Elezioni Politiche 2022 : Ecco i punti principali del programma del Terzo Polo
SCARICA IL PROGRAMMA ELETTORALE:
https://cdn.pagellapolitica.it/wp-content/uploads/2022/08/Programma_Azione_ItaliaViva.pdf
L’Italia è un Paese
le cui energie sono da troppo tempo represse e soffocate da ideologie di tutti
i tipi e dalla mancanza di meritocrazia e pari opportunità. I problemi che hanno frenato il nostro sviluppo non derivano
né dall’insufficiente presenza dello Stato, né dall’ingresso nella Moneta
Unica, come invece sembrano pensare
conservatori, sovranisti e populisti di ogni specie.
Negli Anni ‘50 e
‘60 del secolo scorso, sfruttando energia e voglia di fare di una generazione
che si è impegnata lavorando
per ricostruire un paese distrutto
dalla guerra, siamo passati da essere un Paese essenzialmente agricolo a uno dei più importanti del mondo.
Poi, negli anni
‘70, abbiamo fallito la sfida successiva: quella di investire i dividendi di
quella crescita impetuosa e di adottare
riforme strutturali per mettere le basi di uno sviluppo
duraturo, in un contesto internazionale profondamente mutato a
causa delle crisi petrolifere e dell’instabilità monetaria. E allora siamo andati avanti con inflazione, svalutazione e debito pubblico. False soluzioni di breve periodo
che mettevano sotto il tappeto i problemi
strutturali che si accumulavano. Negli anni ‘90, l’ingresso nell’Uni-
one Monetaria Europea ci ha impedito l’utilizzo di queste misure per
“tirare a campare”, e allora la polvere è venuta fuori
dal tappeto.
Così negli ultimi
30 anni la produttività totale dei fattori (la misura di “quanto bene funziona
la nostra economia”) è rimasta sostanzialmente ferma, e così anche il reddito pro-capite e i salari
reali.
Le ragioni sono chiare: dapprima conservatorismi e poi i populismi (di destra e di sinistra)
hanno impedito all’Italia di realizzare quelle
riforme profonde che erano necessarie per rilanciare la crescita e sfruttare le opportunità della globalizzazione. La prova che un altro modo di governare è possibile è data dall’esperienza del governo Renzi – con Carlo
Calenda Ministro dello Sviluppo Economico – in cui la pressione fiscale è diminuita di circa due punti percentuali, il debito pubblico si è stabilizzato e furono introdotte riforme di sistema
per far crescere la produttività (Jobs Act, Industria
4.0 e tante altre).
Il nostro rimane
uno dei Paesi a più bassa mobilità sociale del mondo occidentale. A dover
essere redistribuita non è soltanto
la ricchezza, bensì le opportunità. Compito della politica è mettere tutti sulla stessa linea di partenza,
e lasciare che ognuno possa dispiegare liberamente il proprio potenziale. Non serve inventare
nuove tasse, sognare la patrimoniale o riempirsi la bocca di “redistribuzione della ricchezza”,
serve il connubio inscindibile tra meritocrazia e pari opportunità. Non solo,
ovviamente. Chi rimane indietro va aiutato,
ma non con la logica dell’assistenzialismo parassitario, bensì con l’instancabile tentativo di rimettere ciascuno
in gioco, e da protagonista.
La nostra missione è quindi chiara: allargare le opportunità per tutti, a cominciare da quelli che ne sono sprovvisti. Per farlo, proponiamo
un ampio spettro di riforme
radicali in ogni dimensione del nostro stare insieme: dal funzionamento delle istituzioni repubblicane al settore formativo, dal funzionamento dei mercati alla Pubblica Amministrazione, dal fisco alla giustizia.
Partendo dal punto di riferimento fondamentale: l’attuazione “senza se e senza ma” del Piano Nazionale
di Ripresa e Resilienza, che non è solo il più ambizioso
programma di modernizzazione che il nostro Paese abbia mai visto, ma è anche l’occasione – se ben gestito – di far avanzare l’integrazione europea lungo le dimensioni che sono necessarie per rendere l’Europa
la protagonista di questo secolo.
Per realizzare questi nostri intendimenti, proponiamo un Programma
che abbia tre obiettivi generali:
favorire una crescita economica inclusiva
e sostenibile, allargare
le opportunità per tutti e semplificare radicalmente la vita ai cittadini. Proponiamo
in particolare specifici
punti programmatici per i seguenti
20 ambiti
della vita pubblica:
INDICE
PRODUTTIVITÀ E CRESCITA |
|
CRESCITA DEL MEZZOGIORNO |
|
ENERGIA E AMBIENTE |
|
LAVORO |
|
FISCO |
|
GIUSTIZIA |
|
SANITÀ |
|
SCUOLA, UNIVERSITA E RICERCA |
|
DIRITTI E PARI OPPORTUNITÀ |
|
GIOVANI |
|
WELFARE E TERZO SETTORE |
|
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE |
|
TRASPORTI |
|
INNOVAZIONE, DIGITALE E SPACE ECONOMY |
|
AGRICOLTURA |
|
CULTURA, TURISMO E SPORT |
|
IMMIGRAZIONE |
|
DIFESA E SICUREZZA |
|
RIFORME ISTITUZIONALI |
|
EUROPA, ESTERI E ITALIANI ALL’ESTERO |
|
Produttività e crescita
Il Piano 4.0 realizzato dall’allora Ministro Carlo Calenda con il Governo Renzi è stata la principale iniziativa di politica
industriale degli ultimi
30 anni. Grazie
a questa, gli investimenti e la produttività hanno raggiunto
livelli superiori a quelli delle imprese tedesche.
È dunque necessario
concentrare le risorse su strumenti fiscali
semplici ed automatici a supporto degli investimenti di cittadini ed imprese. Questa
è l’unica strada
per aumentare salari
e posti di lavoro.
1.
Zero tasse
per i giovani che avviano
un’attività imprenditoriale
Aprire una nuova impresa comporta molte spese iniziali che scoraggiano l’imprenditorialità. Per mitigare un
potenziale problema di liquidità, proponiamo di posticipare e rateizzare tutti
gli adem- pimenti fiscali dei primi
3 anni nei periodi successivi per tutti i giovani under 35 che decidono di aprire una nuova attività.
2.
Facilitare la crescita dimensionale delle imprese
Le imprese di piccolissime dimensioni
sono meno produttive di quelle di dimensione maggiore. In Italia,
rappresentano circa il 95% del totale (ma solo il 30% del PIL) . È quindi necessario porre in essere misure che facilitino ed
incentivino la crescita dimensionale delle piccole e microimprese. Per questo
proponiamo di:
•
innalzare la soglia dimensionale d’impresa per l’applicazione di alcuni dei più pesanti
vincoli burocratici in materia
di lavoro;
•
modulare la defiscalizzazione già prevista nelle Zone Economiche
Speciali al fine di favorire la
crescita delle piccole imprese e incentivare quelle di medie e grandi dimensioni;
•
potenziare il credito d’imposta
per i costi di quotazione
delle PMI, già introdotto dal MISE nel
2017.
3.
Stimolare l’innovazione tecnologica e gli investimenti
•
Ripristinare e rafforzare industria
4.0 – depotenziata dai precedenti Governi – aggiornando la lista dei beni agevolati
(includendo le nuove tecnologie) e aumentando il tetto massimo
per gli investimenti;
•
Estendere il meccanismo industria
4.0 agli investimenti per la transizione ecologica
(es: im- pianti
di produzione e accumulo di energia per l’autoconsumo).
4.
Aiutare
le imprese a trovare forza lavoro qualificata
Il 39% delle posizioni aperte per il mese di giugno 2022 sono di difficile reperimento per mancanza di candidati
o inadeguatezza degli stessi. È fondamentale quindi implementare una politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato (anche per l’attuazione del PNRR) e le competenze
a disposizione della forza lavoro. In particolar
modo è necessario:
•
coprire i costi che le imprese sostengono per organizzare, in collaborazione con gli ITS e gli altri istituti
di formazione, corsi specialistici per la creazione
delle competenze realmente richieste. Tali corsi dovrebbero
essere aperti sia al personale
interno da riconvertire, sia ai lavoratori non ancora assunti e che potranno effettuare
colloqui al termine del periodo di formazione.
•
potenziare gli ITS investendo 1,5 miliardi di euro, al fine di raddoppiare il numero di iscritti e di laureati attraverso un aumento
del numero complessivo di istituti, in linea con quanto previsto
dal
PNRR.
•
5.
Completare le riforme sulla concorrenza
Occorre approvare ogni anno leggi sulla concorrenza che gradualmente – e nel rispetto della sostenibilità sociale dei cambiamenti – rendano la nostra economia più libera e meno gravata da barriere all’ingresso e da restringimenti della concorrenza. Lo scopo è favorire l’innovazione, la crescita e la tutela dei consumatori, in modo che possano avere una maggiore
quantità di beni e
servizi a disposizione e a prezzi inferiori. Occorre dare attuazione alla riforma delle concessioni balneari approvata dal Governo Draghi -
prestando particolare attenzione ai nuclei familiari che hanno nella concessione la fonte di reddito prevalente e hanno effettuato investimenti nella
struttura; bisogna attuare
una liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea, con particolare attenzione all’adeguamento delle
piattaforme tecnologiche alle regole dei servizi del settore e dei relativi
diversi mercati di riferimento (Taxi/NCC).
Il 93% dei servizi pubblici locali oggi attivi è stato affidato
senza gara. La mancanza di procedure competitive incide negativamente sulla qualità e sul costo dei servizi, quindi sulla spesa pubblica,
sulla produttività e sulla crescita del Paese. I servizi pubblici locali alla scadenza del contratto
di servizio devono essere affidati
preferenzialmente tramite gara, prevedendo – per il caso di esercizio della facoltà di affidamento in house – una valutazione cogente e comparativa della qualità del servizio offerto
e che individui i relativi
costi per l’utenza.
Esistono infine casi in cui l’intervento pubblico è necessario
per rilanciare settori
in crisi non strutturale
o per assicurare la sicurezza
degli approvvigionamenti. In questi
casi il pubblico inter-
viene attraverso strutture indipendenti, gestite con governance privatistica
e per il minor tempo possibile. È quindi fondamentale
concludere l’iter di privatizzazione di ITA e ri-privatizzare l’ILVA (con le dovute
garanzie per lavoratori e ambiente).
6.
Piccole imprese e artigianato
Le piccole e micro-imprese artigiane
sono i luoghi dei talenti
italiani, dove spesso si originano
le esperienze del Made in Italy maggiormente di successo. Per sostenere queste realtà occorre accompagnare il passaggio generazionale, favorire il credito diretto e le garanzie,
anche attraverso la mutualità privata. Bisogna inoltre
promuovere la formazione professionale sul campo attraverso l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato duale.
Crescita del Mezzogiorno
Le opportunità per rilanciare il Mezzogiorno passano dalle risorse europee, che garantiscono complessivamente circa 130 miliardi di
euro fino al 2027 (divisi tra 82 miliardi di euro del PNRR, grazie alla clausola Carfagna del 40%, da
utilizzare entro il 2026; 48 miliardi di euro della programmazione 2021-2027 dei Fondi strutturali). A queste si
aggiungono le risorse nazionali del Fondo per lo Sviluppo
e la Coesione (73,5 miliardi
di euro, riservati per l’80% al Sud), da utilizzare, in chiave complementare al PNRR, anche
attraverso i Contratti istituzionali di sviluppo e riprendendo e portando a compimento
i Masterplan del Governo Renzi sottoscritti nel 2016. L’obiettivo è creare un secondo motore dell’economia per rendere questa area del Paese attrattiva
per gli investimenti e ricca
di opportunità per i giovani.
1.
Trasformazione della Agenzia per la Coesione
in Agenzia per lo Sviluppo
Occorre completare il processo già avviato di riforma dell’Agenzia per la Coesione,
rafforzando ulteriormente il
suo ruolo di intervento a sostegno dei progetti volti alla riduzione dei divari
tra Nord e Sud. Con riferimento al
Mezzogiorno, si vuole trasformarla in una vera Agenzia per lo sviluppo. La nuova Agenzia avrà poteri operativi straordinari di affiancamento e, dove necessario, di sostituzione delle amministrazioni locali. Si occuperà di investimenti di qualunque
natura nelle regioni meridionali: non
solo Pnrr e fondi per la coesione, ma anche investimenti legati alla spesa ordinaria dello Stato, che troppo spesso si disperdono
a causa della fragilità amministrativa.
Il ruolo straordinario dell’Agenzia per il Sud dovrebbe durare
almeno dieci anni, sulla base di un piano
specifico di interventi finalizzati alla promozione di condizioni di crescita
economica e di coesione sociale nel
Mezzogiorno.
2. Differenziare la defiscalizzazione per incentivare la crescita dimensionale delle imprese Il Governo Draghi ha prorogato la defiscalizzazione nel
Mezzogiorno. Questo percorso deve pro- seguire
con maggiore intensità introducendo benefici fiscali differenziati per
incentivare la cresci- ta dimensionale delle
imprese.
3.
Garantire
livelli essenziali di prestazioni
sociali
Il Mezzogiorno è stato storicamente indebolito da un sistema di interventi sociali parametrati sulla spesa storica e non su indicatori
socio-demografici. Con il Governo Draghi si è invertita questa tendenza, garantendo
un riequilibrio in particolare rispetto
agli asili, agli studenti con disabilità e ai
servizi sociali. Si tratta di misure da confermare e potenziare anche in chiave
economica, per accrescere il tasso di occupazione femminile
e rendere il sistema produttivo
del Sud più competitivo e attrezzato. Questo processo di riequilibrio deve essere completato
su tutti gli altri capitoli
della spesa sociale.
4.
Completare l’Alta
Velocità e potenziare i treni regionali
Nel periodo 2008-2018
nelle città intorno
all’Alta Velocità il PIL è cresciuto del 7-8% in più rispetto a quelle escluse dal servizio. È necessario, in linea con
il PNRR, completare i lavori
sulla Na- poli-Bari, proseguire
ulteriormente la Palermo-Catania-Messina e realizzare i primi lotti funzionali delle direttrici Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia affinché
entrambe possa- no essere realizzate. . È necessario
inoltre potenziare le reti ferroviarie regionali e interregionali, soprattutto in Sicilia.
5.
Realizzare l’Esagono
della portualità
L’Economia del Mare incide nel Mezzogiorno per il 4,4% sul valore aggiunto, per il 5,7% degli occupati e per il 4,6% del totale delle imprese. Tutti questi dati sono superiori alla media nazionale. Bisogna creare una rete dei porti presenti nelle regioni meridionali, mettendoli a sistema grazie a una cabina di regia, e valorizzare in particolare le opportunità di crescita e di investimenti nazionali e internazionali offerte dalle ZES (Zone Economiche Speciali). Devono essere realizzati i collegamenti di ultimo miglio tra le aree portuali alla rete ferroviaria, in linea con il PNRR. Questo consentirà di migliorare l’efficienza nella distribuzione delle merci, con particolare attenzione alla filiera agroalimentare e farmaceutica.
6.
Rafforzare la centralità delle zone economiche speciali (XES)
Le Zone Economiche
Speciali hanno finalmente visto la luce con norme dedicate alla sburocratizzazione
(autorizzazione unica, sportello
unico, conferenza dei servizi semplificata, ruolo del commissario), alle agevolazioni fiscali (si propone al credito d’imposta con una maggiorazione dell’importo massimo di investimento agevolabile, da 50 a 100 milioni di euro per singolo progetto)
e agli investimenti
infrastrutturali dedicati per un ammontare di 630 milioni di euro. Esse
dovranno assumere un ruolo centrale
nelle strategie di reshoring e per attrarre
nuovi investimenti.
7.
Fare del Sud l’hub energetico del Mediterraneo
Occorrono interventi qualificati per consentire al Sud di contribuire in modo determinante all’autonomia energetica
dell’intero Paese. Esso deve rappresentare il naturale approdo
dei gasdotti, nonché la piattaforma logistica di
interscambio. Il Sud, inoltre, costituisce un
luogo privilegiato di produzione di energia da fonte solare,
eolica, geotermica e marina, e diverrebbe così un protagonista assoluto delle
dinamiche della geopolitica mediterranea.
8.
Migliorare i livelli di istruzione e combattere la dispersione scolastica
Le prove Invalsi non attestano
solo forti differenze
tra Nord e Sud nei livelli di apprendimento, ma evidenziano anche altrettanti forti divari tra le diverse scuole meridionali stesse. A questi dati si aggiungono percentuali altissime di dispersione scolastica, che in alcune aree del Nord sono inferiori
alla media europea
e in ampie parti del Sud sono invece di ben tre volte superiori. Per
invertire questa tendenza, il Governo Draghi ha investito
quasi tre miliardi
per le scuole del Sud: la qualità dell’istruzione rappresenta uno dei principali indicatori della qualità
dell’intervento pubblico, ma anche una condizione imprescindibile per il rilancio economico delle regioni meridionali.
Povertà educativa
e desertificazione economica
rappresentano purtroppo due facce della stessa
medaglia.
9.
Combattere spopolamento e desertificazione economica
delle aree interne
Negli ultimi 18 mesi si è registrato un significativo
cambio di passo nella strategia nazionale sulle aree interne, cioè quelle più distanti dai centri di offerta di
servizi essenziali (mobilità, salute, istruzione).
Questa strategia si muove storicamente su due direttrici: lo sviluppo locale e
il miglioramento delle reti dei
servizi. Nelle aree interne è compresa circa la metà dei comuni e vive circa un quinto dei cittadini
italiani. I fenomeni di spopolamento demografico e di desertificazione economica devono continuare a essere contrastati, in particolare al Sud, per connettere l’intero
Mezzogiorno, senza escludere
o sacrificare determinati territori dalle dinamiche
di progresso civile e sociale.
10.
Aumentare la diffusione della rete internet
È necessario aumentare
il numero di abitazioni con accesso alla fibra fino a casa, che ad oggi è il
26,8% dei totali accessi internet nel Mezzogiorno (8 punti percentuali in meno
delle regioni del nord ovest).
11.
Aumentare la quota di turismo non balneare
per garantire maggiore continuità
Il Mezzogiorno attrae meno turisti rispetto al resto del
Paese (18,5% del totale) e rispetto alle altre aree che si affacciano sul Mediterraneo. Quello che ospita, è un turismo prevalentemente balneare caratterizzato da forte stagionalità e da bassa contribuzione al valore aggiunto.
Per sfruttare il potenziale turistico
del Mezzogiorno, è necessario aumentare
la spesa pro-capite dei comuni del Sud in cultura: ad oggi si
registra una spesa di 8,9 euro, che equivale a meno della metà rispetto alla media nazionale.
Bisogna, inoltre, migliorare la capacità di accoglienza (nel Mezzogiorno sono presenti il 17,1% delle strutture ricettive italiane) e la qualità dei servizi connes-si.
12. Rimuovere i vincoli indiretti
alla crescita economica
e al benessere sociale
Per le regioni
del Mezzogiorno è particolarmente importante rimuovere i vincoli
che frenano gli in- vestimenti e la formazione scolastica e professionale anche nel resto d’Italia. In particolare, come approfondito
nelle altre sezioni del programma, è necessario: ridurre i tempi della
giustizia; semplificare i processi della Pubblica Amministrazione per diminuire la burocrazia e aiutare i Comuni a migliorare le proprie performance, al fine di sfruttare le opportunità del PNRR e di rendere ser- vizi ai cittadini più efficienti;
potenziare il sistema sanitario sia a livello ospedaliero sia territoriale; rafforzare l’istruzione scolastica e la formazione
sin dai primi mesi, anche ristrutturando gli edifici per aumentare la diffusione del tempo
pieno; investire in sicurezza; costruire gli impianti necessari per la gestione dei rifiuti e
potenziare la raccolta differenziata; ristrutturare la rete idrica per ridurre il problema delle
perdite.
Energia e ambiente
Energia
1. Breve Periodo: raggiungere l’indipendenza dal gas russo
L’indipendenza dal gas russo è diventata una questione di sicurezza nazionale e come tale dovrà essere affrontata. Per questo riteniamo necessario:
•
completare con procedure straordinarie la costruzione di due rigassificatori galleggianti
che consentano l’importazione di gas naturale liquefatto
in sostituzione di quello russo;
• aumentare la produzione di gas
nazionale ri-attivando e potenziando gli impianti già esistenti,
anche valutando possibili
partnership con le imprese di produzione del gas per la con- divisione
dei costi in cambio di forniture a prezzi concordati. Dal 2001, infatti, la
produzione nazionale di gas è diminuita dell’80% a fronte di una domanda di consumo sostanzialmente invariata: questo ha comportato un aumento delle importazioni;
• rafforzare la strategia sulle energie rinnovabili, anche completando il processo di individuazione delle aree idonee
all’installazione di impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili
per velocizzare il processo di localizzazione e autorizzazione; completare l’opera di semplificazione delle autorizzazioni per
gli impianti; programmare le nuove aste FER; valorizzare l’idroelettrico come asset strategico per il paese;
favorire lo sviluppo
dell’idrogeno;
•
aiutare le imprese a ridurre i costi della bolletta elettrica
incentivando con garanzia
statale
la produzione di energia rinnovabile per autoconsumo (inclusi
i sistemi di accumulo);
• promuovere in EU un price cap a tutto il gas importato per ridurre anche il costo dell’energia elettrica. In subordine, introdurre modalità più efficienti e più efficaci di quelle recentemen-te individuate per trasferire la extra-rendita reale (non presunta) delle imprese energetiche – inclusi i trader – a famiglie meno abbienti e imprese energivore;
• intervenire sul prezzo della CO2 a carico delle imprese (incluse quelle energetiche). Esso, a causa della guerra in Ucraina
ed il conseguente aumento della generazione elettrica
a carbone, è cresciuto del 300%
dal 2021, contribuendo alla spinta inflattiva. È quindi necessario che la Commissione Europea
utilizzi le quote della market stability reserve per ridurre il prezzo della CO2 fino al termine della crisi.
2. Medio periodo: ridurre del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 con fonti rinnovabili
Dobbiamo proseguire il percorso
di decarbonizzazione, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% rispetto
al livello del 1990, possibilmente entro il 2030. Qualora il livello delle importazioni
di energia elettrica
dall’estero e di generazione idroelettrica interna risultassero inferiori
alle aspettative, e dunque si dovesse destinare il biogas
prevalentemente ad usi non elettrici, la capacità elettrica
rinnovabile addizionale potrebbe
essere ben superiore
ai 70 GW cui fanno riferimento
gli scenari europei.
In questo caso la capacità
rinnovabile intermittente complessivamente installata potrebbe
superare i 140 GW, con conseguenti problemi
di congestione delle linee di trasmissione e fabbisogno di grandi capacità
di accumulo. Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni
di CO2 al 2030 è quindi necessario
sviluppare sin da ora strumenti
alternativi come i sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 prodotta
dalle centrali termoelettriche.
È inoltre fondamentale scorporare il prezzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili da quello dell’energia da fonti fossili per ridurre
il prezzo medio ed evitare che l’attuale crisi possa ripetersi, anche attraverso l’efficientamento del mercato energetico. Ad esempio, è necessario definire
una piattaforma per lo
scambio di contratti di lungo periodo per energia prodotta da fonti
rinnovabili.
Infine, proponiamo di rilanciare il ruolo del c.d. “Prosumer” sia a livello delle Comunità Energetiche (famiglie e Pubblica Amministrazione), sia a livello di distretti industriali (PMI e grandi imprese) attraverso un accesso prioritario alle aree idonee per gli “impianti rinnovabili” di cittadini ed imprese. Così, si conterrà in modo strutturale il costo dell’energia, promuovendo al contempo la competitività e accelerando il processo di decarbonizzazione Lungo periodo: includere il nucleare nel mix energetico per arrivare ad “emissioni zero” nel 2050
L’obiettivo “emissioni zero” al 2050 passa da una
forte elettrificazione degli usi di energia, con un
fabbisogno elettrico tra il doppio e il triplo dell’attuale. Per questo è
necessario utilizzare il giusto mix
di generazione, che includa
rinnovabili e nucleare, impiegando le
migliori tecnologie disponibili. Generare
tutta l’energia elettrica
necessario al 2050 con sole tecnologie rinnovabili variabili richiederebbe impianti eolici e fotovoltaici, sistemi
di accumulo di breve e lungo termine,
reti elettriche e conseguente occupazione di suolo in misura almeno tripla rispetto a un mix ottimale
con rinnovabili e nucleare. Inoltre,
i costi del sistema elettrico sarebbero fino al 50% più elevati.
Per raggiungere questo obiettivo, occorre
sin da ora definire il quadro regolatorio che disciplini il
dispiegamento nel tempo delle tecnologie necessarie, alle migliori condizioni
economiche.
Transizione ecologica
Per raggiungere gli obiettivi
europei di riduzione
delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai valori del 1990 bisogna ridurle del 41%
rispetto al 2018. Oltre ad operare sul piano energetico, è necessario intervenire nei settori che possono influire maggiormente sulla riduzione delle emissioni: trasporti
(responsabili del 26,6% delle emissioni totali), edilizia (che producono il 19,2% delle
emissioni totali) e foreste (sottraggono un decimo delle emissioni).
1.
Ridurre l’impatto del trasporto merci e diminuire
l’uso di mezzi privati inquinanti
L’Italia ha una flotta di veicoli per
il trasporto su gomma più vecchia rispetto alla media UE. Inoltre,
la percentuale di trasporto su ferro del 12% è la ventesima in Europa, dove la media è del 20%. Per ridurre le emissioni, innanzitutto, è necessario ringiovanire il parco mezzi, ripristinando il super e iper-ammortamento al 130% e
140%, destinato alla progressiva sostituzione delle flotte con mezzi meno inquinanti per il trasporto merci. Per
favorire il trasporto su ferro bisogna investire
8 miliardi di euro al fine di integrare le reti ferroviarie italiane nei
corridoi europei: dovranno
realizzarsi 5.100 km di binari per consentire il transito dei treni merci più
lunghi (750 mt). Per diminuire
l’uso di mezzi privati inquinanti bisognerà aumentare la costruzione annuale di metropolitane (da 14,2 km a 20 km) e di tramvie (da 16,9 km a 25 km) per un costo di 1 miliardo di euro l’anno; procedere con lo svecchiamento
del parco autobus (5 miliardi
in tre anni) e del parco
treni (2 miliardi
di euro); aumentare
car e bike sharing con incentivi mirati
ad ammortizzare i costi di acquisto dei mezzi. Infine, per
favorire l’acquisto di macchine ibride ed elettriche da parte dei privati,
bisognerà aumentare gli incentivi per queste macchine,
e favorire l’installazione di punti
ricarica pubblici
urbani (sia stradali
che privati) ed extra-urbani per auto elettriche e ibride plug-in.
2.
Abbassare i consumi di energia, migliorando l’efficienza energetica degli edifici e au- mentando il calore generato
da fonti rinnovabili non nocive per l’ambiente
La principale causa di emissioni
nell’edilizia è il riscaldamento, che assorbe l’80% dell’energia utilizzata dagli edifici. È quindi necessario aumentare il numero di case che utilizzano il teleriscaldamento (per una volumetria del 13%),
prolungando la rete di 900km entro il 2030. Il costo sarebbe di circa 2,5 miliardi di euro. È necessario, inoltre,
costruire 250 impianti di teleriscaldamento alimentati con legno
cippato nei piccoli Comuni montani. Questi impianti costano 125 milioni
di euro e permettono di risparmiare
circa 112 mila tonnellate di CO2 l’anno. Occorre infine investire 1,2 miliardi di euro in centrali di biogas, al fine di immettere il biometano nella rete di riscaldamento, e realizzare un piano di azione per
la ristrutturazione e l’efficientamento energetico dell’edilizia pubblica.
3.
Garantire la manutenzione delle foreste e rilanciare la filiera
del legno
In Italia, ogni anno le aree boschive sottraggono circa 46,2 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera (circa il 10% del totale). Una gestione sostenibile di queste aree garantirebbe un aumento del 30% dell’assorbimento di carbonio. È quindi necessario contrastare l’abbandono delle aree boschive (urbane ed extra-urbane) aumentando i controlli sui Piani di gestione forestale coordinati a livello regionale. Per stimolare il rafforzamento della filiera del legno, seconda industria manifatturiera in Italia, bisognerà investire 6,6 milioni di euro nelle regioni più ricche di patrimonio forestale: si creerebbero così percorsi dedicati alla formazione in mestieri del legno negli istituti tecnici e negli ITS. Altri 25 milioni di euro andrebbero destinati alla realizzazione di 50 piattafor- me logistico-commerciali.
4.
Approvare un piano per la gestione del dissesto
idrogeologico e aumentare
gli investimenti
Siamo
tra i primi paesi al Mondo per danni causati
dal dissesto idrogeologico, e impieghiamo in media
circa 3,5 miliardi l’anno dal 1945 per contrastare i dissesti. Oltre alla
redazione di un appo- sito piano e di un framework
normativo per il cambiamento climatico,
riteniamo quindi necessario
aumentare gli investimenti in prevenzione e in infrastrutture di
contenimento. Inoltre, bisogna rendere
obbligatoria l’assicurazione contro i danni da calamità naturali (oggi solo il
2% delle abitazioni ne sono
coperte). Infine, risulta altresì necessario ripristinare l’unità di missione
contro il dissesto idrogeologico.
Crisi idrica
Nel 2022 si è registrata
una diminuzione di circa il 45% della pioggia e di circa il 70% della neve rispetto alle medie degli ultimi anni. Il Po è sceso di 8 metri, la resa del grano è diminuita del 15% e la produzione di latte da mucche è diminuita del 10%. Nei prossimi anni è ragionevole aspettarsi una progressiva riduzione delle precipitazioni (o comunque una loro concentrazione in alcune stagioni). Le nostre proposte
hanno l’obiettivo di evitare che l’attuale crisi si possa ripetere.
1.
Recuperare e realizzare nuovi invasi e bacini per trattenere le acque piovane
In Italia solo l’11,3% dell’acqua
piovana viene immagazzinato, sprecando così un potenziale enorme. Il PNRR dedica 2 miliardi di euro
per investimenti in infrastrutture idriche: proponiamo che questi finanziamenti vengano utilizzati per la realizzazione degli invasi. È inoltre necessario incentivare la pulizia degli invasi esistenti
semplificando le disposizioni normative riguardanti
la gestione dei detriti.
2.
Ristrutturare la rete idrica
italiana per ridurre
le perdite (attualmente del 40%)
Oltre
il 40% dell’acqua viene dispersa
o sprecata nella rete idrica.
Paragonato agli altri Paesi europei
questo dato è allarmante: in Francia la dispersione nella rete idrica ammonta al 20% e in Germania
l’8%. In media solo 3,8 metri di condotte per ogni chilometro di tubi a fine vita viene sostituito ogni anno e quasi tutti gli
interventi sono al Centro Nord. È necessario aumentare il tasso di sostituzione. A quasi 30 anni
dall’approvazione della legge Galli, in molte parti d’Italia la gestione del servizio idrico è ancora lontana da una logica industriale - che è invece necessaria per una gestione efficiente, per investimenti adeguati e per
salvaguardare la natura primaria del bene acqua.
Gli investimenti nel
settore idrico in Italia sono inferiori rispetto alla media europea: 49 euro pro-capite nel biennio 2020-2021 contro i 100 euro pro-capite in Europa. Per effettuare gli investimenti di cui alle proposte 1, 2 e 3 è
necessario ridurre il numero degli operatori. Gli operatori del servizio idrico sono circa 2.500, ma solamente il 17% di questi è costituito da
gestori industriali privati. Essi
investono 6 volte più dei loro competitor pubblici ma solamente circa la metà dei loro omologhi
europei. È quindi fondamentale, tramite un maggiore
coordinamento regionale,
ridurre il numero di operatori e aumentare le dimensioni degli stessi: così verrà incrementata l’efficienza e la capacità di attrarre capitali privati.
3.
Promuovere un piano per il riuso delle acque di depurazione
In Italia non esiste un piano
nazionale per il riuso delle acque di depurazione, nonostante il grande potenziale di questa risorsa: quasi il 30% dell’acqua restituita dai sistemi di depurazione è di buona qualità
ma, invece di essere utilizzata, in agricoltura finisce nei fiumi o in mare.
Occorre stabilire che le nuove costruzioni edilizie
prevedano il riuso delle acque grigie.
4.
Incentivare gli investimenti in sistemi di irrigazione che riducono gli sprechi d’acqua
Questa misura è rivolta principalmente
agli imprenditori del settore agroalimentare, i quali investono nell’irrigazione di precisione. Essa consente di ridurre gli sprechi ma anche di avere migliori
rendimenti, al contempo monitorando le fasi delle colture ed evitando
alle piante gli stress da carenza o da sovrabbondanza di acqua. Oltre al sistema
di irrigazione goccia a goccia,
gli incentivi sarebbero accessibili anche a chi investe nel controllo delle fasi di irrigazione e di micro-irriga- zione digitale e da remoto.
Economia circolare
L’Italia è uno dei Paesi
europei più virtuosi in
materia di economia circolare: complessivamente ricicliamo circa il 68% dei nostri rifiuti (urbani e
speciali), contro una media UE del 35%. Inoltre, produciamo quasi la metà dei rifiuti rispetto alla media europea.
Per quanto riguarda i rifiuti urbani, la quota di raccolta differenziata varia molto tra regioni del Nord (circa
68,13%) e regioni
del Sud (circa
56,8%). In particolare, delle 8 regioni
che non rispettano il target europeo
sulla
raccolta differenziata, 6 si trovano
nel Mezzogiorno. Inoltre, in contrasto con la logica dell’economia circolare che vede il rifiuto come una risorsa,
l’Italia ha un trend in aumento di rifiuti esportati
all’estero.
1.
Realizzare un piano di investimenti per nuovi impianti
di trattamento dei rifiuti
Il sistema impiantistico italiano per
la gestione dei rifiuti è rimasto indietro e deve essere rafforzato. Se da una parte è importante dare
priorità alla Strategia UE per l’economia circolare, che privilegia il recupero materico dei rifiuti, non si può pensare
di volere un sistema a “rifiuti zero” senza
avere un termovalorizzatore. Autorevoli istituti di ricerca hanno stimato un
fabbisogno di circa 70 nuovi impianti
(es: termovalorizzatori, impianti di trattamento bio-meccanico, impianti di smaltimento, ecc..) da realizzare entro il
2035, per un valore di 10 miliardi di euro circa. Bisogna investire
ulteriori risorse nel settore: le riforme del Pnrr, infatti, prevedono “solo” 2,1
miliardi di euro per la realizzazione di nuovi impianti
per il trattamento e il riciclo dei rifiuti, l’ammodernamen to di impianti esistenti e la realizzazione di progetti “faro”
di economia circolare. L’obiettivo è quel-
lo di realizzare una rete omogenea di impianti di trattamento e riciclo
dei rifiuti dal punto di vista territoriale, consentendo l’ottimizzazione di economie di scala e ottenendo
così una gestione più efficiente su macroaree regionali.
Infine, è necessario
applicare le disposizioni del programma nazionale per la gestione dei rifiuti approvato dal Governo Draghi (si prenda a titolo esemplificativo il superamento del pretrattamento privilegiando il recupero energetico
diretto dei rifiuti
indifferenziati o l’applicazione
del tracciamento dei flussi per il loro monitoraggio). I fondi del PNRR vanno usati per realizzare infrastrutture che migliorino l’economia circolare, ad esempio per aumentare il recupero
delle terre rare
(RAEE).
2.
Aggiungere sulle confezioni maggiori
informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti in vendita
Proponiamo una nuova etichetta
che, seguendo il modello francese
Eco-Score, indichi l’impatto ambientale dei prodotti in vendita facendo riferimento al ciclo di
vita, il sistema di produzione (biologico,
equo-solidale, etc), l’imballaggio, l’impatto legato ai trasporti, la
riciclabilità degli imballaggi e il
rispetto della biodiversità. In questo modo sarà possibile incentivare il
consumo di prodotti sostenibili e penalizzare quello
dei prodotti più inquinanti. Il modo migliore
per incentivare l’acquisto di prodotti con punteggi più alti sarà garantito grazie alla riduzione
dell’IVA sui prodotti coinvolti.
Questa proposta è complementare all’etichetta che sarà obbligatoria dal 2023, che prevedrà solamente l’indicazione di come smaltire la confezione.
3.
Incoraggiare l’applicazione della tariffazione puntuale
per la TARI
Oggi
la TARI tradizionale viene definita
in base ai metri quadrati
dell’immobile e non è collegata
in alcun modo alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta.
Proponiamo per questo di rendere operativa su tutto il territorio nazionale
l’applicazione della tariffazione puntuale della TARI, sul
modello di quanto fatto già in molti comuni
italiani. Questo tipo di tariffa
si basa sul principio del pay
as you throw, secondo cui paga di più chi produce più rifiuti. Saranno pertanto
premiati gli utenti che effettuano maggiormente la raccolta differenziata e che scelgono
prodotti con minori imballaggi, incentivando i produttori a ridurre i materiali usati
per il confezionamento. Sarà realizzata una mappatura dei Comuni che hanno applicato il metodo tariffario puntuale e verrà creato un database di esempi di successo che supporti i Comuni che lo devono ancora introdurre.
Nonostante l’ambito di competenza non
riguardi direttamente il Governo, il Ministero della Tran- sizione
Ecologica può imporre dei LEA a cui tutte le amministrazioni locali si devono adeguare secondo una
specifica timeline.
4.
Creare un sistema di premialità per i Comuni che riducono
la quota di rifiuti non inviati
a riciclaggio
Sul modello dell’Emilia-Romagna,
proponiamo di premiare i Comuni con
le migliori performances in materia di riduzione e trattamento dei
rifiuti. Così, viene scoraggiato l’utilizzo
di discariche.
Lavoro
Il mercato del lavoro è improntato a
un formalismo sfrenato, il costo del lavoro è altissimo, la produttività è bassa, la mobilità
professionale molto limitata e gli spazi di ingresso per i giovani sono estremamente ristretti. Le imprese che operano in modo regolare
sono sovraccaricate di costi, oneri e procedure
molto pesanti, mentre le aziende che scelgono
di collocarsi ai confini della legalità riescono
a violare ogni regola. Il lavoro flessibile – quello che offre garanzie,
tutele e opportunità di ingresso nel mercato del
lavoro - viene contrastato dal sistema, mentre i contratti precari
e illeciti si diffondono senza
ostacoli efficaci.
Troppo spesso misure e proposte politiche
si focalizzano solo sul lavoro dipendente. Tuttavia,
sono 800mila i lavoratori indipendenti che dal 2009 hanno chiuso la loro attività. Solamente
nel 2020 si sono persi 154mila posti di lavoro indipendente, di cui
circa 38mila liberi professionisti. Sono ancora numerosissime le difficoltà per chi decide di praticare
la libera professione. Dal trattamento a livello pensionistico rispetto al lavoro dipendente alla discriminazione che porta all’esclusione da incentivi e agevolazioni concessi
ad altri soggetti
economici. La strada per una piena uguaglianza è ancora lontana.
1.
Introdurre un salario minimo
L’esigenza di garantire a tutti i
lavoratori una retribuzione dignitosa deve passare attraverso una serie di azioni condivise
con le parti sociali: una legge sulla rappresentanza che combatta il fenomeno
dei contratti-pirata e assicuri che siano validi solo i contratti collettivi firmati da orga-nizzazioni realmente rappresentative; la validità erga omnes dei
contratti, assicurando la massi- ma copertura di ogni tipologia di lavoro residuale, e la fissazione di un minimo
di ultima istanza.
Inoltre, i meccanismi previsti
in altre parti
del programma (vedi minimo esente
e imposta negativa)
assicurano
ulteriormente l’innalzamento del reddito disponibile per i lavoratori poveri.
2.
Detassare i premi di produttività
Stimolare la produttività del lavoro riducendo
le tasse che si pagano sulla retribuzione erogata
per premiare
gli incrementi della produttività, detassando completamente i premi.
3.
Supportare le imprese che investono in riqualificazione della forza lavoro (non solo dipendente)
Il 39% delle posizioni aperte per il
mese di giugno 2022 sono di difficile reperimento per man- canza di candidati
o inadeguatezza degli stessi (con picchi del 60% in alcuni settori come quello della
lavorazione della carta e del legno). È fondamentale quindi implementare una
politica di formazione che consenta di colmare la differenza tra le competenze richieste dal mercato (anche per l’attuazione del PNRR) e le competenze a disposizione della forza lavoro.
Proponiamo un rimborso per tutte le imprese che, in coordinamento con il MISE, organizzino tramite
gli ITS e altri enti di formazione, corsi specialistici organizzati per la creazione
delle com- petenze
richieste dal mercato
(non solo in innovazioni). Tali corsi dovrebbero
essere aperti sia a personale
interno da riqualificare, sia a lavoratori non ancora assunti e che potranno effettuare
colloqui al termine
del periodo di formazione.
4.
Combattere la precarietà promuovendo la flessibilità regolare
Il
decreto Dignità, combattendo il precariato, ha perseguito un obiettivo giusto in maniera
total- mente sbagliata,
penalizzando il lavoro flessibile regolare
e fallendo nel contrastare le peggiori forme di precariato (false partite IVA,
collaborazioni irregolari, false cooperative, falsi tirocini, appalti
illeciti). Sono queste
le forme da combattere, aumentando vigilanza e sanzioni.
Nella stessa ottica, bisogna accorpare e cancellare la miriade di “mini contratti”
utilizzati per le forme di lavoro brevi, ripristinando i
voucher che regolavano in maniera corretta e trasparente rapporti che, oggi, sono tornati
nel limbo dei contratti irregolari.
5.
Combattere la burocrazia: piano straordinario per la semplificazione
Bisogna riprogettare il futuro del nostro ordinamento lavoristico, puntando su regole più efficienti e moderne, in grado di attirare e mantenere gli investimenti. Per questo va lanciato un piano straordinario per la semplificazione, finalizzato a cancellare tutte le procedure e le regole inutili e inefficienti; in questo modo si ridurrebbero anche le forme di contenzioso basate su viola- zioni formali, oggi molto diffuse, che minano la competitività del nostro mercato del lavoro senza offrire alcuna garanzia aggiuntiva ai lavoratori.
6.
Eliminare il Reddito di Cittadinanza dopo il primo rifiuto e ridurlo dopo 2 anni
Il Reddito di Cittadinanza (“RdC”) è
uno strumento pensato male, che ha voluto raggiungere troppi obiettivi con un solo strumento e che ha ormai dimostrato
tutti i suoi limiti. Chi ne ha usufruito
non ha trovato lavoro, non è riuscito a formarsi professionalmente e non ha
partecipato a progetti di pubblica
utilità come previsto dalla normativa. A fronte di 20 miliardi spesi nel primo anno e mezzo, lo strumento
ha generato nuova occupazione a tempo indeterminato per meno del 4,5% dei percettori.
Tra i percettori emerge una
grande eterogeneità, in particolare per quanto riguarda la prossi- mità col
mercato del lavoro e l’occupabilità: 70,7% dei percettori sono senza alcuna esperienza professionale nei tre anni precedenti e oltre il 72,6% dei
beneficiari ha completato al massimo le scuole medie. Infine, lo strumento si è dimostrato non
sufficientemente incisivo nella lotta contro
la povertà: 56% delle famiglie
in condizione di povertà assoluta
non riceve il RdC, mentre 36% dei percettori risulterebbe sopra la soglia di povertà assoluta. Per questo occorre introdurre delle modifiche che incentivino maggiormente la ricerca di un impiego
e l’inserimento nel mercato del lavoro e rendano più giusti e inclusivi i criteri di accesso. Proponiamo che il sussidio
venga tolto dopo il primo rifiuto di un’offerta di
lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare
un’occupazione, dopodiché l’importo
dell’assegno deve essere ridotto di almeno un terzo e il beneficiario deve essere preso in carico dai servizi
sociali del Comune.
7.
Adottare modifiche sostanziali che eliminino le iniquità esistenti nella struttura del
sussidio (a danno delle famiglie numerose
e a coloro che vivono nelle grandi aree urbane)
8.
Consentire concretamente alle agenzie private
di trovare lavoro
ai percettori del reddito
I Centri per l’impiego non sono stati efficaci nel favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavo-
ro - come dimostra la scarsa percentuale di percettori del Reddito di cittadinanza che è riuscita
a trovare un’occupazione. Per questo è necessario consentire alle agenzie private
per il lavoro
di accedere ai dati dei
percettori del reddito, al fine di poter affiancare i centri per l’impiego
nella ricerca del lavoro. È inoltre
fondamentale che le agenzie private svolgano colloqui mensili obbligatori con i percettori del reddito al
fine di monitorare la ricerca di lavoro ed individuare eventuali esigenze formative. Il sussidio deve
essere rimosso per i percettori che non partecipano ai collo- qui.
9.
Utilizzare ITS e scuole di alta formazione per potenziare formazione
dei percettori del sussidio
In Italia abbiamo un problema molto
rilevante di mancanza di forza lavoro qualificata rispetto ai lavori
richiesti (skills mismatch). È fondamentale quindi potenziare la formazione dei percettori del Reddito di cittadinanza: bisogna
prevedere corsi obbligatori da pianificare a livello nazionale
sulla base del fabbisogno e
dello skill mismatch misurato mese per
mese dall’Anpal (a maggio 2022 il 40% delle posizioni era di
difficile reperimento) e dalle agenzie private per il lavoro nel corso dei colloqui
mensili con i percettori del sussidio. L’erogazione della formazione dovrà esse- re esternalizzata alle scuole di alta formazione pubbliche e private
e agli ITS.
10. Semplificare le regole per l’attivazione dei progetti di pubblica utilità e coprirne i costi Un altro meccanismo del RdC che non funziona riguarda l’obbligo (teorico) dei percettori di par- tecipare per otto ore a settimana a progetti di pubblica utilità organizzati da enti del terzo settore.
Oggi questo non avviene a causa di complessi iter burocratici. È quindi necessario semplificare le procedure per l’attivazione di progetti da parte del terzo settore, prevedendo anche coperture di bilancio per le spese di strumentazione e di assicurazione dei percettori. Se gli attuali percettori del RdC lavorassero otto ore a settimana come previsto, il terzo settore beneficerebbe di circa 350mila addetti full time (già retribuiti). Un aumento di circa il 38% degli addetti attualmente impiegati nel terzo settore.
11.
Consentire ai lavoratori autonomi
di partecipare ai bandi nazionali
e regionali come le imprese
I professionisti e i lavoratori
autonomi sono frequentemente esclusi da strumenti di incentivo delle attività produttive e da
agevolazioni fiscali, in quanto per usufruire di tali strumenti è ne- cessaria
l’iscrizione alle Camere di Commercio. Tale requisito, di fatto, emargina i professionisti iscritti ad un albo professionale. Per questo riteniamo
necessario equiparare, ai fini della parte- cipazione
a bandi nazionali e regionali,
l’iscrizione agli albi e agli ordini professionali da parte dei liberi professionisti all’iscrizione alla Camera
di Commercio da parte delle
imprese.
12.
Incentivare la crescita dimensionale degli studi professionali
Uno degli elementi di debolezza delle
attività dei lavoratori autonomi in Italia risiede nelle di- mensioni
contenute degli studi professionali, sia dal punto di vista del numero dei professionisti occupati, sia per quanto riguarda il capitale finanziario
impegnato. In un mercato sempre più complesso e diversificato, la crescita competitiva passa inevitabilmente attraverso
l’aggregazione multidisciplinare. Al momento, tuttavia, vi sono fortissime barriere fiscali per chi vuole formare una Società tra Professionisti (STP), la quale comporta un incremento sostanziale del carico fiscale.
Occorre intervenire su questo aspetto,
eliminando il disincentivo fiscale e intervenendo anche sulle problematiche di carattere normativo, contributivo e disciplinare.
13.
Completare la riforma sull’equo
compenso delle prestazioni professionali
Il disegno di legge sull’equo compenso
dell’ultima legislatura è un buon punto di partenza ma necessita comunque di importanti modifiche
per giungere alla sua piena ed effettiva
applicazione. Inoltre,
vanno sanate situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti “forti”
(imprese bancarie e assicurative nonché
le imprese diverse
dalle PMI).
14.
Potenziare la cassa integrazione per i professionisti e le politiche
attive per gli autonomi
La legge di bilancio 2021 ha
istituito, in via sperimentale per il triennio 2021-2023, l’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa: essa rappresenta una sorta di cassa integrazione facoltativa dedicata agli autonomi che si trovano in
particolari situazioni di difficoltà. Il provvedimento si è rivelato pieno di vincoli, che ne hanno compromesso
fortemente le potenzialità soprattutto
a causa dei requisiti di accesso troppo restrittivi. In attesa del
completamento del triennio di sperimentazione, è bene correggere
fin da subito le maggiori
criticità della misura, par- tendo dalla riduzione
dell’aliquota contributiva da versare all’INPS
e dalla rimodulazione dei criteri
di accesso. Contestualmente andranno definiti, attraverso nuovi percorsi
di politiche attive, gli strumenti necessari
per l’aggiornamento professionale dei lavoratori autonomi,
come ad esempio gli accordi con le associazioni di categoria. L’obiettivo ultimo deve essere quello di garantire misure di riqualificazione per mantenere,
ed eventualmente anche innalzare, la competitività nel mercato del lavoro.
15.
Istituire
un sistema opzionale di mensilizzazione del versamento delle imposte dirette
per
i lavoratori autonomi
Il sistema del saldo e
dell’acconto va riformato. Occorre offrire ad un lavoratore autonomo la possibilità di mensilizzare il
versamento delle imposte dirette, spalmando da luglio a dicembre l’attuale acconto di giugno e da gennaio a
giugno dell’anno successivo l’attuale acconto di fine novembre.
Fisco
Nessun settore come il fisco dimostra l’essenza del problema italiano: uno status-quo vecchio ed inefficiente (l’ultima riforma sistemica fu pensata negli anni ‘60 del secolo scorso), oggetto di chiacchiere infinite da parte di opposti populismi troppo impegnati in una guerra di slogan ac- chiappa-voti per pensare e realizzare un serio progetto di riforma. Il fisco italiano deve essere rivoluzionato, ma non a parole: con una seria e graduale opera di riforma sistemica, in grado di consegnare a famiglie e imprese un sistema più leggero (riducendo il cuneo fiscale) e più sempli- ce. Questi i capisaldi fondamentali.
1.
IRPEF
Il “manuale di istruzioni” – e solo
quello principale - della principale imposta italiana consta di 341 pagine. Poteva, forse, essere accettabile nel vecchio mondo. Ma nell’epoca
della globalizza- zione è un fattore di scarsa competitività e di enorme freno alla crescita. Proponiamo
di riformare l’Irpef attraverso questi interventi:
• introduzione di un minimo esente, inteso come maxi-deduzione corrispondente all’ammontare che viene giudicato essenziale
per sopravvivere. Esso, in una società liberale
e attenta agli ultimi, non può essere
oggetto di tassazione da parte dello Stato;
• unificazione tra la detrazione
per lavoro autonomo
e quella per lavoro dipendente;
• semplificazione dell’imposta, spostando tutte le spese fiscali in un sistema a rimborso
diretto: pagamenti con strumenti tracciabili, e periodicamente lo Stato rimborserà
la percen- uale
oggetto della vecchia
detrazione;
• semplificazione della struttura delle aliquote;
• detassazione specifica per i giovani: totale
fino a 25 anni, ridotta
del 50% fino a 29 anni;
• creazione della tassazione negativa,
sul modello anglosassone: per i livelli di retribuzione inferiori al minimo esente, lo Stato integrerà la retribuzione
del lavoratore in misura crescen-te con la retribuzione stessa. In questo modo, si inverte la distorsione causata
dal Rdc e lo si trasforma in una logica per la quale
più il percettore si impegna, più la retribuzione viene integrata;
• detassazione straordinaria - per il solo 2022 – di una extra mensilità
(fino a 2,200 euro), che le imprese potranno scegliere di
erogare ai propri dipendenti ai fini alleviare gli effetti dell’inflazione.
2.
IRAP
Un paese che ha uno strutturale
problema di crescita non può più permettersi di avere un’im- posta che colpisce
la mera accumulazione dei fattori produttivi. Nella legge di bilancio 2022 abbiamo contribuito in maniera decisiva ad abolirla
per le persone fisiche (835.000
contribuenti). Si necessita
il completamento dell’abolizione per le altre categorie giuridiche (società di persone,
enti non commerciali, società tra professionisti, società di capitali).
3.
IRES
• uniformazione del bilancio fiscale a quello civilistico;
• detassazione completa per gli utili trattenuti in azienda e per quelli destinati a schemi di partecipazione da parte dei lavoratori;
• aliquote dimezzate per cinque anni in caso di fusioni tra imprese;
• riordino normativo e unificazione del sistema dei crediti di imposta in caso di comporta- menti
virtuosi e/o in linea con la transizione ecologica;
• estensione della procedura di predeterminazione del carico di imposta (cooperative com- pliance).
4.
IVA
Passaggio ad un sistema a due aliquote (una ridotta e una ordinaria) e contestuale riordino dei
beni e servizi assoggettati a ciascuna aliquota
e ad aliquota zero.
5.
Riduzione della tassazione del risparmio
• Riforma della tassazione del risparmio in senso favorevole al contribuente, armonizzando i criteri di determinazione delle basi imponibili e unificando
le categorie “redditi da capitale” e “redditi diversi
di natura finanziaria”, in modo da consentire le compensazioni fiscali;
• Fiscalità specifica per cercare di convogliare il risparmio privato italiano verso l’economia reale: rafforzamento dei Pir (ordinari e
alternativi) e creazione di strumenti nuovi che favoriscano l’allocazione del risparmio degli investitori istituzionali verso l’economia reale.
6.
Lavoro autonomo
Il regime forfettario ha favorito
tanti lavoratori ma, nella sua attuale versione, costituisce una formidabile barriera contro la crescita.
Oltre la soglia di 65.000 euro di ricavi annui, infatti, vi è un “burrone” fiscale che scoraggia
la crescita o incentiva al sommerso. Proponiamo di realizzare, per chi supera questa soglia, uno scivolo biennale di tassazione agevolata
che accompagni gradualmente l’ingresso alla tassazione ordinaria Irpef.
7.
Riscossione e lotta all’evasione
Dal 2014 al 2019, come conseguenza dell’introduzione del fisco elettronico, il tax gap fiscale e contributivo si è ridotto
di 10 miliardi di euro (dal 22,6% al 18,5%).
Uno degli obiettivi
PNRR è portarlo al 15,8% entro il 2024. Questo obiettivo può essere raggiunto
soltanto continuando gli investimenti nella digitalizzazione e al contempo semplificando e riducendo gli adempimenti.
Servono nuove regole per la gestione del magazzino dei crediti
fiscali, che oggi conta 1100 miliardi,
la maggior parte dei quali non esigibili. Occorre far partire
una “rivoluzione manageriale” nella riscossione, abbandonando l’approccio formalistico a vantaggio di uno rivolto all’efficienza.
8.
Codificazione della normativa tributaria
Occorre raccogliere tutta la normativa tributaria
in testi unici, periodicamente aggiornati
e tra- dotti in inglese.
9.
Fisco
degli enti territoriali
Ogni livello di governo deve avere uno
strumento fiscale esclusivo, il cui gettito tratterrà inte- gralmente; ciò – insieme a una ripartizione chiara delle competenze e a fondi
perequativi allocati secondo fabbisogni standard, capacità fiscale e livelli essenziali delle prestazioni – costituirà un vero federalismo fiscale basato sull’ inscindibile binomio
di autonomia e responsabilità.
10.
Incentivi al welfare aziendale
Incremento a 2000 euro (rispetto agli
attuali 600) dell’ammontare dei benefici (c.d. fringe be- nefits) concessi dalle aziende ai propri
dipendenti. Tale misura, tra l’altro, costituisce un incentivo allo sviluppo del terzo settore,
giocando un ruolo importante nell’ offerta di tali servizi.
Ampliare la dimensione dei benefits significa dunque favorire il non profit.
11.
Incentivi a previdenza complementare per i giovani
Programma di incentivazione
all’attivazione di piani di previdenza complementare per gli under 35 anche attraverso strategie di matching
da parte del pubblico. Come nella quasi totalità dei paesi UE, va adottato il sistema EET per la fiscalità relativa alla previdenza
complementare, eliminando
la tassazione del 20% annuo durante la fase di maturazione e favorendo così l’accumula- zione di un montante contributivo più elevato.
12.
Attuazione e miglioramento della riforma della
giustizia tributaria
Si necessita della riforma che istituisce un giudice tributario professionale e le nuove commis-
sioni tributarie vanno poste sotto l’egida del Ministero della Giustizia, al fine di garantire l’indipendenza del giudice e rispettando così i canoni costituzionali del giusto processo.
Si consente in tal modo l’accesso dei giudici tributari
di merito alle funzioni di giudice di cassazione.
Giustizia
La fiducia nel sistema giudiziario è crollata. Innanzitutto, per i tempi biblici. Fondamentale quindi proseguire sulla scia delle riforme “Cartabia”, per processi più celeri, l’abbattimento degli arretra- ti. Solo così si restituisce credibilità al sistema giudiziario. Le nostre proposte
riguardano tutte le giurisdizioni, gli ordinamenti giudiziario e penitenziario, l’organizzazione amministrativa degli uffici.
Di seguito i punti
principali, tesi a risolvere i mali trasversali che causano un pessimo
funziona- mento dell’intero comparto:
1.
Carriere dei magistrati
•
Approvazione del DDL di iniziativa popolare promosso dalle Camere Penali sulla separa-
zione delle carriere tra giudici e PM, per assicurare la effettiva parità tra accusa e difesa;
• previsione di un sistema di
valutazione di professionalità dei magistrati effettivo e puntuale, anche da parte dei rappresentanti
delle università e dell’avvocatura all’interno dei consigli giudiziari;
•
revisione della
riforma del CSM adottata
nell’ultima legislatura, al fine di superare davvero
il sistema
delle correnti.
•
2.
Interventi trasversali per tutte le giurisdizioni
• Potenziamento dell’organico dei magistrati,
netta riduzione del numero dei fuori ruolo, e
ridefinizione del ruolo e delle figure professionali della magistratura onoraria in ottica di valo rizzazione ed efficienza;
• rafforzamento dell’organico amministrativo, per garantire lo smaltimento dell’arretrato - burocratico e giudiziario - e migliorare il rapporto tra giustizia, cittadini ed operatori del settore;
• rafforzamento del processo telematico;
• creazione di un’unica piattaforma
telematica per tutti i riti (attualmente ne esistono almeno 10 diverse);
• introduzione di requisiti di
formazione manageriale per i magistrati con incarichi direttivi, perché siano preparati
anche dal punto di vista della gestione
efficiente di strutture
complesse;
• informatizzazione degli Uffici e
collegamento, tra loro, delle Cancellerie di tutti gli Uffici giudiziari, con contestuale creazione
di archivi informatici per la raccolta
di dati processuali, con accesso gratuito per gli operatori,
al fine di migliorare l’efficienza della macchina giudizia ria e l’accessibilità da parte di cittadini e operatori del settore.
3.
Settore Penale
•
Riforma della normativa sulla custodia cautelare,
per eliminare ogni possibile abuso: ad
oggi, circa un terzo dei detenuti
non ha subito una condanna
definitiva;
• incentivazione dei riti alternativi al dibattimento;
• ripristino della prescrizione sostanziale;
•
rafforzamento delle norme finalizzate a garantire l’effettiva applicazione del principio
della
presunzione di innocenza per contrastare la spettacolarizzazione mediatica;
• introduzione di norme finalizzate a ridurre i casi di appello da parte del pubblico ministero
della sentenza di assoluzione in primo grado, garantendo che lo strumento
di gravame con- senta
di esercitare realmente il diritto di difesa dell’imputato attraverso una
valutazione di merito della vicenda
processuale;
• riforma del sistema penitenziario, per
garantire il rispetto del principio della finalità riedu-cativa
della pena, coerentemente con quanto previsto
dalla Costituzione.
4.
Settore Civile
• Riforma complessiva del processo
di primo grado, attribuendo al giudice maggiori
poteri di impulso e
direzione ed unificando i riti di cognizione, al fine di ridurre
significativamente i tempi della giustizia civile;
•
valorizzazione della mediazione endoprocessuale quale efficace strumento di deflazione
del contenzioso;
• contenimento dell’abuso del processo,
perché si ricorra allo strumento
processuale nei soli casi effettivamente necessari;
• introduzione di misure correttive dell’Arbitrato, per renderlo
più fruibile e per incentivare il suo uso;
• estensione della garanzia per il gratuito patrocinio ai meno abbienti attraverso l’innalza-
mento della soglia,
per tutelare il principio dell’inviolabilità del diritto di difesa.
5.
Sistema penitenziario
• Rafforzamento del sistema dell’esecuzione penale alternativa alla detenzione in carcere;
•
riduzione del sovraffollamento carcerario
attraverso interventi di riforma dell’ordinamento
penitenziario e di edilizia
carceraria;
• approvazione di una nuova
legge sulle detenute
madri: mai più bambini in carcere.
Sanità
La pandemia COVID-19 ha reso evidente
come la vulnerabilità di un sistema sanitario pos- sa avere profonde ripercussioni, sia sulla salute degli individui,
che sulla crescita economica e
sociale. Sono forti le diseguaglianze relative
all’accesso e alla qualità delle cure, l’inadeguatezza dell’assistenza territoriale, la scarsa integrazione tra assistenza sanitaria
e assistenza sociale,
l’impressionante carenza di personale. Per questo riteniamo necessario:
1.
Riformare i meccanismi di governance e coordinamento tra Stato e regioni
Ridefinire la disciplina di competenza di Stato e Regioni con riferimento ed oltre al titolo V della Costituzione Italiana. In particolare, è necessario riconoscere allo Stato funzioni
di analisi di dati e bisogni, valutazione delle tecnologie
sanitarie, indirizzo e coordinamento delle Regioni. Alle Regioni si riconosce
la funzione di erogazione e gestione dei servizi, con il conferimento di accre-ditamento in base a criteri oggettivi
ed esigenze territoriali. Nel caso in cui le Regioni non siano in grado di garantire l’erogazione dei LEA, va riconosciuta allo Stato la possibilità di intervenire.
2.
Rapporto tra medicina ospedaliera, assistenza primaria, medicina
territoriale e servizi
sociali
Il nostro impegno è per una Sanità in grado di
assicurare un continuum assistenziale tra casa del paziente, territorio, ospedale e viceversa. È quindi necessaria una riorganizzazione dell’assistenza territoriale in ottica di prevenzione e promozione della salute e di garanzia della continuità
delle cure. Sono inoltre necessari investimenti sull’assistenza
residenziale e domiciliare per la popolazione fragile,
finalizzati ad abbattere
le esistenti barriere
di accesso alle cure attribuibili ad importanti diseguaglianze geografiche e sociali. In particolare, sono necessari investimenti in edilizia
sanitaria/abitativa per superare la logica della istituzionalizzazione, con
modelli abitativi per la popolazione anziana
che integrino assistenza sociale e sanitaria. Urge una revisione
del- la Medicina Generale, distinguendo le cronicità di base da quelle di carattere specialistico che saranno prese in carico, sul territorio, da esperti delle varie professioni sanitarie, dagli specialisti ambulatoriali e dai medici di laboratorio, con il supporto della
rete delle farmacie. In questo quadro, occorre adottare indicazioni nazionali prescrittive sulla funzione delle Case della Comunità previste
da PNRR, che siano proiettate all’esterno con nuove professionalità, come ad esempio
lo Psicologo di Base, e con personale
presente con un medesimo sistema di guardia
notturna e emolumento adeguato a tali ulteriori funzioni.
Vanno inoltre incentivate le aggregazioni professionali. Infine, è necessaria un’integrazione della rete di servizi sociali
e sanitari, coinvolgendo specialisti multidisciplinari, di concerto con i MMG.
3.
Rapporto
tra pubblico e privato accreditato,
sia in termini di finanziamento che di fun zionamento
È necessario istituire
modalità più trasparenti nel differenziare servizi pubblici e privati in modo che questi possano
collaborare in sinergia
e integrarsi tra loro, con l’obiettivo primario
di mettere al centro i bisogni del paziente e le sue scelte di cura in un sistema integrato pubblico/privato che garantisca a tutti la stessa qualità di cura e un servizio pubblico
efficace ed efficiente. Inoltre, strategie
specifiche vanno identificate per consentire al settore pubblico
del SSN di potersi agevolmente rinnovare e dotare di ciò di
cui ha bisogno in termini di personale e investimenti in innovazione.
4.
Strutturazione di un adeguato
sistema di prevenzione e preparedness
Riteniamo necessario incrementare gli
investimenti e l’impegno dei servizi sanitari nelle attività di prevenzione e promozione della salute per garantire che l’obiettivo primario
del nostro SSN sia la tutela della salute della popolazione
e non la cura della malattia. Al riguardo è fondamentale investire in progetti
e campagne di prevenzione dalle dipendenze (alcol,
sostanze stupefacenti, internet
addiction disorder, ludopatie) disturbi alimentari, infortuni sul lavoro e rischi ambientali.
Occorre poi rafforzare la lotta all’antibioticoresistenza con protocolli nazionali
obbligatori in tutti i presidi
sanitari, raccolta dati centralizzata, formazione specifica degli operatori
sanitari. Inoltre, va
esteso il rafforzamento e
l’integrazione degli organi tecnici non solo a livello nazionale ma an- che a livello europeo, con la creazione
di un’Agenzia Nazionale
per la prevenzione e la preparedness, per coordinare le attività e
garantirne l’omogeneità sul territorio nazionale. In questo quadro è opportuno anche il ripristino
degli osservatori regionali
della prevenzione e l’implementazione di un sistema di analisi dei dati
biometrici e di strutture di laboratorio e ambienti clinici con i più elevati
livelli di biosicurezza, nonché investimenti in sanificazione ambientale avanzata per scuole,
mezzi di trasporto, uffici pubblici e per dotare i presidi di emergenza di percorsi pandemicfree ed equipaggiare le ambulanze con sistemi di digitalizzazione e
attrezzature per il trasporto in isolamento. Proponiamo
anche l’istituzione di una “protezione civile sanitaria” formata da professionisti
e volontari addestrati al
contrasto alle pandemie e la previsione di una formazione continua e obbligatoria per il personale
sanitario e sociosanitario su prevenzione e contrasto ai rischi pandemici. Infine, è necessario promuovere, anche a livello europeo,
accordi di ricerca e cooperazione con Università e Centri di studio epidemiologico del continente africano
per monitorare l’insorgenza di nuove malattie infettive.
5.
Formazione e la gestione delle risorse umane
Proponiamo di valutare una più rapida ascesa di carriera in campo sanitario
e una remunerazio-ne adeguata
al carico di lavoro e soprattutto alle responsabilità, così da limitare contestualmente il fenomeno dell’emigrazione di professionisti
sanitari verso l’estero. In questo senso, particolare attenzione deve essere riservata al personale sanitario
ospedaliero che in questi anni ha affron- tato
pressioni lavorative massacranti. Se, infatti, il PNRR prevede importanti
investimenti nell’am-modernamento
tecnologico degli ospedali, in parallelo, occorre
un progressivo e strutturale aumento degli stipendi degli operatori sanitari
degli ospedali, con particolare attenzione
a quelli impegnati
nei reparti di medicina d’urgenza e in quelli più soggetti
a rischi di burnout.
Inoltre, per attrarre personale
straniero è necessaria una drastica semplificazione delle proce- dure per il riconoscimento dei titoli di studio esteri per tutte le professioni sanitarie.
È poi fondamentale una riforma dei percorsi di formazione e accesso prevedendo
le specializzazioni cliniche, l’ampliamento delle competenze e delle docenze affidate ai professionisti, l’esten-sione della rete formativa e la revisione
dell’iter per l’acquisizione delle specialità mediche nonché l’adozione di un contratto
specifico di formazione e lavoro che superi il meccanismo delle borse di studio.
Infine, deve essere aumentata
la formazione in telemedicina e nelle tecnologie
digitali e garan-
tirne l’implementazione.
6.
Piano straordinario per le liste
di attesa
Per
recuperare il “deficit di cure” causato dalla pandemia da COVID-19 è necessario varare un piano straordinario per aumentare la capacità produttiva di prestazioni di specialistica ambula- toriale,
visite di controllo e interventi. L’obiettivo deve essere ridurre entro un anno
il periodo di attesa per tali
prestazioni fino ad un massimo di 60 giorni per quelle programmate e di 30 per tutte le altre. A tal fine, per un anno, in tutti i casi in cui siano superati
tali termini, si estenderà la regola del Piano Nazionale
di Governo delle Liste di Attesa 2019-2021
in base al quale il paziente può recarsi in una struttura privata convenzionata senza
costi aggiuntivi.
In parallelo occorre implementare misure di contrasto
alla mancata aderenza
ai piani terapeutici e verifica della appropriatezza delle prescrizioni attraverso un sistema di alert in collegamento con le farmacie
e i medici di medicina
generale, raccolta ed elaborazione statistica
centralizzata dei dati
relativi al monitoraggio dei tempi di attesa
da incrociare con quelli dei Fascicoli Sanitari Elettronici per intervenire a livello locale
in caso di anomalie riscontrate.
7.
Piano strategico nazionale per le filiere dell’innovazione
Nonostante l’Italia sia attualmente il
primo produttore europeo di farmaci, il sistema presenta elementi di vulnerabilità legata alla dipendenza dagli
approvvigionamenti da Paesi extra UE di materie
prime e intermedie e dalla sempre più forte competitività degli Stati Uniti e
della Cina nel
campo
delle biotecnologie. Per questo è necessario un piano strategico nazionale per il soste- gno alla filiera
delle Scienze della Vita e dei dispositivi medici. In aggiunta
al miliardo già stanziato, ma che da oltre un anno è bloccato - e che deve subito essere impiegato
- occorre investire
altri due miliardi di euro. In
parallelo è fondamentale una drastica semplificazione degli adempimenti per l’apertura di nuovi impianti
produttivi e la rimozione degli ostacoli di carattere burocratico che rendono
l’Italia poco attrattiva per le ricerche
cliniche.
Infine, è opportuna l’istituzione di un fondo vincolato all’acquisto da parte dei centri accreditati di terapie avanzate
e l’individuazione di modelli di accesso e di rimborso
delle stesse che siano innovativi, così da valorizzare la componente di investimento di tali trattamenti.
8.
Malattie rare,
tumori rari e malattie croniche
invalidanti
È urgente l’adozione di tutti i
decreti attuativi del Testo Unico delle Malattie Rare, nonché del Secondo
Piano Malattie Rare con l’incremento del relativo fondo. Inoltre, è necessario inserire
nei LEA nuove malattie invalidanti (quali vulvodinia, fibromialgia,
ecc.) e istituire un fondo per la sperimentazione triennale
in ogni Regione di un nuovo sistema di LEA per pazienti
con malattie rare o croniche invalidanti basato sui piani terapeutici personalizzati e non sul rigido meccanismo
dell’elenco delle prestazioni riconosciute.
Infine, è fondamentale la
costituzione di un fondo strutturale vincolato esclusivamente allo Screening
Neonatale Esteso (sul modello di quello per la fibrosi cistica) da ripartire tra le Regioni
per l’ampliamento alla diagnosi delle ulteriori malattie incluse nel
panel, e l’incremento del fondo dedicato al test di Next-Generation Sequencing.
9.
Finanziamento stabile e adeguato
a medio termine
Il SSN deve essere adeguatamente finanziato, in misura comunque non inferiore alla media del finanziamento dei Sistemi Sanitari
dell’Unione Europea, in termini di entità complessiva. Inoltre, è opportuno
destinare una quota non inferiore
al 3% del Fondo Sanitario
Nazionale alla Ricerca,
riaffermando il principio che l’attività di ricerca sia parte integrante e fondamentale del SSN, mo tore
virtuoso di sviluppo
del Paese.
Scuola, università e ricerca
Scuola
In Italia abbiamo tra i tassi di dispersione scolastica e NEET (giovani che non studiano
e non la- vorano) più alti
d’Europa, oltre che performance in lettura e in matematica decisamente peggiori rispetto agli standard internazionali, in
particolare al Sud. I problemi della scuola sono i problemi del Paese: i numeri drammatici della dispersione implicita
e della disoccupazione giovanile segna-
no la nostra distanza dagli altri contesti
europei e ci dettano l’agenda
dei lavori e delle urgenze.
Dobbiamo recuperare efficacia
e offrire ai giovani concrete
prospettive di crescita
culturale e professionale. Ci sono tutti gli strumenti
per dare a ogni talento la possibilità di trovare la propria strada.
1.
A scuola
fino a 18 anni e tempo pieno per tutti
Proponiamo un riordino complessivo dei cicli scolastici
ed in particolare:
•
portare l’obbligo
scolastico da 16 a 18 anni. Rivedere
i cicli scolastici a parità di tempo scuo-la frequentato: da 13 a 12 anni, con
termine delle superiori a 18 anni e anticipo dell’ingresso dei giovani all’università e nel mondo del lavoro,
allineandoci agli standard
europei.
•
estendere il tempo pieno a tutte le scuole primarie per dare più spazio all’apprendimento venendo incontro alle esigenze delle famiglie e introdurre il diritto alla mensa per tutti con sussidio ai nuclei
meno abbienti.
2.
Sistema nazionale
di valutazione
Va ripreso il percorso interrotto dai governi Conte, perché non può esserci autonomia senza valutazione. E solo un sistema nazionale
di valutazione efficace
può consentire di individuare le aree su cui è necessario migliorare.
3.
Valorizzazione delle professionalità e creazione della carriera di un docente
Si deve procedere a firmare
il contratto scaduto da troppi anni in modo da garantire un au- mento significativo dei salari di tutto il
corpo docente. E in parallelo bisogna introdurre forme di carriera per il personale
della scuola in modo da riconoscere anche formalmente le diverse
professionalità che affiancano il Dirigente Scolastico nel funzionamento organizzativo e didattico, nonché
le figure che costituiscono un vero e proprio middle management. Senza questo passag-gio l’autonomia scolastica non potrà dirsi compiuta. Sia per i docenti che per il personale ATA si deve abbattere la percentuale di personale precario,
riportandola così a livelli fisiologici.
4.
Superare le disparità e le situazioni di
svantaggio territoriale
Le rilevazioni sulle competenze degli studenti mostrano
profonde disparità territoriali, con con- testi
molto critici a causa di condizioni sociali, economiche e culturali particolarmente svantag- giate. Per rimuovere queste
situazioni occorre:
•
costruire una mappa delle aree di crisi sulla base dei tassi di abbandono scolastico, dei risultati dei test Invalsi
e dei dati sull’occupazione a livello comunale
(municipale per le città metropolitane);
•
riconoscere un incentivo economico
a docenti appositamente formati che rimangano,
per almeno un ciclo di istruzione, in una scuola ad alta concentrazione di studenti a rischio ab bandono e con tassi di dispersione implicita ed esplicita
superiori alla media nazionale;
•
ridurre il numero massimo di alunni per classe, per aumentare
il tempo che ciascun docente
riesce a dedicare a ogni studente, e istituire
un tutoring individualizzato per
gli studenti con maggiori difficoltà.
5.
Potenziare l’educazione civica
È necessario rafforzare le competenze di cittadinanza e la conoscenza del funzionamento delle
Istituzioni della Repubblica e dell’UE introducendo la presenza sistematica dell’educazione civica
in tutti i programmi scolastici,
attraverso una revisione della riforma recentemente approvata che la valorizzi
nel curriculum degli studenti di tutte le età.
6.
Un nuovo modello per la formazione professionale
Gli studenti degli istituti
professionali sono sotto la
media europea specie in lettura e in mate- matica. Gli studenti degli Istituti
Tecnici Superiori (percorsi post-diploma, alternativi a quelli universitari) hanno invece delle performance molto elevate: l’80% di essi trova lavoro entro un anno dal termine. Perciò,
in linea con il PNRR, proponiamo di:
•
ridisegnare la formazione professionale secondaria su modello degli ITS garantendo che gli studenti acquisiscano le competenze effettivamente richieste dal mercato del lavoro anche attraverso percorsi duali in apprendistato per anticipare il contatto dei giovani con il mon- do
del lavoro, promuovendo la didattica laboratoriale ed esaltando la valenza
formativa del lavoro e dei contesti aziendali;
•
distinguere
due categorie di docenti: a coloro che provengono dai canali ordinari di
recluta- mento, si affiancano professionisti/docenti che posseggono competenze tecnico-operative e rappresentano il collegamento concreto
con il mondo del lavoro;
•
rafforzare
nel primo biennio le materie di carattere generale e trasversale, con
l’obiettivo di garantire la necessaria flessibilità nella formazione degli
studenti.
7.
Aumentare il sostegno agli studenti con bisogni educativi
speciali
Più
fondi alle scuole per stipulare
convenzioni stabili con figure esperte
per supportare i ragaz- zi in difficoltà. Aumentare le risorse
per la formazione degli insegnanti,
rendendola obbligatoria. Incentivare
la formazione degli insegnanti sulle strategie per gestire gli alunni che
manifestano bisogni educativi e stili cognitivi diversi.
8.
Riqualificare in dieci anni tutti gli edifici scolastici
Ripensare l’edilizia scolastica, con spazi destinati
non solo a “fare lezione”,
ma come luoghi di acquisizione attiva di competenze, spazi per lo studio autonomo,
per la socialità e per la convivia-
lità; luoghi per il lavoro individuale e per il confronto tra i docenti;
occasione di incontro, di con- fronto e di partecipazione. Ripristino dell’unità di missione per l’edilizia scolastica.
9.
Libertà di scelta educativa
Solo
attraverso la libertà
di scelta educativa
si potranno liberare
tutte le energie presenti nelle nostre scuole,
statali e paritarie.
Libertà che passa sia dalla compiuta attuazione della parità scolastica, sia da una rivoluzione copernicana nel modo di governare le politiche scolastiche: passare dal concetto di autonomia scolastica a quello di scuole realmente
autonome. All’interno del sistema pubblico,
spetta alla famiglia
scegliere la scuola migliore o i percorsi di formazione
per i propri ragazzi; e spetta allo Stato l’imposizione di standard di
qualità che definiscano un’offerta qualitativamente
uniforme e quantitativamente omogenea su tutto il territorio nazionale, a
comin-ciare dai servizi educativi
per l’infanzia. La libertà di scelta educativa va raggiunta migliorando gli strumenti
a disposizione e studiandone altri (buono scuola, rimborsi fiscali, costo standard,
ecc.) con l’intento
di consentire a tutti di poter scegliere
l’educazione per i propri figli senza ostacoli
economici insormontabili. A questo percorso
deve sempre corrispondere un sistema di controlli e verifiche ministeriali sul rispetto dei criteri e delle regole
nazionali.
Università e ricerca
In Italia solo il 29% dei
giovani tra i 25 e i 34 anni è laureato, in UE solamente la Romania fa peggio di noi (27%). I dati sullo stato dei finanziamenti alla ricerca non sono diversi:
con l’1,5% di investimenti
sul PIL, l’Italia è ben al di sotto dei valori che si registrano in Francia e
Germania, ri- spettivamente al 2,3% e 3,13%. Abbiamo
un sistema di formazione universitaria e ricerca che può contare
su un capitale umano (ricercatori, studenti, personale tecnico-amministrativo) di qualità:
un grande potenziale sul quale investire
per dare forza e centralità a un’università accessibile, inclusiva e internazionale e a un sistema della ricerca di base e applicata di qualità e
d’impatto.
1.
Supportare gli studenti fuori sede
Per supportare l’autonomia abitativa, proponiamo di garantire un sostegno alla residenzialità per tutti gli studenti fuori-sede iscritti a università o ITS per un massimo
di 4 anni. In questo
modo incentiveremo la mobilità sociale
e daremo un accesso alla formazione terziaria
più equo. Questa
sarà la prima misura di un pacchetto
per il riconoscimento del concetto
di “cittadinanza Universitaria” che includerà l’introduzione di strumenti e risorse per
assicurare servizi sanitari, abitativi, amministrativi e di mobilità.
2.
Aumentare l’attrattività a livello internazionale
Gli studenti stranieri nelle
università italiane rappresentano solo il 4,5% del totale. È possibile aumentare
l’attrattività dei nostri atenei con misure mirate:
incremento dei corsi di laurea in lingua
straniera, internazionalizzazione dei curricula, incentivazione dei
docenti stranieri tramite chiamata diretta,
aggiornamento dei servizi agli standard
europei per semplificare l’accesso a tutti gli studenti,
corsi di italiano
per studenti stranieri
per incentivarli a rimanere in Italia dopo la laurea.
Prevediamo così l’allargamento della
platea universitaria, l’incremento dei nostri ranking
e la si- nergia tra studenti
locali e stranieri.
3.
Avviare un programma di reclutamento dei docenti
Riteniamo necessario avviare un programma di reclutamento per nuovi docenti e ricercato- ri al fine di allineare il rapporto docenti
studenti agli standard
europei. In Italia,
infatti, il numero
di studenti per ogni docente
è di 20,3, mentre in Francia è di 16,8, nel Regno Unito di 15,4 e in
Germania e Spagna è di 12. Il programma
sarà anche l’occasione per correggere alcune criticità dell’attuale composizione del personale
docente, caratterizzato da un’età media elevata (oltre 52 anni) e una quota di docenti
internazionali del tutto residuale. Il nuovo sistema di reclutamento andrà semplificato e adeguato, promuovendo politiche di genere, accelerando l’ingresso
in ruolo dei giovani docenti e dei ricercatori e favorendo l’ingresso e
il rientro dei migliori ricercatori sul piano internazionale.
4.
Creare una rete organica
per la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico
Il
divario di investimenti in ricerca tra l’Italia e i nostri
vicini europei causa una perdita
di competitività
e di produttività per il nostro Paese.
Proponiamo (in linea
con il Piano Amaldi) di aumentare gli investimenti in ricerca di base e
applicata fino al raggiungimento di un ulteriore punto percentuale di spesa del PIL dedicata alla ricerca per allinearci alle percentuali europee. Alcuni progetti,
già previsti dal PNRR contribuiranno all’incremento della spesa in
ricerca. Tra questi citiamo i finanziamenti a progetti e ricerca di singoli ricercatori sul modello European Research Council,
finanziamenti a strutture di ricerca mediante bandi di programma di
ricerca e promozione dei dottorati di ricerca e dei dottorati
industriali, ancora poco conosciuti.
5.
Trasformare gli atenei in fondazioni di diritto privato a capitale interamente
pubblico
Le università sono realtà di mercato:
competono a livello mondiale per i migliori studenti, i migliori docenti, i fondi di ricerca e per i
risultati della propria attività di ricerca. Ma in Italia il conte- sto giuridico all’interno del quale si muovono gli atenei è quello del diritto amministrativo, che per sua natura regola le realtà non-di-mercato. Questo provoca un asfissiante eccesso di burocrazia che limita le enormi potenzialità dei nostri atenei. Pertanto,
al fine di consentire all’università italiana
di competere con tutte le sue energie e potenzialità nel mercato
globale, proponiamo
di trasformare gli atenei in
fondazioni di diritto privato
(a capitale totalmente e orgogliosamente pubblico).
Diritti e pari opportunità
Diritti
La garanzia e l’espansione dei diritti civili e dello Stato di diritto in una società aperta è lo spar-tiacque tra il mondo libero e
democratico e il mondo chiuso e illiberale, e definisce più di ogni altra cosa l’identità comune
europea.
1.
Tutelare i diritti civili
e combattere le discriminazioni
È necessario approvare
quanto prima una legge contro l’omotransfobia, istituire
l’Autorità Na- zionale
Indipendente per la Tutela dei Diritti Umani, e adottare
iniziative di prevenzione e contra- sto di ogni linguaggio d’odio.
2.
Assicurare il rispetto dei diritti e doveri da parte del genitore non collocatario nel caso di coppie
separate
Nel 2019 risultano divorziati (non
risposati) 681.000 uomini e 990.000 donne. La legislazione vigente configura un sistema che introduce
per le famiglie divorziate una monogenitorialità di fatto, con l’invenzione della figura del genitore
“collocatario”, il quale gestisce i figli in pressoché completa solitudine, e dall’altra parte il genitore “non
collocatario”. Vogliamo garantire il paritetico coinvolgimento dei genitori, a prescindere dalla loro
convivenza e dal loro rapporto, nelle cure domestiche e nella crescita
ed educazione dei figli, nel rispetto del principio di parità e pari op- portunità. Per raggiungere questo
obiettivo, la prima
misura da implementare è assicurare il diritto di affidamento e domicilio presso
entrambi i genitori del minore (salvo indicazioni particolari dei giudici
e con particolare riguardo ai casi di violenza domestica e maltrattamenti).
3.
Tutelare
le persone con disabilità con una normativa omogenea in tutte
le regioni
Per
realizzare l’inclusione sociale
è necessario implementare misure relative al ‘budget di salute’ delle persone con disabilità. Questo termine indica l’insieme delle risorse e i servizi
necessari a restituire alla persona con disabilità un
ruolo sociale attivo, da realizzare attraverso un progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato. È necessario:
•
favorire
interventi per l’abitare civile, perseguendo l’obiettivo di contrasto a forme
di segregazione esistenti
e garantendo il diritto alla realizzazione del proprio progetto personalizza- to di vita;
•
eliminare tutte le barriere
che è possibile rimuovere (fisiche, logistiche e culturali);
•
favorire programmi di vita indipendente; riconoscere la figura
del “caregiver”, istituendo il
Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza;
•
un piano shock per la piena accessibilità di edifici e servizi pubblici;
•
un “incentivo accessibilità” destinato ai negozianti e gestori di pubblici esercizi
che, pur
in assenza di opere di
dimensione tale da imporre per legge l’abbattimento delle barriere
architettoniche, adottino interventi
per consentire l’accesso
agli spazi da parte delle perso- ne con disabilità
(ad esempio, eliminazione del gradino di ingresso, l’installazione di banconi ribassati, la realizzazione di servizi accessibili);
•
l’adozione
di un’“assegno per la vita indipendente e la non istituzionalizzazione”,
svincolato dal FNA, che vada ad aggiungersi all’indennità di accompagnamento e che sia destinato specificamente a favorire l’autonomia,
anche abitativa, delle persone con disabilità non autosufficienti di età più giovane, prevenendo
l’istituzionalizzazione e favorendo la deistituzionalizzazione. I requisiti
di accesso alla misura saranno
accertati da INPS, ma il
loro impie- go arà determinato con il supporto
dei servizi sociali
locali, sulla base della volontà
della persona interessata e prevedendo sistemi
di monitoraggio e rendicontazione;
•
rendere
sistemici gli istituti sperimentati durante il COVID-19 a tutela dei lavoratori
fragili: in particolare, nel caso di
persone con disabilità o in condizioni di fragilità, il diritto al lavoro agile
(c.d. smart working)
da eccezione, deve divenire strumento strutturale;
•
adottare i decreti attuativi
del Jobs Act, con particolare riferimento alla figura del disability
manager e, più in generale, incentivare, nell’ambito delle politiche attive
per il lavoro, l’assun-zione di persone specificamente formate al
collocamento di persone con disabilità;
•
intervenire sui meccanismi fiscali che oggi creano un conflitto per le famiglie
che, a fronte di retribuzioni minime per il figlio con disabilità derivanti
da stage o percorsi di apprendista- to, rischiano di perdere il fondamentale beneficio
del mantenimento del figlio a carico.
•
4.
Consentire il voto per studenti e lavoratori fuori sede
Attualmente le persone con domicilio
in una città diversa da quella di residenza (solo gli stu- denti fuori sede sono circa 500 mila) non possono
votare nella città in cui vivono. Questo limita fortemente la loro capacità
di esercitare il proprio diritto
di voto in quanto non è sempre possibile tornare
nella città di residenza per votare e comunque potrebbe
avere un costo che non tutte le famiglie possono
sostenere. Per questo proponiamo che venga consentito l’esercizio del diritto
di voto da parte dei cittadini domiciliati, per motivi di studio
universitario o di lavoro, fuori della regione di residenza.
Pari opportunità
Dall’analisi comparativa con il resto dell’Europa, l’Italia
risulta oggi al 14° posto per parità
di ge- nere, con un punteggio del Gender Equality
Index inferiore alla media europea e ben lontano dai primi
tre Paesi della classifica (Svezia, Danimarca e Francia), nonostante abbia
compiuto il progresso più
importante tra tutti i paesi dell’Unione Europea negli ultimi anni, con un
incremento di oltre 10 punti in 7 anni.
In particolare, in termini di partecipazione femminile al mercato del lavoro, qualità
e segregazione dell’attività lavorativa in differenti settori, l’Italia
si posiziona al 28° (e ultimo)
posto in Europa. Nonostante gli ultimi dati Istat abbiano certificato il più
alto tasso di occupazione femminile
di sempre, questa risulta essere significativamente inferiore
a quella maschile, in particolar modo per le donne madri.
Una donna su cinque, infatti,
lascia il lavoro
entro due anni dalla maternità.
Per intervenire sulle disparità
effettive nel trattamento tra i generi abbiamo bisogno di riformare in modo strutturale il sistema di welfare
e di investimenti, di permettere alle donne di perseguire gli stessi obiettivi degli uomini in una
dinamica di equa competizione ed uguali responsabilità e ri- conoscimento. È in questo contesto che, in pieno accordo con le linee guida europee,
il Governo Draghi ha
dotato per la prima volta il Paese di una Strategia Nazionale
per la parità di genere,
che è anche strategia di riferimento per
l’attuazione del PNRR. La
Strategia prevede di raggiungere, entro il 2026, un incremento del 5% nella classifica dell’Indice
sull’uguaglianza di genere. Seguendo
l’impianto della Strategia, le nostre proposte, insieme a quelle relative a
famiglie e giovani (inclusi gli
asili nido), mirano a promuovere la partecipazione delle donne nel mondo del
lavoro e ad aumentare concretamente la parità di genere.
1.
Estendere
la Certificazione della parità di genere per ridurre il gender pay gap, mi gliorare
le condizioni di lavoro delle donne anche in termini
qualitativi, di remunerazio ne e di ruolo e promuovere la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese
Gli esempi internazionali ci insegnano
che la trasparenza è lo strumento più efficiente per contrastare il divario salariale di genere. Con la legge n.
162/2021 e le risorse del PNRR, è stata introdotta la Certificazione della parità di genere, che mira ad accompagnare ed incentivare le imprese
ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree
maggiormente critiche, quali - ad
esempio - opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di man- sioni e tutela della maternità.
Le aziende dotate della certificazione avranno accesso a un miglior
punteggio nelle graduatorie degli appalti e a un esonero parziale
del versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori.
2.
Sostenere l’imprenditoria femminile, soprattutto in ambito innovativo
Il PNRR ha destinato oltre 400 milioni
di euro alle imprese femminili, rimodulando gli attuali sistemi di sostegno all’imprenditoria femminile per aumentare la loro
efficacia, agevolando la rea-lizzazione di progetti imprenditoriali, supportando le startup
femminili attraverso attività
di mento- ring e assistenza tecnico-manageriale.
Noi intendiamo proseguire
rendendo strutturale e potenziando il Fondo per l’Imprenditoria Femminile; potenziando il credito agevolato; con incentivi fiscali per PMI che creano reti di servizi condivisi; dando supporto alle
imprenditrici mamme (introduzione di tutele, durante e per i primi mesi dopo la gravidanza o adozione, per le
lavoratrici con unica fonte di reddito da lavoro indi- pendente).
3.
Attuazione del Family Act per investire sul lavoro
femminile e il sostegno alla natalità Vogliamo introdurre una serie
di misure che riducano i costi per favorire il rientro a lavoro dopo la maternità e ridurre i costi sostenuti
dalle imprese:
•
incentivo
post-maternità per le lavoratrici che rientrano al lavoro o iniziano un nuovo
impiego dopo aver usufruito
del congedo di maternità, entro il compimento del primo anno di
età del bambino. Il sostegno al reddito erogato sarà pari al 30% della
retribuzione mensile al primo figlio,
con tetto a 5.000 euro, al 35% al secondo figlio, con tetto a 6.500 euro e al
40% dal terzo figlio, con tetto a 8.000 euro e durerà fino a 30 mesi;
•
sostegno alle imprese per le spese di sostituzione di maternità;
•
incentivi per le spese finalizzate alla formazione delle donne nel periodo della maternità e
per il rientro al lavoro dopo la maternità;
•
incentivi per le spese finalizzate alla riqualificazione professionale (reskilling) delle donne;
•
ampliamento della tipologia e della quota
di servizi erogabili tramite welfare aziendale;
•
riformare
i congedi parentali e aumentare il congedo di paternità: occorre una riforma
dei congedi per minimizzare l’impatto
della maternità sul progresso della carriera delle donne e per aiutare una più equa distribuzione delle responsabilità nel nucleo familiare.
Proponiamo, quindi:
o
l’aumento della durata del congedo obbligatorio di paternità da 10 giorni
a 1 mese;
o
l’aumento dell’indennità dei congedi obbligatori al 100%;
o
modalità flessibili
della gestione dei congedi parentali
e forme di premialità nel caso in cui tali congedi siano distribuiti equamente
fra entrambi i genitori: concedere
al pa-dre altri 4 mesi di congedo di paternità facoltativo retribuito
al 60% per permettere un migliore bilanciamento dei carichi di lavoro domestico
e modificare l’attuale
congedo parentale di 10 mesi retribuito
al 30%. In particolare, questo congedo deve essere composto da 3 parti: 2 mesi per la madre, 2 mesi per il padre e ulteriori 2 mesi ottenibili solo se entrambi
i genitori abbiano
esaurito interamente i loro periodi
di congedo facoltativo. Considerando che il
congedo facoltativo durerebbe 6 mesi invece di 10, a parità di costo per
il sistema, si potrebbe aumentare la retribuzione dei genitori al 50% durante
il congedo.
Promuovere il diritto al lavoro da
remoto per i neogenitori: sempre più paesi stanno adottando misure di maggiore flessibilità per
permettere di conciliare vita lavorativa e vita familiare. Pro- poniamo di estendere anche all’Italia
questa iniziativa dando la possibilità ai genitori di bambini con età inferiore
ai 2 anni di aumentare
i giorni di lavoro da remoto.
4.
Contrasto alla violenza sulle donne
Una
delle ragioni che impedisce alle donne di denunciare è la paura di ritrovarsi
senza una casa e
senza un reddito. Oltre a un percorso di allontanamento dalla violenza, è
fondamentale offrire strumenti per l’empowerment delle
donne e il contrasto alla violenza economica:
•
aumento del numero dei centri antiviolenza (CAV). L’obiettivo è raggiungere i target europei,
che prevedono 1 CAV ogni 10mila abitanti per ogni regione
(dovremmo passare da 300
a
6.000 CAV);
•
aumento dell’indipendenza delle donne ospitate
nelle case rifugio tramite il rafforzamento
del Reddito di Libertà;
•
sessioni di orientamento lavorativo e assistenza alla candidatura all’interno
dei CAV;
•
percorsi di supporto psicologico, all’interno dei CAV, per i figli minori delle donne vittime di violenza che sono spesso sottoposti a cambiamenti drastici e improvvisi
(es: cambio di abitazione e scuola);
•
approvazione del pacchetto anti-violenza messo a punto dalle Ministre
del Governo Draghi
e fondato su: fermo immediato
dell’indiziato per minacce,
lesioni e stalking;
la possibilità di una
vigilanza dinamica della vittima con un uso rafforzato del braccialetto
elettronico; la
procedibilità d’ufficio
e quindi senza denuncia, ma anche un sostegno economico
già in fase
d’indagine per chi decide di sporgere
querela.
Famiglie e natalità
Le
previsioni sul futuro demografico in Italia restituiscono un quadro di crisi.
Il tasso di fecondità italiano è tra i più bassi d’Europa. L’invecchiamento della popolazione residente
provocherà, tra
le altre cose, un aumento della spesa
pensionistica e una drastica riduzione della spesa sanitaria pro-capite. È necessario quindi per
limitare gli effetti negativi, sostenere la natalità e modificare la gestione dei flussi migratori (cfr. proposte sull’immigrazione).
Grazie al Governo Draghi è
stato approvato il Family Act, una riforma strutturale, integrata, sistemica
delle politiche familiari, che è anche riforma di accompagnamento del PNRR. In questa cornice, il PNRR finanzia un ingente piano di potenziamento dell’offerta
di posti negli asili nido
e scuole d’infanzia: 4,6 miliardi di euro destinati alla creazione di nuove infrastrutture, ma anche a sostegno del funzionamento delle
stesse, grazie anche alla definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione per i servizi
per la prima infanzia (Legge di Bilancio
2022).
Il Family
Act ha introdotto l’Assegno Unico Universale che prevede un investimento di 20
miliardi di euro ogni anno per le famiglie
con i figli, di cui quasi 7 miliardi aggiuntivi rispetto al preceden- te caotico sistema di molteplici incentivi e aiuti, che
impediva di capire il vero effetto sulla natalità e non era universale.
È necessario ora dare attuazione a
tutto il Family Act, che prevede misure di sostegno all’e- ducazione dei figli; la riforma dei
congedi parentali, di paternità e di maternità; l’introduzione di incentivi
per il lavoro femminile, la condivisione della cura e l’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro e di sostegni alla spesa delle famiglie per la formazione
dei figli e il conseguimento dell’au-tonomia finanziaria dei giovani.
In particolare, proponiamo:
•
potenziamento dell’Assegno Unico e Universale con aumento della maggiorazione in caso di secondo percettore
di reddito e revisione dell’ISEE
(necessario aumentare il peso: di figli o persone con disabilità a carico delle famiglie);
•
attuazione delle delega relativa
al sostegno all’educazione dei figli: assegno di rimborso
delle spese educative
(rette relative alla frequenza dei servizi educativi
per l’infanzia e delle scuole,
anche paritarie; di attività sportive
e culturali, dei centri estivi
e di altre attività di educazione
non formale); assegno di rimborso
per le spese sostenute per i figli con disabilità, con patologie fisiche o psichiche
invalidanti, compresi i disturbi del comportamento alimen-tare, disturbi
specifici dell’apprendimento o bisogni educativi speciali;
•
attuazione
del piano asili nido, parte del PNRR;
•
potenziamento del Bonus Asilo Nido: proponiamo di rendere il nido gratuito
per i nuclei con ISEE inferiore a 25.000 euro, garantendo un sussidio decrescente alle famiglie con ISEE tra i 25.000 e 40.000 euro.
•
assegno di rimborso per i costi sostenuti per servizi di cura di figli piccoli (baby-sitter), geni- tori anziani
(badanti) o persone
con disabilità (educatori).
•
rendere
strutturale il contributo agli enti locali per la realizzazione dei centri
estivi, con il coinvolgimento del Terzo settore;
Giovani
•
rendere strutturale il fondo per i progetti
del terzo settore di educazione non formale.
In Italia tutti parlano di giovani ma rimangono la
categoria complessivamente più svantaggiata.
Per questo abbiamo scelto di aderire alla proposta - recentemente lanciata dal prof. Vincenzo Galasso
su un noto quotidiano - secondo cui ogni euro speso per la fascia over 65 deve essere
accompagnato da almeno
un euro speso per la fascia under
35. Proponiamo inoltre
di:
1.
L’imprenditoria giovanile, misurata in termini di imprese
fondate da under 35, in Italia è calata del 10% tra il 2017 ed il 2021. Un dato drammatico dovuto
spesso alla difficoltà di accesso al ca- pitale
e alla complessità della burocrazia. È necessario presentare uno specifico progetto
per l’imprenditorialità
giovanile: forme di accompagnamento all’imprenditorialità, mediante servizi di incubazione, consulenza, mentoring e
coaching per i giovani, e acceleratori per integrare l’of- ferta finanziaria con nuovi strumenti
a sostegno dell’innovazione organizzativa e dello sviluppo del capitale umano. Per finanziare questo progetto proponiamo
di usare parte dei 200 milioni
di euro di fondi del PNRR dedicati
al rilancio dei Centri per l’Impiego (CPI) non ancora allocati, così da introdurre nei CPI un servizio di
“assistenza all’autoimpiego e all’imprenditoria giovanile” per giovani under 35 che desiderano avviare
un’impresa. Infatti, in molte zone, specie quelle
ru- rali, i CPI costituiscono forse l’unica struttura
che possa fungere da supporto
all’imprenditoria- lità
giovanile. I CPI dovranno così assistere le start-up fornendo consulenza legale e normativa, sostegno per le richieste di fondi pubblici
e la partecipazione a gare, ricerca
di personale.
2.
Rafforzare i servizi
di orientamento per addolcire la transizione tra formazione e lavoro Al fine di facilitare la transizione
scuola/università-lavoro è necessario rafforzare i servizi di orientamento e l’attivazione di reti
orizzontali e verticali tra istituzioni scolastiche/universitarie e imprese. Questi servizi saranno finalizzati ad accompagnare l’uscita dalla scuola verso il primo impiego, anche con l’obiettivo di
individuare il fabbisogno dei diversi ambiti professionali e infor-mare i giovani
sulle prospettive di occupazione reale dei vari percorsi di studio.
3.
Riformare “Garanzia
Giovani”
Proponiamo di rivalutare e modificare
il programma ‘Garanzia Giovani’ per renderlo più effica-ce. Prevediamo l’anticipo di parte delle erogazioni per evitare
problemi di liquidità ai giovani di famiglie più svantaggiate.
4.
Regolare i tirocini curriculari
Contrastare il fenomeno dell’uso improprio dei tirocini
extra-curriculari regolando i tirocini curriculari per assicurare che siano esperienze
realmente formative e non soltanto
atti dovuti all’interno del percorso di istruzione. Valuteremo l’opportunità di introdurre
agevolazioni per le imprese
che attribuiscono un rimborso spese o un’indennità ai tirocinanti o che trasformano il tirocinio in contratto di lavoro.
5.
Semplificare l’accesso
alle professioni
Estendere l’istituto delle lauree abilitanti e professionalizzanti, e introdurre misure affinché siano attribuiti
rimborsi spese e indennità minime per praticantati e tirocini, al fine di
scongiurare for- me di sfruttamento.
6.
Consolidare le competenze con piani di studi universitari
Proponiamo di promuovere
un piano strutturato per incentivare lo studio delle materie scientifi- che, specie tra le giovani donne. Inoltre, al fine di promuovere
l’alfabetizzazione economica delle future generazioni, proponiamo di rendere obbligatorio l’insegnamento dell’educazione finanzia- ria.
7.
Investire in competenze digitali
dei giovani
Le competenze digitali
sono un elemento fondamentale per assicurare l’integrazione proatti- va tra
formazione e occupazione giovanile. Per permettere a tutti i giovani di avere
una solida formazione digitale,
sono necessari investimenti adeguati per promuovere
un progetto strategi-
co nazionale alla formazione e allo sviluppo
delle competenze digitali dei giovani,
sia in ambito scolastico, a partire dalla scuola primaria,
sia in ambito lavorativo.
Welfare e terzo settore
Anziani
Nel
mondo l’Italia è seconda soltanto
al Giappone in quanto a longevità. Gli over 65 sono circa 14 milioni e costituiscono il 23% della popolazione. L’invecchiamento attivo deve essere sostenuto attraverso politiche
pubbliche che riconoscano ad ognuno il diritto e la responsabilità di avere un ruolo
attivo e partecipe alla vita della comunità in ogni fase della vita, compresa
quella anziana (partecipazione delle persone anziane nelle politiche
e nei processi decisionali, nella vita sociale e culturale;
cura integrata che metta al centro la persona, che assicuri loro indipen-denza, autonomia, e dignità nella cura, e
che sia incentrata sulla prevenzione e su interventi precoci). Dobbiamo passare da una visione delle persone anziane come esclusivamente biso- gnose di assistenza a una che consideri le persone anziane una ricchezza
attiva, capaci quindi di rappresentare una risorsa per la società.
1.
Istituire presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il “Dipartimento per la Terza Età”
In Italia non esiste un settore specifico
dedicato alla terza età avulso dal contesto
generico ed omnicomprensivo delle Politiche Sociali.
Affinché il valore della stagione
della vita anziana
diventi una stagione di vita attiva
a cui restituire sostegno e dignità
sosteniamo una “Politica Se- nile” paritetica con la “Politica Giovanile”.
2.
Istituire la figura di “Garante dei Diritti della Terza Età”
Istituire un Garante nazionale dell’anziano che dovrà essere scelto tra persone con comprovate competenze in ordine ai problemi dell’età
avanzata, nel settore geriatrico, nel settore psico- logico o nel settore delle scienze umane. Il Garante dovrà
essere il punto di riferimento per le segnalazioni, presentate dagli anziani o dalle associazioni che li rappresentano, relative alla vio- lazione della legislazione vigente e per assumere ogni iniziativa a tutela del diritto alla salute e al
miglioramento della qualità della vita delle persone anziane, grazie anche al
controllo diretto delle RSA.
Le regioni dovranno istituire gli uffici
del Garante regionale degli anziani e
le spese di funziona- mento del Garante e dell’Ufficio del medesimo Garante saranno poste a carico del bilancio
dello Stato.
3.
Definire Linee Guida Nazionali
per i Centri Sociali per Anziani
L’organizzazione dei centri anziani varia molto da regione a regione in quanto non esistono delle Linee
Guida Nazionali. Inoltre, non esiste un monitoraggio delle attività
effettivamente svolte. È necessario definire
linee guida nazionali
per fornire indicazioni sul funzionamento e la gestione
dei centri anziani
oltre che per garantire degli standard di prestazione minima.
4.
Garantire la prevenzione psicologica e sanitaria nei centri anziani
I servizi pubblici avranno il ruolo di
offrire prevenzione psicologica e sanitaria alle persone di terza età mediante visite/screening
periodiche fatte presso i centri per anziani da personale specializzato, decongestionando in tal maniera Pronti Soccorso e Reparti di Geriatria.
5.
Promuovere lo scambio intergenerazionale nei centri anziani
I centri sociali per anziani avranno
un budget dedicato
alla creazione di collaborazioni con scuole e centri di attività per i giovani.
Per esempio, nei centri sociali per anziani che dispongo-
no di luoghi all’aperto si potranno predisporre attività sportive per i bambini.
6.
Azzerare la burocrazia per gli anziani
e ridurre il digital divide
Come spiegato nel nostro programma
per la Pubblica Amministrazione, è necessario ridurre al minimo l’impatto della burocrazia sulla vita quotidiana degli anziani. Servono
servizi a prossimità per permettere agli anziani di avere un’interfaccia unica per tutti i servizi.
Inoltre, per garantire
il più ampio accesso ai servizi pubblici
in forma digitale,
è indispensabile accelerare i progetti di contrasto al digital divide (es: corsi di supporto
alla digitalizzazione presso i centri per anziani
o nei centri di aggregazione multifunzionali sul territorio).
Terzo settore
In Italia per il non profit si stima un valore della produzione pari a 80 miliardi di euro, circa il 4,5% del
PIL. Nel 2019 si contavano poco più di 360.000 enti, in aumento del 25%
rispetto a 10 anni fa. Gli addetti totali
sono 860.000, ai quali si aggiungono 5 milioni e mezzo di volontari. Si stima, quindi, un coinvolgimento di quasi il 10%
dell’intera popolazione nazionale. Gli enti del terzo settore (“ETS”) sono prevalentemente associazioni (85% del totale),
ma le cooperative sociali sono le realtà più grandi in termini di
occupazione: sebbene rappresentino solamente il 4,3% degli enti, offrono lavoro al 53% dei dipendenti totali. Il
cosiddetto non profit rappresenta quindi
a tutti gli effetti un settore produttivo strategico su cui investire e un
unicum nel panorama europeo per la
sua capillarità, innovazione, flessibilità e pluralità di intervento in diversi
ambiti di attività di interesse generale.
L’assenza di scopo di lucro non significa assenza di produttività. Al contrario, la generazione
di valore sociale e occupazionale
si declina in un’ottica sussidiaria
in molti ambiti di interesse generale
dove la cura e la presa in carico si manifestano in attività di assistenza sociosanitaria, educazione e formazione, inserimento lavorativo, cultura, sport,
ricerca, ambiente e valorizza- zione del territorio e dei beni comuni. Il terzo settore italiano è un modello economico stabile su cui innestare i pilastri della ripartenza nel solco della sostenibilità, della transizione ecologica
e dell’innovazione. Lo è già nella
realtà, ed è giunto il momento di riconoscere maggiormente questo modello smettendo
di considerare il non profit come un collettore cui destinare risorse
in
modo residuale e assistenzialistico.
Assegnata con la Riforma del Terzo Settore la cornice legislativa entro cui operare,
ora è quindi necessario dotare il non profit della giusta “cassetta
degli attrezzi” per crescere in economie
di scala, competenze, e valorizzare appieno la capacità economica di produrre beni e servizi
nell’ottica dell’interesse generale
e la trasversalità degli ambiti
di attuazione.
In altri termini è giunto il tempo di considerare
l’economia sociale come un capitolo di investi- mento, e non certo di spesa, e di cambiare mentalità nella
pubblica amministrazione ad ogni livello affinché
il principio di co-programmazione e di co-progettazione non rimanga soltanto
sulla carta.
1.
Norme contro le frodi fiscali attraverso
false cooperative
La tutela per gli enti non profit passa anche per la necessità di non confondere
i tantissimi enti che rispettano
le regole con quelli che invece sfruttano
le norme di vantaggio per fini di evasio- ne fiscale. Ne sono un esempio le frodi carosello
attuate sfruttando il lavoro delle cooperative. Per questo è necessario intervenire
innanzitutto per prevenire a monte l’innestarsi di questo meccanismo, rendendo tutti i soggetti coinvolti
nella catena dei subappalti responsabili in solido per i mancati versamenti. Per quanto
riguarda i controlli, è necessario prevedere un’ispezione entro un mese dall’iscrizione all’Albo
delle Cooperative, per verificare la presenza di eventuali indicatori critici, come il mancato rispetto
dei contratti collettivi, l’assenza di lavoratori dipen- denti o un rapporto di mono-committenza con un’impresa.
2.
Completamento riforma terzo settore e coordinamento con sport
Con le due riforme dello sport e del terzo settore cambia lo scenario degli enti che svolgono
attività rilevanti per il Paese e la coesione sociale.
È di fondamentale importanza coordinare le norme e favorire un dialogo tra i due diversi registri
(Terzo Settore e sport) consentendo agli enti di accedere a nuove opportunità, finanziamenti e agevolazioni di vario tipo senza dover fare lo slalom tra burocrazia e norme settoriali.
Per quanto riguarda la riforma del
Terzo Settore, una volta avviato il registro unico e pubblicati alcuni decreti fondamentali (da ultimo social bonus e raccolta fondi) è ora necessario ottenere il via libera da parte dell’Unione Europea. Questo significherà finalmente dotare gli enti del Terzo Settore di strumenti fondamentali come, ad
esempio, le misure fiscali per le imprese sociali ivi inclusi gli incentivi per gli investitori, avviare gli strumenti
di finanza sociale, sbloccare le regole IVA
che al momento rischiano di rallentare comparti importanti
come la sanità e il socio-sanita
rio, sbloccare l’anagrafe delle ONLUS che fino al vaglio della UE risulta congelata non consen- tendo nuove
iscrizioni.
3.
Volontari
Per favorire la cittadinanza attiva,
abbassare l’età media dei volontari, e incentivare la formazio ne e la preparazione del volontariato italiano,
occorre predisporre dei percorsi più strutturati e incentivanti.
In questi termini si propone di estendere i medesimi incentivi previsti
attualmente per la protezione civile, consentendo così ai volontari
di accedere a permessi retribuiti in caso di formazione o partecipazione alle attività dell’ente
entro determinati limiti.
4.
Reinserimento lavorativo dei detenuti
Potenziare e stabilizzare le attività educative, di
istruzione di base, tecnica e professionale, e
l’inserimento lavorativo per diminuire la recidiva e offrire una reale
opportunità alle persone detenute, con particolare attenzione ad attività in co-progettazione con enti locali, terzo settore
e imprese per la manutenzione del territorio, economia circolare, produzione e fornitura di beni e servizi
alla pubblica amministrazione.
Pubblica Amministrazione
Politiche pubbliche efficaci
e un mercato efficiente di beni e servizi pubblici
sono la spina dor- sale di un sistema economico
e sociale ben funzionante. Vogliamo una PA semplice e gentile, in grado di premiare il merito, di contrastare le disuguaglianze generazionali, sociali e territoriali, di ascoltare e soddisfare le esigenze di famiglie, imprese e territori. Vogliamo una PA più efficien-
te, più equa, che non lasci indietro
nessuno e più “europea”.
1.
Assicurare il rinnovo tempestivo
dei contratti
È fondamentale, per il futuro, evitare ritardi e assicurare
procedure più celeri per i rinnovi contrattuali per la
PA: medici, infermieri, forze dell’ordine, insegnanti, impiegati,
tutti coloro che il Capo
dello Stato, Sergio Mattarella, ha definito “i volti della Repubblica”. I
rinnovi dei contratti collettivi nazionali
rappresentano lo strumento
più serio per difendere il potere d’acquisto
dei la- voratori. Occorre, dunque, stanziare subito nuove risorse per i prossimi contratti
e semplificare l’iter per la loro approvazione: devono
bastare tre mesi. I contratti devono diventare lo strume to per incentivare il miglioramento della performance e la formazione
dei dipendenti pubblici:
più formazione porterà a rinnovi dei contratti
con progressioni di carriera e miglioramento della retribuzione.
Avere una Pubblica amministrazione più formata, più qualificata, con più
salario e più carriera, è un bene
per tutti.
2.
Premiare il merito
Ricambio generazionale e adeguamento delle competenze alle nuove sfide
economiche e sociali sono gli obiettivi
delle riforme della Pubblica amministrazione già in attuazione del PNRR. Per completare le riforme e cogliere le
opportunità per tornare attrattive per i migliori talenti proponiamo di:
•
eliminare i tetti al salario accessorio per premiare la produttività;
•
valorizzare oltre alle conoscenze
tecniche, anche le competenze di carattere trasversale (manageriale, gestionale, ecc.)
che il dipendente abbia maturato nel corso della
propria attività lavorativa;
•
rafforzare
la collaborazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione con Università e centri di alta formazione nazionali e
internazionali per tornare a essere l’incubatore della migliore cultura
di governo.
3.
Azzerare la burocrazia per anziani e persone con disabilità
L’obiettivo è ridurre al minimo l’impatto della burocrazia
sulla vita quotidiana delle persone più vulnerabili
attraverso, a titolo esemplificativo: l’esenzione dal rinnovo del Contrassegno
disa- bili per le invalidità stabilizzate; l’ottenimento automatico dei benefici fiscali
sulle automobili; la
possibilità di visita solo documentale per il rinnovo delle patenti speciali; la semplificazione della fornitura
di ausili monouso; l’estensione della validità delle terapie ripetitive. È
inoltre necessario rimodulare le attività degli sportelli SUAP e SUE al
fine di offrire ai cittadini
un’interfaccia unica per tutti i servizi (il cosiddetto SUAPE).
Lo sportello unificato
dovrà essere istituito
in modalità completamente digitalizzata, essendo questo un obiettivo
strategico dell’agenda di semplifica- zione 2022-2026. Per garantire il più ampio accesso ai servizi pubblici
in forma digitale,
è anche indispensabile accelerare con i progetti
di contrasto al digital divide soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.
4.
Digitalizzare i processi partecipativi
Riteniamo necessario efficientare i principali processi
partecipativi (es: raccolta firme per re- ferendum)
per consentire e facilitare una maggiore applicazione delle regole democratiche. A titolo esemplificativo è fondamentale digitalizzare i processi di raccolta firme per referendum
e presentazione di liste elettorali nonché i processi
di consultazione pubblica.
5.
Efficientamento dei processi della pubblica amministrazione
Per l’attuazione dei programmi dell’Agenda digitale 2026, occorre un potenziamento delle strutture e delle figure chiave previste dal
codice dell’amministrazione digitale, a partire dal responsabile della transizione al digitale e del difensore
civico.
6.
Prefetture come centro unico dello Stato
Vogliamo trasformare le nostre
prefetture in centro unico dello Stato sul territorio: un luogo in cui cittadini e imprese trovano tutti
gli interlocutori, il front-office dello Stato leggero e digitale accorpando funzioni e personale anche per ottimizzare costi e eliminare inefficienze.
7.
Una dirigenza
pubblica più competitiva
Lavorare nel settore
pubblico deve essere una sfida e non un punto di arrivo.
Vogliamo inclu- dere in una più ampia riforma della PA la possibilità per i dirigenti
pubblici di compiere
anche esperienze nel settore privato e viceversa, ovviamente con adeguate
garanzie di protezione
dell’interesse pubblico da conflitti di interesse.
PNRR
1.
Portare a 750 milioni di euro l’anno i fondi
a disposizione dei comuni
per le spese di
progettazione necessarie per realizzare le opere previste
dal PNRR
Nel 2021, a fronte di 13,7 miliardi di
spesa ipotizzati per il PNRR, ne sono stati effettivamen te spesi solo 5,1 miliardi
di euro (il 37,2%). Il problema della messa a terra dei fondi del Piano
riguarderà nei prossimi
anni soprattutto i comuni, che arriveranno a gestire fino a 50 miliardi di euro in quattro anni. Stanno emergendo,
infatti, gli storici problemi legati alla capacità di spesa, dovuti in particolar modo alla quantità
e alla qualità del personale presente nelle amministrazio ni comunali italiane.
Molti comuni non hanno le risorse umane necessarie per svolgere le fasi di progettazione per tutti i bandi a cui sarebbero
interessati a partecipare. Esternalizzare l’attività di progettazione ha un
costo compreso tra il 6% il 10% dell’importo del bando. La legge di bilancio
2022 ha creato un fondo da 161
milioni di euro che finanzia tre progetti per ogni comune tra tutti i bandi a
cui questi partecipano, ma non è
sufficiente. Proponiamo di portare l’attuale fondo ad un totale di 750 milioni di euro ogni anno per tutta la durata del PNRR.
2.
Consentire
ai comuni e alle regioni
maggiore flessibilità nelle assunzioni e nella nomi- na dei RUP
I comuni hanno spesso carenza di personale
tecnico che possa assumere il ruolo di Respon- sabile Unico del Procedimento. Per risolvere questo problema occorre intervenire su due fronti.
In primo luogo, bisogna consentire ai comuni di assumere funzionari e
dirigenti a tempo determinato (con potere di firma) in misura ulteriore rispetto alla soglia
legale del 5%, fino al 2026.
La misura deve essere finanziata da ogni comune in autonomia. In secondo luogo, è necessario prevedere la possibilità di nominare i RUP anche esternamente alla struttura dell’amministrazio ne fino al 2026, per tutti i progetti finanziati dal PNRR,
sempre tenendo alto il livello di vigilanza
al fine di limitare il rischio di corruzione e infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.
3.
Non conteggiare gli incentivi derivanti
da progetti finanziati dal PNRR per il raggiungi- mento del limite annuo previsto
per i dipendenti pubblici
Attualmente gli incentivi
complessivamente corrisposti nel corso dell’anno
al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del
50% della retribuzione lorda. Tale soglia disincentiva il completamento delle procedure progettuali. Per questo motivo proponiamo di non conteggiare gli incentivi derivanti
da progetti finanziati
dal PNRR per il raggiungimento della
soglia del 50%.
4.
Introdurre l’obbligo, per tutti i comuni non capoluogo di
provincia, di affidare la gestione
delle gare di appalto a uno dei soggetti aggregatori regionali presenti
nell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti, almeno per i progetti finanziati dal PNRR
Trasporti
Le infrastrutture per i trasporti rappresentano uno delle
leve più efficaci in termini di moltipli- catore economico. Le nostre proposte
delineano le principali
priorità di intervento per quanto riguarda il settore.
1.
Completamento tratte Alta Velocità
e potenziamento del sistema di collegamento intermodale
Riteniamo necessario completare le seguenti
opere: Brescia-Padova, il Terzo Valico,
la Tori-
no-Lione, la Salerno-Reggio Calabria e la Napoli-Bari. Occorre inoltre incentivare la connessio-ne tra siti strategici (aeroporti) e i
treni a lunga percorrenza o AV, come avvenuto tra Roma e Fiumicino.
2.
Migliorare il sistema di sicurezza della Rete Ferroviaria Italiana
L’Italia è il settimo Paese europeo per incidenti ferroviari
nel 2020. Occorre migliorare la sicurezza della Rete Ferroviaria Italiana, in particolare
ampliando l’utilizzo del cd. “Sistema Controllo Marcia Treno”, formando
personale qualificato per le attività
di sicurezza sui treni e fissando un tetto massimo di età per gli addetti.
3.
Sviluppare l’intermodalità per ridurre lo stress autostradale e nelle aree urbane
Per ridurre lo stress dell’infrastruttura autostradale per
il trasporto di lungo raggio, il traffico nel-
le grandi città e le emissioni inquinanti, è necessario sviluppare la
rete di trasporto intermodale delle
merci a livello nazionale. Occorre integrare il sistema dei porti con gli
interporti nell’entro- terra,
sviluppare il sistema degli autoporti con una rete di piattaforme logistiche
per favorire lo scambio intermodale gomma-ferro. Bisogna creare autoporti urbani per lo scambio tra veicoli commerciali pesanti e leggeri
per i servizi di e-commerce e commercio al dettaglio.
4.
Definire un Documento unico delle manutenzioni nazionali delle grandi opere
È necessario effettuare un’analisi dettagliata delle
infrastrutture esistenti, per avviare una pro-
grammazione robusta e razionale
di misure di manutenzione
e upgrade basata su una priori- tizzazione degli interventi. La strategia programmatica non deve comprendere “ponti verso il nulla”, ovvero
quelle opere che non sono inserite in un ecosistema virtuoso di infrastrutture.
Occorre identificare le opere utili per il Paese e quelle non necessarie, che devono essere riconvertite
o demolite, favorendo un ripristino dell’ecosistema terrestre. Al contempo,
sarà necessario implementare un’azione di riqualificazione delle infrastrutture a servizio delle aree interne,
le quali versano in condizioni
spesso precarie. Per quanto riguarda
la gestione, è neces- sario introdurre nuovi criteri per la
manutenzione ordinaria e straordinaria. Occorre introdurre il “Documento Finanziario
dell’Infrastruttura” e il “Documento unico delle manutenzioni nazionali delle grandi opere” per guidare le
operazioni da compiere durante tutta la vita dell’infrastruttura, al fine
di mantenere adeguati
standard.
5.
Creare
un organo per la strategia di sviluppo portuale e una cabina di regia per il
coor-dinamento
Negli ultimi anni i porti italiani stanno perdendo
consistenti quote di mercato. Per rilanciare il sistema portuale è necessario rilanciare l’operatività della Conferenza Nazionale Porti quale organo di coordinamento che consenta di definire una strategia sistemica
di sviluppo economi-
co. Occorre, inoltre, implementare una riforma portuale che consenta
ai porti italiani di dare una risposta di sistema ai competitors mediterranei ed europei rivedendo
ruolo, funzioni e numero delle Autorità di sistema
portuale, creando una cabina di regia
con il compito di coordinarle.
Per
stimolare importazioni ed esportazioni, si deve definire
con i nuovi soggetti di governo dei porti un piano
nazionale di miglioramento
dei traffici per tipologia di merci, passeggeri e servizi.
6.
Strategia di valorizzazione dell’economia del mare
Dal 2014 vi è una direttiva europea che obbliga la pianificazione dello spazio marittimo di ciascuna nazione. L’Italia non ha ancora ottemperato in quanto la procedura di pianificazione non è ancora ultimata. Questo perché ci sono sovrapposizioni di competenze tra i Ministeri della Difesa, della Cultura, dell’Ambiente, dei Trasporti e delle Politiche Agricole, Alimentari e Foresta- li. In Francia nello scorso governo vi era un Ministro apposito, ora è stata individuata una figura dedicata. È necessario dunque agire per:
•
predisporre un piano nazionale
di resilienza al cambiamento climatico
in mare (come, ad esempio, da tempo ha fatto l’Olanda);
•
proteggere le nostre infrastrutture, porti, porticcioli, Ferrovie
e strade che corrono lungo la costa;
•
monitorare la pesca, la quale vede diverse specie diminuire, nonché l’ingresso di specie “aliene” che vivono in mari più caldi;
•
riconvertire aree militari non utilizzate per la ricerca
e la protezione del mare;
•
programmare impianti
eolici offshore e impianti di estrazione del gas;
•
sostenere il rinnovo delle
flotte marittime, anche
in relazione al cambio dei carburanti e alla
garanzia del collegamento con le isole.
7.
Implementare lo Sportello Unico Doganale e realizzare i
collegamenti di ultimo miglio Occorre correggere il sistema
dei controlli, assicurando l’implementazione dello Sportello
Unico Doganale dei Controlli e colmando il fabbisogno di personale dell’agenzia delle dogane, che a fine 2021 registrava una carenza di circa
3.500 unità. È necessario, inoltre, realizzare i collegamenti di ultimo miglio, per i quali sono stati stanziati 250
milioni di euro del Fondo Complementare.
Occorre assicurare il completamento delle opere nei porti di
Trieste, Venezia, Civita- vecchia,
Napoli, Salerno e Ancona entro il 2025, come previsto
dal PNRR. Infine, è necessario investire sui sistemi di digitalizzazione dei porti;
semplificare le norme su dragaggi, espropri e
bonifiche; tutelare e valorizzare il lavoro portuale
in maniera omogenea.
Innovazione, digitale e space
economy
Nel digitale e nell’innovazione,
l’Italia, “sta guadagnando terreno [...] a ritmi molto sostenuti” (Commissione europea,
2022). Tuttavia, questo
miglioramento non è uniforme: ci sono vulnera-
bilità sulla connettività, sul capitale umano e su alcuni aspetti della digitalizzazione
delle impre- se. Per questo riteniamo
fondamentali i seguenti
interventi:
1.
Sviluppare infrastrutture digitali di qualità per connettività diffusa
e territori intelligenti Continuare
a investire nella copertura delle reti ad altissima capacità (compresa la fibra
fino all’utente) e alla copertura 5G.
Alla luce dell’enorme divario tra le soglie di emissività italiane e quelle dei partner
europei, un adeguamento dei valori migliorerebbe il servizio, i costi e l’impron ta ambientale. Le infrastrutture sono asset vitali nel sistema del Paese: bisogna creare know how in Italia per garantire
un mantenimento in efficienza e (cyber-)sicurezza.
La connettività diffusa è condizione
necessaria, ma non sufficiente, per rendere intelligenti le nostre città e le relative interconnessioni. È necessario coniugare
le reti con un sistema
aperto di gestione
digitale di permessi
e programmazione edilizia.
Gli smart buildings
vanno incentivati con leve fiscali di lungo termine, come sconti in tasse di successione e nel calcolo del plusvalore in caso di rivendita di edifici con sottrazione dei costi di
ristrutturazione “smart”. Per fare questo serve completare in tempi brevi la digitalizzazione del catasto, anche con tecnologie
satellitari.
2.
Sviluppare competenze
e leadership in settori strategici
Gli ITS, potenziati dal PNRR, possono diventare vivaio di
talenti con expertise in vari ambiti di importanza strategica
per il Paese, inclusi 5G, banda ultralarga
e cybersecurity, competenze che sono richieste
non solo dal mercato ma anche dalla PA, dove gli studenti possono essere inseriti con uno schema di corso-concorso. Per questo, le Forze Armate devono incrementare gli investimenti nella formazione continua dei corpi specializzati
nella cybersecurity, in pieno raccordo con le iniziative europee, con percorsi
di certificazione delle competenze che abbiano valenza anche
in ambito civile.
Si intende istituire un fondo pubblico/privato per le tecnologie deep tech, incluse le Digital Ledger Technologies (più conosciute come blockchain) con modello di bandi e gestione fondi tipo DARPA statunitense. Sulla sfida dell’intelligenza artificiale, prendendo spunti da altri Pae- si europei e per dare piena
implementazione alla strategia italiana di IA, è necessaria un’unità dedicata
nel Ministero per l’Innovazione tecnologica oltre al coordinamento interministeriale previsto dalla strategia.
3.
Sostenere la nascita
di aziende innovative e la transizione digitale delle imprese
esistenti Per supportare le aziende innovative
nascenti - digitali e non - proponiamo il modello della facilitazione d’impresa, abbinato alla razionalizzazione dei
bandi di finanziamento, evitando la discrezionalità delle
Regioni sulla definizione di “startup” e superando la modalità
“click day”
dei bandi pubblici.
Prevediamo una sandbox normativa che permetta l’incontro
agile tra startup e
mercato e l’eliminazione di tutte le gabelle relative alla costituzione o al
mantenimento della società, come ad esempio la tassa di concessione governativa, la vidimazione dei libri sociali ed i costi relativi
all’iscrizione in Camera di Commercio.
Si intende supportare la transizione digitale e 4.0 delle
imprese, rafforzando il framework nor- mativo originale
di Industria 4.0, potenziando e razionalizzando i soggetti a cui questo supporto alle imprese compete (Centri di Competenza e Digital Innovation
Hub), sostenendo in partico- lare la crescita delle PMI, ma anche la neo-creata
Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale
che deve essere
anche essere partner
delle aziende, non solo controllarle.
4.
Start up
L’Italia è uno dei Paesi con il maggior potenziale
di crescita nella creazione di nuove imprese (cd. startup)
e nell’attrazione di investimenti privati
in fondi di venture capital
ed investimenti di- retti in startup. Proponiamo di eliminare del tutto la tassazione del capital gain sugli investimenti
in startup e venture capital e di aumentare l’incentivo
fiscale per coloro che investono, per attrarre una quota maggiore
di investimento di fondi pensione
ed enti assicurativi nell’economia reale.
Riteniamo inoltre necessario innalzare l’aliquota del credito d’imposta
per le imprese che effettuano investimenti in innovazione al
50%, ripristinando la versione del Governo Renzi, pre- vedendo una maggiorazione se sono coinvolti
centri di ricerca
universitari, altre startup
o PMI innovative.
5.
Space economy
La strategia spaziale europea e italiana a breve, medio e lungo termine si basa su tre pilastri:
•
Collocazione geopolitica - Alla strategia
spaziale è legato il posizionamento politico inter- nazionale
dell’Europa e dell’Italia: lo spazio è campo strategico, necessariamente apartitico, e con sostegno bipartisan
(come in USA e Francia).
È un’espressione ‘soft’ di influenza
geopolitica che anticipa la parte ‘hard’ del campo della difesa. Essa contribuisce a creare un’identità europea che si può raggiungere solo attraverso un’autonomia strategica;
•
Sviluppo/ritorno economico
e industriale - Lo spazio è un moltiplicatore economico,
con ritorni sugli
investimenti tra il 200 e il 700%. Il settore
spaziale sarà una “Trillion Economy”. L’industria italiana, tra le prime al mondo e tra le pochissime
con filiera completa (disegno, progettazione,
sviluppo, lanciatori, program management, operazioni), deve contribuire al massimo delle proprie competenze; se gli
investimenti europei e italiani non rispondono
adeguatamente allo sforzo
USA, la nostra
industria rischia di diventare irrilevante.
•
Benefici
per il cittadino e la società - In un momento storico nel quale i valori
fondamentali della competenza, della
scienza e della cultura sono rimessi in questione, un’ispirazione positiva
- e allo stesso tempo una sfida - deve essere offerta alle nuove generazioni. L’esplo razione spaziale è uno dei più potenti
ispiratori.
Intendiamo quindi potenziare la Space
economy, fiore all’occhiello italiano, con una migliore organizzazione del sistema di formazione, la promozione di distretti di sviluppo e lo snellimento dei processi legati ai brevetti, oltre alla revisione della
governance dell’Agenzia Spaziale Italia- na
e l’adozione di un testo normativo unitario. Sarà per questo che il Governo, in occasione del Consiglio
Ministeriale ESA di novembre 2022 dove sarà deciso il finanziamento dei programmi spaziali europei dei prossimi 3 anni e di
conseguenza il ruolo dell’Italia, dovrò garantire l’impe- gno del nostro Paese e la relativa
collocazione nello scacchiere politico industrial
Agricoltura
L’agricoltura, la pesca, l’acquacoltura e l’intero sistema
agroalimentare della trasformazione sono settori strategici per lo sviluppo
e la ripresa dell’economia del nostro Paese. L’eccellenza che il nostro settore ha dimostrato in
termini di valore aggiunto, propensione all’export, valorizzazione e servizi ecosistemici per il territorio e sinergia con il mondo della cultura,
del terzo settore
e del turismo, non ha pari al mondo.
1.
Agricoltura 4.0 e potenziamento della formazione tecnica
e manageriale
Diventa prioritario avviare due grandi piani di formazione
continua, il primo incentrato sull’im- prenditoria e il secondo
sulle competenze tecniche
e specialistiche per la manodopera agricola e del personale imbarcato,
con particolare riferimento alle pratiche agronomiche più avanzate, alla sicurezza sul lavoro e all’utilizzo
della tecnologia nell’agricoltura di precisione. Da una par- te, serve potenziare la formazione economico-gestionale per sviluppare le economie di scala
e la competitività delle imprese
agricole e della pesca. Dall’altro lato è prioritario rafforzare le competenze e la formazione continua
della manodopera. Proponiamo che le imprese possa- no accedere a cicli di formazione dedicati,
organizzati anche in collaborazione con gli Istituti
Tecnici Superiori del territorio, e altresì promuovendo lo strumento del credito di imposta e della
decontribuzione per l’accesso a percorsi specialistici.
2.
Aumentare la manodopera e il ripristino
del sistema dei voucher
Per rispondere alla strutturale carenza
di manodopera e alle richieste
delle imprese, propo- niamo:
una proroga di tutti i permessi di soggiorno dei lavoratori extracomunitari
attualmente impiegati nel settore
agricolo; la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari che attualmente hanno un lavoro; la reintroduzione del permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di lavoro garantito da uno sponsor (cfr.
proposta immigrazione). Infine, per garantire la flessibilità e la trasparenza contrattuale nelle prestazioni occasionali, proponiamo di ripristinare il sistema dei voucher.
3.
Garanzie statali per facilitare
l’accesso al credito
e il sostegno all’innovazione
Il PNRR contiene misure
per incentivare l’implementazione di
sistemi digitali nella produzione agricola e durante la pandemia
si sono promossi strumenti per favorire l’accesso
al credito del- le imprese
agricole. È necessario proseguire in questa
direzione:
•
Potenziamento delle garanzie statali a copertura
delle richieste di credito effettuate dagli imprenditori agricoli e della pesca per sostenere gli investimenti necessari
per le nuove tec-nologie
e l’ammodernamento del parco macchine
•
un iper-ammortamento dedicato agli investimenti per l’efficientamento della rete idrica
(cfr. proposta sulla crisi
idrica).
•
Completamento dell’ultimo miglio in materia
di infrastrutture digitali
per garantire la connettività nelle aree rurali, fondamentale
per lo sviluppo dell’agricoltura 4.0 e di precisione, dei servizi,
delle attività agricole
connesse e del turismo
Inoltre, per aumentare la
produttività, considerando l’aumento del costo dei fertilizzanti e degli altri costi di produzione che gli agricoltori devono affrontare in questo periodo,
prevediamo un contributo per l’acquisto di fertilizzanti e dei mezzi tecnici di produzione sotto forma di credito d’imposta
che potrà essere ceduto agli intermediari finanziari per aumentare la liquidità a dispo-sizione delle
aziende agricole.
4.
Agricoltura protagonista della transizione energetica: vendita delle eccedenze
ener-getiche, sviluppo
dell’agri-voltaico, del biogas e del biometano
Proponiamo di consentire alle imprese agricole
di vendere temporaneamente le eccedenze energetiche prodotte dagli impianti
per l’autoconsumo, considerando i proventi come reddi-to agricolo (soggetto
ad agevolazioni fiscali) invece che redditi di impresa, derogando
la L. 266/2005.
Al fine di ridurre il consumo di suolo
e coniugare la necessità di produzione di derrate alimentari, l’installazione e l’utilizzo di
sistemi fotovoltaici dovrà essere favorita sui tetti dei fabbricati rurali
(anche al fine di sostituire l’amianto esistente), in territori marginali
o attraverso sistemi
c.d. “agri-voltaici” in grado di consentire lo sfruttamento dei terreni sottostanti per fini agricoli.
5.
Aiuti alimentari
Potenziare e stabilizzare le risorse del fondo aiuti alimentari nato per sostenere
i comparti agri- coli in crisi e le attività
del terzo settore
impegnate sul fronte
della povertà alimentare.
6.
Gestione della fauna selvatica
e in particolare dei cinghiali
Serve l’approvazione immediata
del decreto legge concordato con le Regioni a modifica
del- la legge 157, che ha
ormai trent’anni, per una gestione efficiente della fauna selvatica e serve rafforzare le risorse a copertura dei danni da fauna selvatica
che minano la competitività delle imprese e persino la sicurezza pubblica.
Serve altresì contrastare, con speciali ed urgenti stru-
menti
normativi e risorse a disposizione del commissario straordinario, la diffusione della peste suina
africana che è altresì agevolata
dalla diffusione incontrollata dei cinghiali.
7.
Potenziamento della “blue economy”
e della piccola pesca artigianale
Il comparto della pesca non è mai stato oggetto di riforme di sistema.
Occorre definire incentivi
per il ricambio dei navigli e dei mezzi con un’età media oltre i
trent’anni per favorire la transizione tecnologica e la sicurezza
sul luogo di lavoro; dotare il settore di uno stabile strumento
di sostegno al reddito,
ammortizzatori sociali e sistema pensionistico, e nuovi finanziari
per sostenere le imprese
e le famiglie dei pescatori professionali colpiti da affondamenti e sinistri in mare.
8.
Manutenzione del territorio
Inserire incentivi fiscali
e decontribuzione per le imprese
agricole disponibili a effettuare inter-
venti di manutenzione del territorio e a vantaggio
della collettività.
9.
Verde urbano
L’obiettivo condiviso di piantumazione di milioni di alberi
nelle aree urbane deve essere integra- to con una seria pianificazione territoriale in grado di definire le varietà e le pratiche
più adatte al territorio. La gestione del verde deve essere affidata a professionisti e necessita di continuità, pertanto proponiamo di prevedere fondi per gli enti locali per la gestione ordinaria
e straordi-naria
del verde, avvalendosi di progettisti ed esperti manutentori.
10.
Giovani e ricambio generazionale
Proponiamo un piano a burocrazia zero per l’accesso
alla terra nelle aree montane e rurali a rischio spopolamento, promuovendo, ad esempio, la cooperazione intergenerazionale con forme di affiancamento tra giovani non proprietari di terreni agricoli e pensionati, con lo scopo di favo-rire il graduale passaggio
di gestione della attività di impresa e il recupero
di fondi abbandonati.
Cultura, turismo e sport
Cultura
L’Italia è il penultimo Paese in UE
per partecipazione ad attività culturali: meno di un italiano su due frequenta musei,
teatri, concerti o mostre. Quasi il 60% della popolazione, dai 6 anni in poi, legge meno di un libro l’anno.
L’Italia ha nella sua cultura
le vere radici
della civiltà occidentale e per questo deve essere veicolo di trasmissione e socializzazione tra generazioni e ceti sociali.
In questa chiave abbiamo formulato le nostre proposte. Per riavvicinare
gli italiani alla lettura vogliamo valorizzare e rendere le librerie dei luoghi di incontro e di comunità.
Inoltre, essendo
il paesaggio italiano
una manifestazione culturale
a cielo aperto, il nesso tra cultura
e turismo è molto stretto,
per questo a completamento di queste proposte
abbiamo dedicato una pagina del programma al turismo.
1. Raddoppiare ogni donazione per la cultura effettuata dai privati con fondi pubblici
Proponiamo un sistema di doppio finanziamento: ogni donazione fatta da un privato ad un ente culturale sarà replicata dal pubblico. Questo sistema dà un incentivo
concreto ai luoghi della cultura per attrarre nuovi finanziamenti
privati in quanto i loro singoli contributi avrebbero un impatto doppio.
2.
Facilitare l’accesso
ai luoghi della cultura tramite
un carnet con 10 ingressi
gratuiti
La popolazione con ISEE inferiore
ai 15.000 euro avrà accesso ad un carnet di 10 ingressi
gra- tuiti per teatri,
mostre, gallerie d’arte, musei,
siti archeologici e altri luoghi
d’arte.
3.
Sponsorizzare gemellaggi
tra scuole e istituti culturali
Per avvicinare maggiormente gli studenti italiani al mondo
dell’arte, proponiamo di gemella- re ogni istituto scolastico
a un istituto culturale. La collaborazione permetterà
di organizzare
laboratori ed eventi come, ad esempio,
incontri tra studenti e artisti, cine club e approfondimenti tematici.
4.
Far conoscere
la Capitale d’Italia
tramite un viaggio
gratis per tutti gli under 25
Il patrimonio storico
culturale di Roma è patrimonio di tutto il Paese, per questo tutti i giovani
devono avervi accesso. Per questa ragione, vogliamo dare a tutti i
giovani tra i 18 e i 25 anni l’opportunità di recarsi nella Capitale d’Italia con un viaggio sponsorizzato dal Governo. Pro- poniamo di offrire un viaggio in treno, 2 notti in ostello vincolate alla visita di siti archeologici, musei e gallerie d’arte.
5.
Finanziare le librerie che organizzano corsi di lettura
Per avvicinare gli italiani alla lettura, proponiamo di
finanziare le librerie che offrono corsi di av-vio alla lettura per bambini.
In questo modo si potenzia anche il ruolo delle librerie come luogo di scambio e di formazione. Saranno sostenuti anche i librari che avvieranno
collaborazioni con le scuole primarie
per queste attività
durante le ore del tempo lungo scolastico.
6.
Finanziare la carta stampata
I mezzi di diffusione della cultura su carta stampata sono
sempre meno utilizzati. Per non far scomparire giornali
e riviste di informazione, proponiamo di destinare loro la quota del canone
RAI che attualmente viene trattenuta dal Ministero dell’Economia.
7.
Potenziare il mecenatismo culturale
Vogliamo che il sostegno privato alla cultura sia semplice e conveniente. L’Art bonus,
il mezzo di finanziamento al settore da parte di imprese,
deve essere reso più semplice negli adempimenti burocratici;
8.
Crediti di imposta per il settore cinematografico e audiovisivo
Il Tax credit è un utile strumento di sostegno al settore dell’audiovisivo, tuttavia necessita di
alcune essenziali correzioni. Bisogna riformare i criteri di erogazione in modo da scongiurare una logica di finanziamento a pioggia e una partecipazione pretestuosa e poco strategica. Il Tax credit deve favorire la nascita di
progetti ambiziosi e, insieme, la valorizzazione di attori con una comprovata esperienza per rafforzare l’assetto industriale del settore.
9.
Potenziare gli istituti italiani
di cultura all’estero
Vogliamo che gli istituti italiani
di cultura all’estero aiutino le energie creative del nostro Paese ad
esprimersi in territorio globale. Valorizzare gli istituti italiani di cultura
significa rafforzare le relazioni
produttive e offrire agli attori della cultura italiana le basi di una carriera
internazionale. In un mondo sempre
più globalizzato, gli istituti italiani di cultura all’estero devono puntare
alla promozione di tutto il settore cultura, facendo rete con le realtà omologhe,
favorendo gli scambi
e le partnership industriali, ampliando il mercato italiano e
permettendone una maggiore incisi- vità.
10.
Start up e giovani
Intendiamo favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del
lavoro culturale attraverso una politica di detrazioni fiscali per gli under 40 che puntano a creare nuove realtà imprenditoriali nel com parto. Generare un sistema che tuteli il
lavoro delle nuove leve, favorendone le idee, la sperimentazione e l’innovazione tecnologica.
11.
Verso il pubblico del domani
Per potenziare il consumo culturale,
oltre a una politica di sostegno che si concentri
sull’offerta, è necessario favorire
alla base lo sviluppo di una domanda.
Le politiche di promozione della cultura
sono a oggi frammentarie. Per favorire l’accesso alla cultura da parte dei più
giovani, proponiamo di istituire un fondo unico che raccolga
tutti i capitoli di finanziamento già esistenti (per la promozione della lettura, del
cinema, dell’arte, della musica e degli spettacoli dal vivo) con l’obiettivo di garantire iniziative programmatiche, in modo da ridurre
le differenze fra le real-
tà scolastiche dei territori e arricchire strutturalmente l’offerta formativa.
12.
Lo spettacolo dal vivo
Nei due anni di fermo dovuti alla pandemia, le attività
culturali degli spettacoli dal vivo– teatro,
musica, danza, circo e spettacolo viaggiante –, sono state costrette
a ingenti perdite.
Per tute- larle, proponiamo di potenziare il Fondo
unico dello spettacolo e, in particolare, di incentivare i progetti
multidisciplinari e le attività trasversali dedicate alle scuole in modo da creare un mec- canismo di scambio virtuoso
con il settore di promozione della cultura.
13.
La cultura come presidio
di civiltà
Vogliamo dare impulso alle realtà imprenditoriali che si occupano della rigenerazione delle aree interne e rurali, cioè quelle porzioni
di territorio presenti in tutta Italia che soffrono di un impoverimento
demografico, dell’assenza di capitale umano e di mancate occasioni
di scambio e di confronto. Allo stesso tempo, intendiamo favorire
e sostenere l’attività dei soggetti culturali
che operano nelle carceri
italiane. La cultura resta il nostro più importante presidio di civiltà e ha bisogno di un forte
investimento.
Turismo
Il turismo è stato uno dei settori maggiormente colpiti durante la pandemia. Dal 2019 al 2021 il suo contributo al PIL italiano
è diminuito di oltre il 16%. Le nostre proposte
hanno l’obiettivo di rafforzare questo
settore con interventi di breve e medio periodo.
1.
Armonizzare l’offerta
turistica a livello nazionale attribuendo la competenza allo Stato
Prima che il Titolo V della Costituzione fosse riformato nel 2001, la potestà legislativa regiona
le in materia di turismo veniva esercitata nei limiti dei
princìpi stabiliti dalle leggi dello Stato. Il
quadro legislativo attuale invece lascia ad ogni Regione il potere di veto su qualsiasi tentativo
di armonizzazione e frammenta l’offerta
turistica nazionale. Per dotare il Paese degli strumenti istituzionali necessari allo sviluppo
di una politica di sistema occorre ri-centralizzare la compe- tenza del turismo.
2.
Ridurre la pressione fiscale in capo alle imprese del settore
Per alleggerire la pressione fiscale a carico delle imprese turistiche occorre:
•
commisurare
la TARI al numero di giorni in cui la struttura è aperta
e al tasso di occupazio- ne;
•
sostenere la qualità dell’attività di ricezione e ospitalità con incentivi per la riqualificazione delle strutture, parallelamente ad una troppo spesso rinviata definizione della classificazio- ne nazionale delle stesse.
•
3.
Investire sul Turismo Ferroviario
Il PNRR prevede il potenziamento delle linee ferroviarie in
Italia: si potranno raggiungere terri- tori interni e meno conosciuti con il treno. È necessario
che il Ministero del Turismo promuova, per valorizzare i territori coinvolti, percorsi culturali in collaborazione con le aziende della rete ferroviaria:
i biglietti dei treni per effettuare i percorsi saranno venduti in pacchetti a
prezzo agevolato.
4.
Gestione delle emergenze
Le calamità naturali,
oltre ad infliggere danni a persone
e strutture, riducono
i flussi turistici
nel- le zone interessate dall’emergenza. Al fine di mitigare gli effetti negativi
di tali calamità e miglio-
rare le capacità di gestione
delle emergenze, proponiamo di:
•
istituire misure
per tutelare il reddito di imprese e lavoratori stagionali colpiti dai danni;
•
predisporre strumenti
di comunicazione immediata
volti alla trasmissione di informazioni corrette e al rilancio
dell’immagine turistica delle destinazioni colpite;
•
definire una convenzione tra il sistema di protezione civile e le organizzazioni di categoria
per migliorare
l’organizzazione dell’accoglienza di
chi rimane privo di alloggio.
5.
Potenziare la formazione turistica
L’attuale formazione
turistica di scuole superiori ed istituti tecnici alberghieri non è adeguata al
posizionamento turistico
dell’Italia e all’offerta di qualità a cui ambisce.
Proponiamo quindi di:
•
rivedere
i programmi degli istituti professionali in funzione delle esigenze del
settore, met-tendo, per esempio, maggiore
enfasi sulle lingue
straniere;
•
realizzare una scuola specializzata con corsi universitari dedicati alla formazione
di direttori e manager
del turismo.
Sport
Lo sport in Italia ha una triplice
importanza: i) l’enorme
numero di associazioni e società sporti-
ve dilettantistiche (oltre 115 mila per un totale di oltre 13 milioni di tesserati) lo rende un impor- tante strumento di integrazione, veicolo di socializzazione e reintegrazione sociale; ii) investire sullo sport significa risparmiare
sulla sanità perché esiste una forte correlazione tra l’attività fisica e la spesa sanitaria; iii) in termini
economici, lo sport vale 78,8 miliardi di euro, pari al 3% del PIL.
1.
Rimodulare
il regime fiscale considerando la pratica sportiva un’attività legata al be nessere psico-fisico delle persone
È necessaria
una nuova impostazione del rapporto sport-fisco che incentivi maggiormente la
pratica sportiva, attraverso la detraibilità delle spese sostenute
per l’iscrizione a palestre/corsi/ impianti sportivi. Considerato che lo
sport contribuisce a migliorare la salute dei cittadini, questo deve essere incentivato attraverso una maggior defiscalizzazione, come tutte le altre attività
legate al benessere
psico-fisico. Riteniamo quindi necessario introdurre «voucher» sportivi per le ASD detraibili dalle tasse per gli sponsor e aumentare
la defiscalizzazione delle sponsorizza- zioni. È altresì fondamentale rivedere la
soglia di reddito, attualmente pari a 5.000 euro, supe- rata la quale, a partire da gennaio, i collaboratori e le
associazioni sportive dovranno pagare i contributi
pensionistici. Tale soglia deve essere rimodulata considerando che: attualmente
il versamento dei contributi non è previsto
e la sua introduzione comporterebbe una complessità rilevante per le associazioni
sportive; la maggior parte dei collaboratori sportivi svolge questa professione come un secondo
lavoro ed ha introiti molto
ridotti.
2.
Incentivare il Partenariato Pubblico Privato per la realizzazione di nuovi impianti
sportivi La realizzazione di nuovi impianti sportivi, così come la ristrutturazione degli impianti esistenti,
la gestione e la manutenzione degli stessi, può essere effettuata
attraverso lo strumento del Partenariato Pubblico
Privato (PPP), dove il concedente
pubblico affida ad un soggetto privato la realizzazione o strutturazione di un impianto sportivo, nonché la gestione dello stesso, quale forma di remunerazione degli investimenti sostenuti
dal privato. In sintesi, il PPP può costituire un adeguato strumento per la
realizzazione e gestione di impianti sportivi ove ricorrano le seguenti condizioni:
•
impostazione di bandi di qualità con corretta definizione degli obiettivi e degli standard
qua- litativi per la realizzazione e gestione dell’opera;
•
adeguata struttura
pubblica per il monitoraggio della fase realizzativa ed operativa dell’ope-
ra.
3.
Perseguire l’inclusione attraverso lo sport
In quanto veicolo
di promozione sociale, lo sport è un fattore
importante nel favorire l’inclusione e
l’attività anche di persone con disabilità, incentivando l’aumento e la
diffusione di strutture ad hoc e l’incremento della formazione di tecnici specializzati. Occorre: aumentare e/o incentiva- re la costruzione di palestre per l’attività sportiva,
se necessario integrando
le risorse previste
dal PNRR per l’impiantistica sportiva; assumere laureati
in scienze motorie
per l’insegnamento; completare la riforma del lavoro sportivo.
Immigrazione
La crisi demografica in corso in Italia è la più grave
d’Europa. Per la prima volta, sono negativi sia
il saldo naturale che il saldo migratorio: il differenziale tra nascite e
decessi è negativo da anni e in
rapida crescita (l’anno scorso è stato poco meno di 310.000); il differenziale
tra emi- grati ed immigrati sta
ritornando ai livelli pre-Covid, quando era anch’esso in negativo (già nel 2019, a dispetto della percezione legata
agli sbarchi, gli emigrati erano stati più degli immigrati). Tra il 2022 e il 2030 si stima un calo
della forza lavoro (15-64 anni), solo nel Centro-Nord, di ol- tre un milione e 200mila
persone: questo perché con la forte diminuzione delle nascite non sarà possibile sostituire chi va in pensione.
Il rapporto lavoratori/pensionati, oggi di 3 a 2, si prevede diventi, prima del 2045, di 1 a 1. Le avvisaglie che oggi vivono molti settori produttivi, dove la ri- cerca
di manodopera è diventata difficoltosa (a giugno 2022 il 40% delle nuove posizioni erano di
difficile reperimento), sono solo le premesse
di una situazione assai più grave, che
rischia di danneggiare seriamente
il sistema-paese. Per questo, oltre che attivare forti politiche
a soste- gno della natalità, a favore dei giovani e del loro ingresso nel
mercato del lavoro e a tutela della famiglia, occorre
governare seriamente i flussi migratori, con politiche pragmatiche e gestibili.
Ciò potrà essere fatto affrontando quattro principali problemi: gli ingressi, le politiche di integra-
zione, le politiche di asilo e la governance del
sistema.
1. Combattere l’immigrazione clandestina favorendo ingressi regolari e programmati
L’immigrazione irregolare è un danno sia per i migranti che
per i Paesi di destinazione: favorisce lo sviluppo di mafie transnazionali e di politiche
internazionali ricattatorie. Il solo modo per diminuire radicalmente gli ingressi
irregolari, è ripristinare forme di immigrazione regolare e programmata. Per questo proponiamo:
•
accordi
di cooperazione con i Paesi di origine
e di transito (a livello
europeo – il “Migration compact” – e nazionale) che prevedano
politiche commerciali, difesa, institution building, linee di finanziamento
dedicate, allargamento dell’unione doganale, e programmazione
dei flussi migratori regolari, sulla
base delle esigenze del mercato del lavoro. In questo modo sarà possibile ottenere una collaborazione vincolante sui rimpatri (anche volontari
e incentivati) in cambio
di forme di controllo rafforzato sulle partenze irregolari.
•
ristabilire
una distinzione tra profughi umanitari (che hanno specifiche tutele internazionali) e migranti economici
(che potrebbero inserirsi
direttamente nel mercato regolare del lavoro solo con permesso
di soggiorno ad hoc). In tal senso è funzionale la reintroduzione della figura
dello sponsor per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro a
distanza, difficile soprattutto quando si parla di lavori a bassa qualificazione. In questo modo si potrebbe ridurre drasticamente il fenomeno della clandestinità di coloro che alla fine si vedono rifiutare la concessione del visto umanitario. È paradossale infatti che oggi, in presenza di fabbisogno di manodopera, i visti rilasciati per lavoro siano una risibile
minoranza.
2.
Favorire politiche
di integrazione dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie
Più integrazione e meno irregolarità significa più sicurezza
per tutti. Occorrono
quindi:
•
corsi intensivi obbligatori di lingua
e cultura italiana
per i neo-arrivati.
•
regolarizzazione
dei migranti irregolari già residenti in Italia che hanno un lavoro. Non abbiamo convenienza a mantenere tassi di irregolarità che finiscono per inquinare la società, favorendo lo sviluppo del lavoro nero,
evasione contributiva, concorrenza sleale e vere e proprie sacche di economia criminale.
•
Ius Scholae (acquisizione della cittadinanza) per chi abbia frequentato per almeno 5 anni un percorso
di formazione in Italia. Inoltre, proponiamo di concedere la cittadinanza a
tutti gli studenti stranieri
che hanno svolto
e completato gli studi universitari in Italia.
3.
Politiche
di asilo
Vogliamo offrire alle persone in cerca
di protezione che arrivano in Europa e in Italia l’accesso a una procedura di asilo rapida ed equa. A
tal fine, vogliamo superare il trattato di Dublino e crea- re un Sistema europeo comune di asilo che, dopo una breve fase di registrazione negli Stati alle
frontiere esterne, distribuisca i richiedenti asilo negli Stati membri dell’UE - tenendo conto delle circostanze personali. Rifiutiamo i controlli
anticipati della procedura
di asilo alle frontiere
esterne. Vogliamo vie di accesso più sicure e legali attraverso
un’espansione dei corridoi
umani- tari. Vogliamo sempre
garantire il salvataggio in mare, coordinato e finanziato a livello europeo. Vogliamo
sempre garantire il salvataggio in mare, coordinato e finanziato a livello europeo.
4.
Istituire un Ministero per le migrazioni
Le migrazioni sono un fenomeno
complesso, oggi gestito con politiche
tra loro contraddittorie da vari Ministeri (Interni, Lavoro,
Istruzione, Salute, ecc.).
Proponiamo l’istituzione di un Ministe-
ro per l’Immigrazione per superare la frammentazione di funzioni dei
vari uffici che oggi rende complicato
l’orientamento per i migranti e i cittadini, ma anche l’incontro tra domanda e
offerta di lavoro, generando inutili complessità.
Difesa e sicurezza
Difesa
Gli eventi degli ultimi anni ci hanno ricordato che per garantire
la sicurezza dei nostri Paesi è necessario riformare gli apparati
difensivi dal punto di vista qualitativo e quantitativo.
A livello nazionale:
1.
Aumentare l’efficienza del settore difesa e migliorare la distribuzione della spesa
Al 2022 la distribuzione del budget della Difesa è circa la
seguente: 65,7% per il personale, 22,3% per gli investimenti, 12% per
l’addestramento e la manutenzione. Tuttavia, la riforma Di Paola del 2012, stabilisce che le varie componenti di spesa dovrebbero
avere il seguente peso: 50% per il personale, 25% per gli investimenti e 25% per l’addestramento e la manutenzione.
Proponiamo di rivedere la distribuzione attuale del budget per raggiungere il target, avere mezzi pronti all’utilizzo anche improvviso e
incrementare lo svolgimento di esercitazioni militari. Sul piano del personale, negli attuali scenari occorre verificare l’adeguatezza dei target fissati nel 2012 dalla
riforma Di Paola.
Gli evidenti squilibri
in termini di età media e di consistenza delle di- verse categorie devono essere progressivamente corretti con un significativo incremento della truppa. Sarà anche necessario
creare meccanismi per favorire l’osmosi con la società civile in modo da valorizzare e sfruttare al meglio le capacità di chi si congeda dopo un periodo prefis- sato di servizio militare.
2.
Incrementare il budget per la spesa in Difesa e raggiungere il target del 2% entro il 2025 Attualmente la spesa militare ammonta
a circa l’1,5% del PIL italiano, al di sotto degli accordi presi nell’ambito della NATO che prevedono
un target del 2%. Per raggiungere tale obiettivo entro il 2025,
dobbiamo aumentare la spesa militare
di 2,6 mld l’anno.
3.
Migliorare il coordinamento interforze
La collaborazione tra le forze armate in Italia è molto limitata
e questo genera forti inefficienze e costi gestionali elevati. A
titolo esemplificativo basti pensare che
l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica hanno tre sistemi logistici, tre
sistemi di servizi sanitari e anche tre servizi territoriali. Proponiamo un maggiore coordinamento interforze che consentirebbe di raggiungere significa-tive economie di scala
e di scopo.
4.
Cybersecurity
Sviluppo e miglioramento della capacità di operare nuovi domini operativi
cyber e spazio, valo- rizzando
le competenze che la Difesa
esprime.
A
livello UE:
5.
Promuovere l’integrazione della catena logistica
europea attraverso una maggiore integrazione dell’industria militare
La Difesa in Europa è caratterizzata da un forte fenomeno di duplicazione e di incompatibilità dei prodotti industriali degli equipaggiamenti e dei mezzi, che deve essere risolto
per consentire una catena logistica
più efficiente e un maggior grado di coordinamento tra le forze europee.
Questo può essere fatto stimolando ogni Paese a specializzarsi nella fabbricazione di specifi- che tipologie di equipaggiamento guaranteed, quindi maggiori economie
di scala, tutela di posti
di lavoro nell’industria militare, maggiore interdipendenza reciproca dei Paesi (nessun Paese sarebbe considerato superfluo).
6.
Creare nel medio periodo delle unità europee per finalità specifiche
e con un budget
comune
È necessario iniziare
a creare delle unità per specifiche missioni
comuni per avviare
un processo di integrazione militare. La nostra proposta è di ampliare la capacità
di dispiegamento attual\
mente prevista (ma non ancora implementata) dall’UE
di 5.000 militari,
fino ad arrivare gradual- mente
a 60.000, come già previsto
dallo Helsinki Headline
Goal.
Sicurezza
La
lotta alla mafia,
a trent’anni dalle
stragi di Capaci
e via D’Amelio, deve fare altri passi
avanti. Il fenomeno
deve essere contrastato con una maggiore
integrazione delle forze di polizia
e del- la magistratura a livello internazionale, potenziando il progetto della Procura nazionale europea.
Deve inoltre essere modificata la legge per lo scioglimento dei Comuni
infiltrati dalla mafia, garantendo risorse
adeguate e strumenti efficaci.
Gli
strumenti di contrasto
al terrorismo internazionale devono essere potenziati. I pericoli con- creti
non vengono scongiurati da una sorveglianza di massa, ma da misure mirate, come
l’os- servazione ravvicinata di coloro che sono a rischio, come nel caso di soggetti
radicalizzati che possono
alimentare il circuito
terroristico.
Vogliamo una polizia forte, trasparente e a misura di
cittadino: è necessario rafforzare gli stru-
menti a disposizione delle forze dell’ordine, sia materiali che digitali, per lo svolgimento dei loro compiti. Infine, è necessario un
inasprimento delle leggi sulle armi e maggiori controlli sul loro commercio
illegale, anche e soprattutto sui mercati online.
Riforme istituzionali
La nostra Costituzione è la carta di identità della nostra comunità e della nostra democrazia. Siamo orgogliosi e grati ai costituenti
per la prima parte, ovvero quella relativa ai principi fonda- mentali
e per noi inviolabile. La seconda parte della costituzione, invece, ha da tempo mostrato
i limiti di un sistema pensato per garantire un governo debole dopo l’esperienza drammatica del fascismo. Decenni dopo l’entrata
in vigore della carta costituzionale, possiamo ripensare l’as- setto istituzionale in un quadro
sicuramente diverso.
Vari
sono stati i tentativi di una riforma organica della costituzione che purtroppo non hanno mai superato la prova del Parlamento o
della conferma popolare tramite il Referendum, come avvenuto da ultimo anche nel 2016. Tuttavia, restano attuali le
esigenze di cambiamento a cui quella
riforma proponeva una soluzione e che, a distanza di anni, anche molti
detrattori hanno dovuto riconoscere essere reali. Del resto, questa legislatura non ha in alcun modo offerto una soluzione al problema del bicameralismo paritario
perché la riduzione
del numero dei parlamen-tari non sarà in grado di incidere
in concreto sulla doppia fiducia
dei due rami del parlamento, né sul procedimento legislativo.
1.
Superamento del bicameralismo paritario
Proponiamo pertanto di affrontare nuovamente
il superamento del bicameralismo paritario
e la procedura del voto a data certa per velocizzare l’iter di approvazione delle leggi senza dover abusare
dello strumento dei decreti legge di urgenza e della apposizione della questione di fiducia.
2.
Per un vero federalismo: Autonomia e Responsabilità
Da esattamente trent’anni l’Italia discute di federalismo,
ritenendo anche di averlo parzialmente attuato. In realtà, il bilancio di questa stagione
è del tutto fallimentare. Il vero federalismo, quello che in ultima analisi privilegia controllo
democratico, trasparenza e corretto utilizzo
delle risorse pubbliche, si realizza con l’inscindibile accoppiata di Autonomia e Responsabilità: senza uno di questi
due elementi, non vi è vero federalismo. Su questo punto siamo molto radicali:
proponia-mo la rivisitazione
completa del modo in cui stanno insieme i livelli di governo di questa Repubblica.
Innanzitutto, va stabilito quali sono:
Comuni, Regioni e Stato. Le Province devono completare la transizione e divenire il “centro servizi”
dei Comuni: centrale unica di committenza, ambito ottimale per la gestione dei servizi pubblici locali, assistenza
amministrativa e tecnica. Vanno inoltre
raddoppiati gli incentivi
economici alla fusione
dei Comuni, salvaguardando i territori monta- ni.
I tre livelli di governo devono avere competenze esclusive e chiaramente
ripartite (superando le tremende
inefficienze del Titolo V della Costituzione ma anche l’ambiguo
rapporto tra Regioni
e Comuni): deve essere chiaro “chi fa cosa”. Devono inoltre avere
strumenti fiscali esclusivi, del cui
gettito sono titolari e responsabili: il cittadino deve
avere perfettamente chiaro quale tassa paga al Sindaco, quale al Presidente di Regione e quale al Presidente del Consiglio: oggi sia- mo lontanissimi da questa situazione, con commistioni di gettito e sovrapposizioni largamente
inefficienti. Infine, ogni livello di governo territoriale deve essere messo nella stessa condizione di partenza, indipendentemente dalla sua situazione
specifica. Serve quindi dare attuazione al dettato costituzionale sui Livelli Essenziali
delle Prestazioni (LEP) e portare
a regime l’integrale allocazione dei finanziamenti statali in chiave perequativa,
sulla base della differenza tra fabbi- sogni standard e capacità fiscale.
Autonomia e Responsabilità non devono ispirare un intervento
estemporaneo e sloganistico, ma una vera e proprio
riforma complessiva e strutturale, che deve tener conto anche del dettato costituzionale relativo al regionalismo
differenziato; gli amministratori
locali devono poter eser- citare le
funzioni loro attribuite in maniera libera e autonoma, nel rispetto dell’unità
nazionale; i cittadini, nel rispetto
di accountability e trasparenza, devono poter
pagare, vedere e votare; lo Stato
deve essere garante dei diritti costituzionali in tutto il territorio nazionale
ma anche dell’ef- ficienza della spesa pubblica,
prevedendo un potere sostitutivo in caso di inerzia locale.
3.
Sindaco d’Italia
Infine, è sotto gli occhi
di tutti che l’instabilità dei governi italiani
è uno degli elementi di debolez-za del nostro paese sia sul lato interno,
sia nello scenario internazionale ed europeo. L’attuale sistema ha contribuito a generare un senso di sfiducia dei cittadini verso le istituzioni democratiche. Per cercare di ripristinare questo rapporto di fiducia e al contempo
garantire maggiore stabilità
ai Governi proponiamo di prendere come modello l’istituzione più prossima ai cittadini per una riforma della costituzione. Per
questo proponiamo l’elezione diretta da parte dei cittadini del Presidente
del Consiglio sul modello dei sindaci delle città più grandi. La riforma del cosiddetto
sindaco di Italia si accompagna,
peraltro, ad una necessaria riforma del sistema elettorale.
Europa, esteri e italiani all’estero
Europa ed esteri
Durante la pandemia, l’Unione
europea ha usato tutte le competenze a sua disposizione per proteggerci. Il Next Generation EU ha fornito
uno scudo essenziale per mitigare gli effetti ne- gativi della pandemia sull’economia, e il PNRR ci sta dando le risorse necessarie per avviare e consolidare la ripresa.
Con una svolta in senso federale delle sue Istituzioni, l’Ue può fare ancora di più. Occorre
riaprire il cantiere delle riforme dei Trattati, recuperare lo spirito
che animò Altiero Spinelli nel 1984 per dare maggiore
capacità fiscale, per finanziare programmi
di diretta competenza della Commissione, così che la Commissione non abbia come unico ruolo quello del “guardiano” che controlla
i bilanci degli Stati membri; per finalizzare l’Unione economica e monetaria e
in parti- colare l’Unione
bancaria, con la creazione di un safe asset europeo che metta al riparo la tenuta
dell’area euro dagli eccessivi spread.
L’Unione europea si trova di fronte a scelte radicali, che impongono una revisione profonda e coraggiosa della sua identità,
nel senso di un’attenuazione del suo ruolo, divenendo poco più di un accordo di cooperazione regionale, oppure nel senso di un suo rilancio, perché essa possa costituire un soggetto in grado di gestire le sfide (specie economiche, ma anche di sicurezza e difesa) internazionali. Noi siamo per la seconda.
1.
Abolire l’unanimità nel processo decisionale
Il contesto istituzionale dell’UE definisce principi e obiettivi il cui perseguimento e la cui attua- zione sono stati frenati politicamente dalla scarsa volontà dei governi nazionali dei Paesi UE e da una regola - quella del voto
all’unanimità - che non risponde alla domanda di una difesa e di sicurezza
dell’UE unitaria e che la guerra in Ucraina ha reso manifesta.
La regola dell’unanimità in Consiglio consente
a piccoli Stati - anche in materia fiscale o di gestione
dei flussi migratori
- di tenere in ostaggio
il resto dell’Unione e deve essere
superata.
2.
Adottare una politica estera comune
Il conflitto in Ucraina ha reso ancora più evidente la
necessità di adottare una politica estera comune
europea. Tuttavia, attualmente, un accordo tra 27 paesi sulla politica estera
non sem- bra una strada percorribile.
Proponiamo quindi di avviare una trattativa solamente con i paesi interessati e con i quali risulti possibile trovare
un accordo. Nel breve periodo, la politica estera potrebbe essere attuata tramite contingenti composti dagli eserciti nazionali per poi arrivare nel lungo
termine ad un’integrazione più consolidata dell’esercito e della difesa
comune.
3.
Completare il processo di riconoscimento dei titoli di studio nell’Unione
Per favorire la mobilità all’interno dell’UE, servono
regole comuni su istruzione e università per
evitare disuguaglianze, a cominciare dall’effettivo riconoscimento dei titoli di studio. Questo pro- cesso, già in corso, deve essere completato attraverso
una mappatura delle qualifiche esistenti
per identificare dove queste non siano valide.
Italiani all’estero
I cittadini italiani residenti
all’estero sono 5.6 milioni. Le proposte di Azione hanno l’obiettivo di garantire i diritti di rappresentatività e
cura previsti dalla Costituzione, incoraggiando così la partecipazione attiva. Questo obiettivo verrà raggiunto
occupandosi di migliorare il voto per corrispondenza, estendere
la copertura del SSN, facilitare l’accesso ai servizi
burocratici, avvia- re alla cultura
italiana e potenziare la rete di scuole italiane
all’estero.
1.
Semplificare le procedure per consentire agli italiani all’estero
di votare
Per facilitare la partecipazione degli italiani alle elezioni proponiamo
di velocizzare i processi per l’iscrizione all’AIRE e per ricevere i documenti necessari
per il voto. Nei periodi elettorali gli uffici consolari
dovranno allungare gli orari e i giorni
di lavoro per permettere a tutti di avere accesso
ai servizi elettorali. Inoltre, i cittadini non residenti in Italia devono
poter richiedere di
votare all’estero fino ad un mese prima delle elezioni
(attualmente devono fare richiesta con due
mesi di anticipo). Infine, è necessario potenziare la ricerca e le possibili
sperimentazioni sulla digitalizzazione del procedimento elettorale in linea con quanto sperimentato con l’elezione dei Comitati degli Italiani all’Estero (Comites), avvenuta
nel 2021 in 11 paesi stranieri.
2.
Facilitare l’accesso
ai servizi
Ancora oggi molti italiani residenti all’estero devono
tornare in Italia per ragioni burocratiche. Tutti
i servizi della Pubblica
Amministrazione devono essere
accessibili agli italiani all’estero direttamente dai portali
digitali di Ambasciate e Consolati. Per esempio, se un italiano
residente all’estero richiede
il certificato di nascita non dovrà passare dal suo comune di nascita ma avrà la possibilità di riferirsi al consolato.
3. Potenziare la rete di scuole italiane all’estero, avviare alla lettura e alla scrittura in italiano i figli dei residenti all’estero
In molti paesi esteri non sono presenti scuole italiane.
Insegnare ai bambini all’estero a leggere e scrivere
in italiano diventa un compito delle famiglie che non sempre dispongono
degli str menti pedagogici per insegnare queste competenze. Riteniamo
necessario che, nei Paesi con più
italiani all’estero, i servizi consolari debbano avere il compito di coordinare
corsi di avvio alla lettura e alla
scrittura per i figli degli italiani residenti. Proponiamo inoltre di avviare
un progetto di potenziamento delle scuole italiane
all’estero e delle sezioni italiane
nelle scuole internazionali, per contribuire a garantire il diritto all’istruzione, al
mantenimento dell’identità culturale dei figli dei connazionali e dei cittadini
di origine italiana
e alla promozione e diffusione della lingua e cultura
italiana negli ambienti stranieri. Questo piano sarà definito
dal Ministero dell’Istruzione in collaborazione con il Ministero
degli Affari Esteri.
4.
Consolati più accessibili e più efficienti
Continuare a rafforzare i servizi consolari
nel mondo con maggiori dotazioni
di personale e
risorse e procedere con forza sulla via della digitalizzazione dei servizi al cittadino.
5.
Continuare a ridurre l’IMU
dovuta dagli italiani
all’estero
In questa legislatura siamo riusciti a reintrodurre l’esenzione
al 50% (al 62.5% nel 2022) per i pensionati in convenzione internazionale. Dobbiamo continuare a ridurla anche per altre cate- gorie di cittadini
come misura di promozione del ‘turismo delle radici’ e a sostegno dei piccoli
borghi.
6.
Semplificare il riconoscimento dei titoli di studio
Semplificare e accelerare le tempistiche di riconoscimento dei titoli di studio ottenuti
dai cittadi- ni italiani all’estero per sostenere la mobilità dei talenti e delle esperienze.
7.
Servizi pubblici
celeri ed efficienti
Serve una riforma
dell’AIRE che deve diventare unico e digitale
per permettere l’iscrizione istan-tanea senza
aspettare mesi. Inoltre, è necessario semplificare l’ottenimento dello SPID per
gli italiani iscritti all’AIRE.
8.
Riforma dei Comites e del Consiglio
Generale degli Italiani
all’Estero (CGIE)
Per favorire la partecipazione dei cittadini, per esempio abolendo l’inversione dell’opzione, e trasformarli in organismi che siano vera espressione delle comunità in cui operano.
9.
Cittadinanza
Garantire le riacquisizione della cittadinanza italiana
per quanti l’hanno persa definendo
accordi di doppia
cittadinanza con tutti i paesi
dell’Unione Europea in cui non
sono ancora in vigore.
Reperimento delle risorse necessarie a finanziare gli interventi
Nessun programma elettorale
contiene mai le coperture finanziarie. Noi invece non fuggiamo dal problema. Perché è venuto il tempo della serietà.
Per finanziare
le misure contenute
in questo programma
proponiamo due principali
direttrici di
azione:
1.
Ogni euro già recuperato dall’evasione, torni in tasca ai contribuenti
Uno dei principi
maggiormente condivisi “pagare
tutti, pagare meno” non è in realtà un automa-tismo nei nostri
meccanismi di finanza
pubblica. Noi proponiamo che lo diventi.
Proponiamo che ogni anno la riduzione strutturale del tax gap del triennio precedente vada automaticamente destinata
al fondo per la riduzione
della pressione fiscale.
Le risorse sono ingenti:
dal 2014 al 2019 (fonte Mef) il tax gap fiscale e contributivo si è ridotto di
10 miliardi. Uno degli obiettivi del
PNRR è una riduzione di ammontare simile entro il 2024, e i primi dati disponibili
confermano questo trend. Secondo noi queste risorse,
derivanti dalla maggiore
fedeltà fiscale degli italiani, devono
tornare nelle tasche
dei contribuenti onesti.
2.
Riprendere il controllo della spesa in acquisti
I consumi intermedi della pubblica amministrazione nel 2009
erano 88,6 mld. Nel 2021 sono stati 110,43. Un aumento in termini nominali di
circa il 25%. In questo lasso di tempo, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato cumulativamente di circa il 15%. Questo
significa che in 12
anni,
che hanno visto tre recessioni, due delle quali la più pesanti della storia italiana
in tempo di pace,
gli acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione sono aumentati di
10 punti più dell’inflazione. La nostra proposta
è semplice: applichiamo le più moderne tecniche di determinazione dei fabbisogni e di standardizzazione dei costi, completiamo il processo di riduzione e centralizzazione
delle stazioni appaltanti e riportiamo i consumi
intermedi al livello in cui
sarebbero stati se fossero
rimasti costanti in termini reali.