del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE)

Per favorire la partecipazione dei cittadini, per esempio abolendo l’inversione dell’opzione, e trasformarli in organismi che siano vera espressione delle comunità in cui operano.

 

9.              Cittadinanza

Garantire le riacquisizione della cittadinanza italiana per quanti l’hanno persa definendo accordi di doppia cittadinanza con tutti i paesi dell’Unione Europea in cui non sono ancora in vigore.


 

Reperimento delle risorse necessarie a finanziare gli interventi

Nessun programma elettorale contiene mai le coperture finanziarie. Noi invece non fuggiamo dal problema. Perché è venuto il tempo della serietà.

Per finanziare le misure contenute in questo programma proponiamo due principali direttrici di

azione:

 

1.              Ogni euro già recuperato dall’evasione, torni in tasca ai contribuenti

Uno dei principi maggiormente condivisi “pagare tutti, pagare meno” non è in realtà un automa-tismo nei nostri meccanismi di finanza pubblica. Noi proponiamo che lo diventi.

Proponiamo che ogni anno la riduzione strutturale del tax gap del triennio precedente vada automaticamente destinata al fondo per la riduzione della pressione fiscale. Le risorse sono ingenti: dal 2014 al 2019 (fonte Mef) il tax gap fiscale e contributivo si è ridotto di 10 miliardi. Uno degli obiettivi del PNRR è una riduzione di ammontare simile entro il 2024, e i primi dati disponibili confermano questo trend. Secondo noi queste risorse, derivanti dalla maggiore fedeltà fiscale degli italiani, devono tornare nelle tasche dei contribuenti onesti.

 

2.              Riprendere il controllo della spesa in acquisti

I consumi intermedi della pubblica amministrazione nel 2009 erano 88,6 mld. Nel 2021 sono stati 110,43. Un aumento in termini nominali di circa il 25%. In questo lasso di tempo, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato cumulativamente di circa il 15%. Questo significa che in 12

anni, che hanno visto tre recessioni, due delle quali la più pesanti della storia italiana in tempo di pace, gli acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione sono aumentati di 10 punti più dell’inflazione. La nostra proposta è semplice: applichiamo le più moderne tecniche di determinazione dei fabbisogni e di standardizzazione dei costi, completiamo il processo di riduzione e centralizzazione delle stazioni appaltanti e riportiamo i consumi intermedi al livello in cui sarebbero stati se fossero rimasti costanti in termini reali.





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